Cunegol!!! Onore Riccò - Grande Lombardia, vince Damiano
Il pugno destro al cielo, l'avversario più pericoloso appena dietro: è finito così il Lombardia di Cunego, la corsa che proietta di nuovo, e in maniera prepotente, l'internazionalità della figura di Damiano Cunego sul palcoscenico del ciclismo mondiale.
Tre anni fa, periodo del primo successo di Cunego nella "classica delle foglie morte", era tutta un'altra storia: il veronese aveva vinto in maggio il Giro d'Italia, aveva vinto un congruo numero di corse, era un giovanotto (23 anni) ed aveva finito nei primi 10 anche il Mondiale nella sua Verona. Quel Lombardia lo vinse sbagliando quasi tutto. Basso e Boogerd, sopratutti, erano più forti di Cunego in salita, ed anche Evans e Nardello sembravano star meglio di quello che fu ribattezzato "Il piccolo Principe".
Cunego vinse correndo male, ma dimostrando una fantasia in corsa, una voglia di rischiare, la spensieratezza e la forza che appartiene tipicamente ai giovani. Fu strepitosa quella vittoria. Fu strepitosa perché l'ultimo a fare l'accoppiata Giro+Lombardia nello stesso anno fu un certo Eddy Merckx, e perché Cunego, a soli 23 anni, era l'unico corridore in attività che riusciva a vincere sia una grande corsa a tappe (il Giro, appunto) e una classica monumento (il Lombardia). Riuscirci nello stesso anno era, come già detto, roba da fenomeni veri.
Non è il momento questo per rinvangare il percorso di Damiano tra i due Lombardia vinti, ma se escludiamo la maglia bianca di miglior giovane al Tour de France 2006, risultato comunque non staripante per un già vincitore di un Giro d'Italia (soprattutto perché arrivata con un 11esimo posto), i successi erano arrivati soltanto in corse minori, tranne due belle tappe al Giro di Romandia 2005 e al Giro di Germania 2007. Poco, pochissimo, per chi è in grado di far rivivere i fasti di Eddy Merckx nella mente di tanti appassionati.
E poi mettiamoci che Vinokourov prima (Liegi 2005 e Vuelta 2006) e Di Luca poi (Liegi e Giro 2007) erano riusciti a raggiungere Cunego in testa a quella particolare graduatoria di duttilità tra grandi corse a tappe e classiche monumento. E poi tutti gli altri italiani, da Bettini a Rebellin, da Pozzato a Ballan, da Di Luca a Petacchi, da Nibali a Bertagnolli, dagli emergenti Visconti e Riccò, che vincono, e se non vincono danno spettacolo. Insomma, Cunego ha vissuto momenti difficili, di quelli veri. Checché ne dica il veronese, che ha sempre manifestato un'autostima ragguardevole, lasciando presagire che si fosse ridimensionato, in maniera forse non del tutto autonoma, un bel po'.
Su quel rettilineo del lungolago di Como, dunque, celebriamo il vero ritorno di Cunego nell'élite mondiale. Perché arrivato in una classica dura, di quelle che piacciono e devono piacere a Damiano, di quelle che gli hanno regalato due successi (i Lombardia) e un podio (Liegi 2006) prestigiosissimi, e di quelle che danno a Damiano le più rosee aspettative, vista la capacità di Cunego in salita, anche su quelle brevi e nervose delle corse di un giorno, e la rinomata velocità negli sprint ristretti, che tanto aveva fatto maledire Gilberto Simoni, suo compagno in maglia Saeco, durante quel benedetto per certi versi (la vittoria, su tutte), maledetto per altri (il carico di responsabilità derivate), Giro d'Italia 2004.
Quant'è stato bello, quest'oggi, vedere Cunego seguire Frank Schleck e Riccò, lungo il Civiglio? Molto. Moltissimo.
La Csc aveva tutti i cavalieri davanti, da Kroon a Kolobnev, da Sastre ad Andy Schleck, già in prima linea sul Ghisallo (che aveva visto in difficoltà Bettini, evidentemente strapazzato dai festeggiamenti doppiamente iridati), fino allo stoccatore designato, quel Frank Schleck già enorme sul San Luca, al Giro dell'Emilia, a cui il Lombardia piace tanto, ma che in volata non è un fulmine, e quindi ha in mente di arrivare da solo o quasi nella città di Como.
