Il Reverendo del ciclismo - Bruno Reverberi a ruota libera
Versione stampabileÈ sicuramente il direttore sportivo italiano più longevo nel ciclismo professionistico. Quando interviene è ascoltato da tutti i suoi colleghi, ma non solo, con grande rispetto. Non solo per l'età e per l'esperienza, ma soprattutto per il grado di saggezza, e schiettezza, delle sue parole. Abbiamo incontrato Bruno Reverberi alla vigilia del debutto stagionale italiano della sua "nuova" CSF Group-Navigare in quel di Donoratico, e lo abbiamo stuzzicato su molti argomenti del ciclismo attuale.
Signor Reverberi, da quante stagioni è alla guida di una squadra professionistica?
«Ventisette».
Quando, più di 25 anni fa quindi, mise piede nel mondo dei professionisti, pensava di restarci per così tanto tempo?
«Assolutamente no. Dopo aver gestito per 12-13 anni delle squadre a livello dilettantistico, sono passato al mondo del professionismo nel 1982 e, allora, sarei stato contento di fare 2-3 stagioni ad alti livelli. Mai avrei pensato che questa avventura potesse durare più di 25 anni».
In tutti questi anni, se dovesse fare un solo nome, qual è il corridore più forte che ha seguito?
«Non riuscirei a fare un solo nome perché ho avuto tanti atleti validi e in momenti diversi della loro carriera. Ad esempio Van Impe era un fuoriclasse di livello assoluto, ma ci siamo incontrati quando lui era già in fase calante. Podenzana, invece, aveva un motore fenomenale e sicuramente avrebbe vinto molto di più se avessero continuato a fare le corse oltre i 250 km. Poi ho avuto la soddisfazione di far passare professionisti corridori come Zanini, Guerini e Fontanelli, che poi hanno avuto un'ottima carriera. Sono molto legato anche a Guidi, anche lui passato in una mia squadra, perché seguiva molto i miei consigli e dopo le corse veniva da me e mi ringraziava per i suggerimenti: la maggiore gratificazione per un direttore sportivo».
La soddisfazione più grande?
«Sicuramente la vittoria di Guidi a Gippingen nel '96 su Olano e Riis. Allora venivamo da un periodo in cui avevamo raccolto parecchie vittorie in Italia, ma la critica ci imputava il fatto che non riuscissimo a vincere fuori dai confini nazionali. Bene, quella vittoria, su un traguardo allora abbastanza prestigioso e ottenuta precedendo il campione del mondo in carica, azzittì le malelingue. In secondo luogo cito la vittoria di Pérez Cuapio sul Pordoi nel 2001. Inoltre, vincere la prima tappa del Giro dell'era Pro Tour e indossare la maglia rosa con Lancaster è stata una grossa soddisfazione, un po' come se l'Atalanta battesse il Real Madrid».
L'anno scorso lo sponsor principale, Panaria, ha deciso di abbandonare. Come mai?
«È stata una scelta aziendale che ci avevano ampiamente anticipato. Dato il momento difficile del mercato, hanno deciso di investire dei soldi in mostre che sponsorizzassero i loro prodotti. In ogni caso sono rimasti nel ciclismo per dieci anni e mi hanno promesso che ritorneranno molto presto; magari ce ne fossero di sponsor così».
È stato difficile trovare un nuovo sponsor principale?
«È stato difficile per noi come per tanti altri. Alla fine dell'estate abbiamo avuto 3-4 contatti con delle aziende che ci hanno fatto perdere un po' di tempo ed eravamo arrivati a fine settembre che non avevamo concluso ancora niente. Poi il gruppo CSF, che già lavorava con noi da molti anni, ci ha proposto di entrare come sponsor principale e in brevissimo tempo abbiamo chiuso la trattativa, firmando un contratto di tre anni che dà anche una certa garanzia per il futuro».
Il non far parte del Pro Tour, anche negli scorsi anni, vi è pesato in qualche modo?
«Assolutamente no, ne abbiamo tratto solamente benefici. Abbiamo continuato a partecipare alle corse Pro Tour che ci interessavano come Giro e Milano-Sanremo e, in più, il Pro Tour ci ha tolto, ad esempio nelle corse del calendario italiano, molti avversari. Non è stato un caso che nel 2005, primo anno dell'era Pro Tour, abbiamo vinto 25 corse».
Su Cicloweb abbiamo tenuto una rubrica sui corridori senza contratto. Ha qualcosa da dire su Daniele Colli? Pensa veramente che non abbia più niente da dire nel mondo del ciclismo professionistico?
«Io credo di sì. Gli è stata data una grossa opportunità in una squadra come la nostra dove ha avuto la possibilità di fare la sua corsa e vincere qualche gara. Dopo aver recuperato dall'infortunio di inizio stagione, non si è impegnato per far bene ed è andato addirittura più piano della prima parte della stagione, il che è inammissibile per un ragazzo dalle sue qualità ed è sintomo di poca voglia di lavorare».
Che obiettivi avrà la sua squadra per il Giro di quest'anno? Vi accontenterete di una tappa, cosa tra l'altro che vi è sempre riuscita negli ultimi anni, o cercherete di fare qualcosa di più, magari con un occhio anche alla generale?
«Assolutamente solo tappe e, se si può, punteremo la maglia verde. Non abbiamo uomini che possano impensierire i migliori per il podio e arrivare ottavo o decimo per noi cambia poco. Io dico sempre ai ragazzi che è meglio saltare in una tappa per poi ripresentarsi all'attacco con più libertà in quelle successive che difendere con i denti un piazzamento nella generale intorno al decimo posto. Ad esempio, l'anno scorso a Montevergine, ho insistito più volte con Laverde affinchè si staccasse e arrivasse staccato di una decina di minuti e, infatti, qualche giorno dopo, ha avuto via libera e ha vinto la bellissima tappa di Spoleto».