Dopo il Ghisallo c'è ancora Matteo Tosatto davanti, visto che Bettini non è in grado di fare la corsa e Visconti può benissimo cavarsela da solo, o comunque con l'aiuto di Tonti, nel finale. È Kroon a muoversi per primo, seppur in maniera sfortunata, visto che centra un segnale stradale piazzato su una strettoria, portandosi per terra anche il polacco Szmyd.
È allora Manuele Mori ad accendere la miccia, ma è Kolobnev a fare da guardia, con Nardello, Marzano, e di nuovo Kroon a seguire. L'olandese rompe di nuovo gli indugi e si lancia all'inseguimento di Tosatto. Ci sono ancora tanti corridori nel gruppo inseguitore, c'è addirittura quel Bettini che non ha nessuna voglia di forzare. E poi se non ci si prova sul Civiglio, il San Fermo di Battaglia è troppo vicino a Como per fare selezione, e alla Csc portare gente come Pozzato e Visconti a fare lo sprint non conviene assolutamente.
Kroon si porta su Tosatto, ma su entrambi si riporta il plotone. Accelera Kolobnev, e l'azione del vice-campione del mondo fa selezione. Dopo qualche attimo di impasse, con Marzano e Szmyd a scandire il ritmo per capitan Cunego, è il lussemburghese Frank Schleck a muoversi in prima persona. Il più lesto di tutti, nel seguirlo, è Riccardo Riccò, il modenese già in evidenza tra Emilia e Beghelli e che oggi vuol provare a prendersi la vittoria più importante della sua giovane carriera.
Alla ruota dell'uomo Saunier Duval c'è Damiano Cunego, poi rientra anche Cadel Evans, con quella maglia bianca simbolo del primato Pro Tour assegnatagli dall'Uci qualche giorno fa, all'atto dell'esclusione (vergognosa) di Danilo Di Luca dal ranking per via della squalifica di 3 mesi inflitta da parte della Procura antidoping del Coni all'abruzzese per via dei rapporti con il discusso medico Santuccione, inibito dall'attività di medico sportivo, ma medico di famiglia del vincitore dell'ultimo Giro d'Italia. Soliti teatrini sceneggiati da Aigle e Roma, insomma.
Il Civiglio è finito, e davanti sono in quattro, e tutti buoni. Anzi, no, il Civiglio non è affatto finito, visto che c'è una discesa da affrontare; discesa che Cunego disegna perfettamente, dando circa 10" ai tre ex compagni di fuga, che vengono raggiunti da Gusev e Samuel Sánchez. E siccome il basco è un corridore che in discesa i freni li disinnesca proprio, stacca gli altri quattro corridori e si butta a capofitto alla caccia dell'azzurro che, diligentemente, arrivato a fondo discesa non si finisce, ma aspetta gli altri.
Mancano circa 10 km all'arrivo, quando termina la ricorsa al successo di Frank Schleck, che tampona la ruota posteriore di Gusev, in maniera tanto distratta quanto sciocca, e va a terra, costringendo anche il russo a grattare l'asfalto.
Rimangono in quattro davanti (Riccò, Cunego, Samuel Sánchez, Evans), ma gli equilibri sono completamente cambiati, visto che la Csc non è più rappresentata in testa alla corsa e nel gruppo che insegue ci sono Kolobnev ed Andy Schleck (insieme a Rebellin, Luca Mazzanti, Antón e Dekker). Il ricongiungimento tra i due gruppetti è scontato, ed avviene ad 8 km dall'arrivo, praticamente ai piedi del San Fermo di Battaglia.
Il primo a saltare è Kolobnev, o più precisamente il cambio di Kolobnev, che salta via dalla catena e costringe il russo ad un lavoro di nervi supplementare per sistemare il rocchetto e ad uno sforzo di energie, che avrebbe sicuramente speso volentieri in diverso modo, per rientrare sui battistrada, nel frattempo guidati da uno strepitoso Antón, in testa per tenere il ritmo stabile per favorire capitan Sánchez, oggi non in grado di battagliare in salita coi migliori, ma sicuramente in grado di fare il vuoto in discesa.