E le altre corse?
«Nessun obiettivo particolare, viviamo alla giornata. Abbiamo Bongiorno, Maxi Richeze e Grillo che potranno dire la loro in volata e vincere qualche corsa, e in più un bel gruppo di corridori interessanti. In fin dei conti una squadra come la nostra, se vince dieci corse in un anno e, tra queste, c'è una vittoria di qualità come una tappa al Giro, possiamo già parlare di bilancio positivo. Poi ci sono state annate dove abbiamo vinto 20-30 corse, ma quelle sono solo state piacevoli eccezioni».
Che pensa delle leggi attuali in materia di doping?
«Inserire l'aspetto penale nella legge antidoping e poi chiamarla legge a tutela della salute è stata una grande ipocrisia. Secondo me, facendo lavorare solo la giustizia sportiva, i casi di doping si chiuderebbero in breve tempo, senza far parlare per anni di un evento, come è stato per l'Operacíon Puerto, con tutte le conseguenze negative che ciò comporta. Il corridore che magari ha assunto un paio di pastiglie di caffeina viene messo alla gogna ed è perseguibile anche penalmente, mentre il giovane che va in discoteca e fa uso personale di droghe leggere no. Tutto questo è assurdo secondo me».
Che pensa delle squadre invitate al Giro? Squadre come l'High Road, l'Astana e l'Acqua e Sapone a casa.
«Gli organizzatori hanno fatto delle scelte, lasciando a casa squadre che dal punto di vista sportivo avrebbero meritato l'invito. Io posso immaginare i motivi, ma non ne voglio discutere. L'invito per la NGC Medical-OTC Industria Porte è un po' discutibile, ma c'è da tenere in conto che quell'azienda è anche sponsor del Giro e magari hanno avuto un trattamento un po' di riguardo...».
Ora passiamo agli atleti: due giovani che sono passati tra i pro' con molte attese, come Grillo e Pozzovivo, ancora devono esprimersi ai massimi livelli. Secondo lei da cosa dipende questo loro mancato exploit nei primi anni da professionista?
«Io credo che sia l'uno che l'altro, per un motivo o per un altro, non abbiano dato il massimo per le qualità che hanno. Grillo ha vinto una decina di corse in questi primi anni da professionista, ma gli è mancato l'acuto, quel salto di qualità che lo porterebbe a vincere una tappa al Giro per esempio. Credo che nei prossimi anni maturerà sia atleticamente che di testa e farà delle ottime stagioni. Pozzovivo non era un gran vincente nemmeno tra i dilettanti perché ha caratteristiche di scalatore puro. In questi anni ha avuto anche dei problemi con la gestione della bici, ha un po' paura a stare in gruppo e ad affrontare le discese, ma anche lui può solo migliorare e credo che al Giro lo vedremo con i migliori in salita».
Viceversa uno a cui piace rispondere con i fatti alla scarsa considerazione da parte dei media è Maxi Richeze. Dove potrà arrivare questo ragazzo?
«Richeze è un giovane molto promettente, potrebbe essere il velocista del futuro e tiene molto bene anche nelle salitelle. Ha la "sfortuna" di non essere italiano perché io credo che con i risultati della scorsa stagione, un giovane di casa nostra sarebbe stato osannato dai media. Spesso lo prendo in giro invitandolo a cambiare cittadinanza, anche perché lui potrebbe farlo, ma è molto legato alla sua terra».
Capitolo Mazzanti: una bandiera delle squadre guidate da lei, quest'anno vi ha lasciati, come mai?
«Mazzanti era in scadenza di contratto e, nel periodo in cui cercavamo ancora lo sponsor, è stato contattato dalla Tinkoff e ha preferito firmare per loro, perché noi, in quel momento, non potevamo offrirgli alcuna garanzia. È stato un professionista molto serio e gli auguro ogni bene con la nuova maglia».
Quale sarà la sorpresa il casa CSF Group-Navigare quest'anno? In altre parole da chi si aspetta una stagione al di sopra delle aspettative?
«Io spero nei giovani. Quest'anno abbiamo preso quattro neoprofessionisti e, dagli allenamenti, sembrano ragazzi molto seri e con grande voglia di fare. Spero che almeno qualcuno di loro si possa mettere in qualche modo in evidenza durante il corso della stagione. Un altro che potrebbe stupirci in positivo è Sella, perché ha cambiato metodologia di allenamento: durante l'inverno ha puntato molto sull'agilità e credo questa scelta possa fargli solo bene».
A proposito di Sella, è vero che, alla fine della stupenda cavalcata nella tappa di Cesena, lei, anziché fargli i complimenti, lo ha rimproverato per la sua condotta di gara?
«Certamente. E glielo dico tuttora. Quel giorno è andato sì forte, ma ha vinto per un colpo di fortuna. Quando è rientrato sul gruppetto dei primi, avrebbe dovuto tirare un attimo il fiato e poi attaccare sull'ultima salita, non tirare dritto. Intanto dietro i Saeco diminuirono notevolmente l'andatura per attendere il rientro di uomini importanti e questo ha permesso a Sella di arrivare con quella manciata di secondi. Ha fatto sì una grande impresa, ma non è quello il modo di correre».
Per quanti anni ancora continuerà nel mondo del ciclismo?
«Non mi pongo una scadenza, andrò avanti fino a quando questo lavoro mi darà soddisfazioni».