La tattica dell'Euskaltel dura poco, visto che a Riccardo Riccò quel ritmo non basta, e con un secco scarto sulla sinistra del plotone si lancia verso Como; Cunego è sveglissimo, probabilmente stava meditando un'azione simile a quella di Riccò, ma gli va più che a genio che un altro atleta possa provare a forzare il ritmo. 6 km, tra l'ultimo scollinamento e l'arrivo, passano decisamente più in fretta se non si è da soli. E se si è veloci.
Gli scatti di Riccò e Cunego sono frecciate nell'asfalto, nelle gambe degli avversari e negli occhi e nei cuori degli appassionati. Due giovanotti italiani in testa al Giro di Lombardia. Due giovanotti scattanti, forti in salita, discreti sul passo (soprattutto dopo 200 e passa chilometri) e veloci negli sprint ristretti. Sarebbero stati i favoriti anche con un arrivo compatto del gruppetto formatosi, ma gli applausi si sprecano, e si sprecheranno, per quest'azione di forza promossa dai due.
Evans non ci sta, e col suo passo prova a rintuzzare il distacco. Ci prova, a fasi alterne, ma nessun altro ha il passo di Riccò e Cunego, che rilanciano (soprattutto il modenese) continuamente l'azione, dando continuamente delle bottarelle ai muscoli ed al morale degli avversari.
Riccò e Cunego sono soli, gli altri sono lontani. La discesa del San Fermo è breve, e il micidiale Samuel Sánchez, staccato in salita anche da Evans ed altri, è costretto agli straordinari per tenere la corsa viva, portandosi nella scia tutto il gruppo inseguitore, mentre Riccò e Cunego si danno cambi regolari in testa, col veronese disegnatore designato delle curve a scendere.
La conferma che la corsa se la giocheranno Riccò e Cunego arriva sotto lo striscione dell'ultimo chilometro. I due davanti si guardano, Cunego è già in seconda ruota e fa già finta di simulare qualche surplace. Riccò non vuole farsi uccellare, e ci mette un attimo a rallentare anche lui.
Fortunatamente per loro, dietro sono stanchissimi, e se davanti rallentano, dietro si quasi fermano. Ci prova timidamente Thomas Dekker, ma Evans e Rebellin non lo lasciano scappare.
Davanti è sempre Riccò in testa, con Cunego che lo sorpassa, indurendo di due denti, soltanto a 150 metri dall'arrivo, saltandolo di prepotenza e dandogli una decina di metri già sullo slancio della propria azione. Che è decisa, che è vigorosa, che è vincente.
Riccò praticamente la volata non la fa, mentre dietro è Samuel Sánchez a precedere i compagni di "sventura" per il terzo gradino del podio. Bravo anche Visconti, 9°, che anche se non è mai stato nel vivo della corsa ha fatto capire di poterci stare benissimo, in testa, magari tra qualche tempo, con una programmazione meglio studiata.
Cunego torna a sorridere con veemenza, Riccò recrimina, ma deve farlo solo per il risultato finale, perché tra Sanremo e Lombardia, da marzo ad ottobre, ha dimostrato di poter far male a tutti nelle corse in linea, soprattutto se dure e lunghe.
Noi? Noi troviamo (almeno) due ottimi spunti per sorridere, ma anche altrettanti spunti per essere un po' tristi. Se non fossimo così masochisti ed autolesionisti, ad esempio, quanto sarebbe stata bella la presenza, al Lombardia come altrove, di Basso e Di Luca? Ma soprattutto: dopo una corsa così bella, così combattuta, così emozionante, chi ce lo spiega che staremo a digiuno di corse fino al prossimo gennaio, vista la promozione a corsa Pro Tour del Tour Down Under australiano, e che la cosa che ci farà più compagnia per l'inverno sarà l'etilica politica di Pat McQuaid?
In effetti misà che è meglio iniziare a pensarci da domani, ché oggi abbiamo decisamente parecchie emozioni a cui ripensare.