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Ci bastano le dimissioni - Uci, a chi serve questo Pro Tour? | Cicloweb

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Ci bastano le dimissioni - Uci, a chi serve questo Pro Tour?

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Niente di personale contro Greipel, per carità. Non è questione di nomi, né di corridori. È questione di capocce. Come succede ormai da troppo tempo. E le capocce, ahinoi, sono quelle dell'Uci.
La grandiosa pensata non è stata tanto quella di inserire il Tour Down Under, corsa giovane che si disputa in un Paese ciclisticamente in evoluzione come l'Australia, nel calendario Pro Tour (ragionando per assurdo circa un Pro Tour che abbia ancora un senso), ma pensare di lasciare invariata la data in calendario di una manifestazione che, come "insegna" il progetto Pro Tour, avrebbe dovuto raccogliere le migliori squadre e i migliori ciclisti del mondo, è assolutamente un suicidio. Un suicidio del tutto evitabile.
Gennaio è il mese del ciclocross, delle 6 Giorni, e non può essere il mese di una prova dell'élite del calendario su strada internazionale. Non può esserlo perché poi la stagione dura fino ad ottobre, e se non si è tanto scemi da pensare che qualcuno possa sacrificare impegni storici e importanti come le tante corse estive e il finale di stagione con il Giro di Lombardia (già penalizzato dallo spostamento dei Campionati del Mondo da agosto a settembre), allora l'unico pensiero che è legittimo fare ci porta dritti alla malafede. O all'incapacità. O, perché no?, ad entrambe le cose.
Il buon André Greipel con ogni probabilità, grazie alla vittoria di stanotte (la quarta in pochi giorni, dopo il Down Under Classic e le due tappe già vinte al Tour Down Under), vincerà la classifica generale della prima corsa Pro Tour del 2008, a meno che il gioco degli abbuoni non finisca per premiare Renshaw o Allan Davis.
Che poi quella su Allan Davis sarebbe una storia da raccontare: l'Uci e il circuito Pro Tour, notoriamente più che ligi ai (propri) regolamenti, permettono all'Australia di schierare, al via di una corsa Pro Tour qual è il Tour Down Under da quest'anno, una Selezione nazionale. Come fossimo al Giro delle Regioni, o in una di quelle tante corse open che si corrono in tutte le parti del mondo. Ma perché il Pro Tour, che non accettava squadre Continental nelle sue corse, abbia concesso tale deroga alla Federazione ciclistica australiana, non ci sarà dato modo (presumibilmente) di saperlo con certezza. Ci diranno che è stata una decisione per far aumentare l'interesse verso la corsa (e il responsabile marketing dell'Uci per quale motivo viene pagato?), che la partecipazione della Nazionale australiana ha garantito comunque combattività e spettacolo (ma sicuramente noi non discutiamo il livello tecnico dei selezionati), e bla bla bla. Come loro solito.
Fatto sta che Allan Davis, prima "schifato" dall'Uci per il suo tuttora presunto coinvolgimento nella famigerata Operacíon Puerto, poi osteggiato dalla stessa Uci nel tentativo di trovare squadra per la stagione appena iniziata, ha visto improvvisamente aprirsi dinnanzi ai propri occhioni, uno spiraglio di visibilità grosso come una casa, proprio grazie ad una "gentilezza" dell'Uci, che gli ha permesso di partecipare ad una corsa Pro Tour, e forse di vincerla (merito comunque al 2° arrivato della Sanremo 2007 di aver vinto una tappa e di essere lì a lottare per la vittoria finale).
Ma torniamo all'assurdo Pro Tour pensato dall'Uci. Un circuito d'élite che s'è trovato a far fronte all'abbandono del progetto da parte di tutte le corse più importanti del calendario mondiale (tranne il Fiandre e il Giro di Svizzera), ed ha pensato bene di allargare il cordone all'Australia (e Russia e Cina sono già nel mirino), e di sovrapporre alla Vuelta (che nel frattempo, per bocca di Victór Cordero, sta pensando di ridurre a 18 il numero delle proprie tappe, con un solo giorno di riposo) ben tre (3!) corse Pro Tour, in modo tale da costringere le squadre aderenti al circuito ad una quadrupla attività. O alla rinuncia alla Vuelta a España. Complimenti all'Uci.
Tornando a noi, il Tour Down Under, perché in fondo non è che ce l'abbiamo con la corsa in sé, è anche un appuntamento divertente. Anche "sognato", se vogliamo, visto che arriva dopo un inverno in cui s'è discusso di ciclomercato, di Cipollini, dello spettacolo osceno offerto da Rai, RCS Sport e Gazzetta durante la presentazione del prossimo Giro d'Italia, e di tanto altro ancora; ma non di corse, si discute l'inverno. Ed allora ecco la "manna" del Down Under che ci dà spunti di discussione tecnici, che ci fa guardare le fotografie delle prime corse con le maglie nuove, e che recentemente s'è sempre risolto con un'azione da lontano, se vogliamo anche con delle fughe bidoni, che di fatto hanno delineato le classifiche generali sino all'edizione tuttora in corso.
Eh sì, perché coi punti Pro Tour in palio, tante squadre hanno gestito la corsa per fare incetta di tappe; e viste le scarse difficoltà altimetriche, i "poveretti" che hanno provato degli attacchi dalla distanza, dal coraggioso Aramendia ai volenterosi Proni e Porte, per finire coi più quotati Sánchez Gil e Gilbert, hanno sempre perso l'ìmpari battaglia col plotone, forte di tante ruote veloci, arrivate in massa in Australia vista l'altimetria generale.
Una corsa quindi noiosa, con dei finali tutti già scritti; col solo dubbio degli ordini d'arrivo day-by-day.
E il fallimento dell'Uci è tangibile anche sotto il punto di vista mediatico. In Italia, che pure ha la Lampre e la Liquigas laggiù, così come vari altri atleti che militano in formazioni straniere, nessuna tv s'è degnata di acquistare i diritti della corsa australiana, e non pretendevamo di certo la Rai (che già è tanto se trasmette il Lombardia); anche le tv "nuove" come Sportitalia (scottato evidentemente dall'esperienza in Qatar di un anno fa) e Sport Channel hanno evitato di coprire l'evento; e neanche gli altri organi d'informazione si sono interessati più del dovuto a delle tappe in cui il massimo dell'inventiva, per raccontare le varie cronache, sarebbe stato cambiare i nomi dei fuggitivi e quelli dei primi nell'ordine d'arrivo; mantenendo per tutte le sette frazioni (il Classic, le sei già andate, e quella di domattina) lo stesso canovaccio.
Durante i campionati del mondo di ciclocross, che inizieranno oggi a Treviso, RCS Sport, ASO e Unipublic (organizzatori di Giro, Tour e Vuelta, e di tante altre corse storiche, dalla Sanremo alla Roubaix, dal Lombardia alla Liegi) chiederanno lumi all'Uci sulla classificazione delle loro corse, tuttora rappresentate sul calendario dell'Unione Ciclistica Internazionale con un asterisco.
Eh già, il massimo organismo ciclistico quantifica con un asterisco il proprio maggiore patrimonio storico-sportivo.
La data delle prossime elezioni Uci, settembre 2009, è ancora troppo lontana, e dunque è a Pat McQuaid che dobbiamo ancora - ahinoi - rivolgerci: finché l'Uci resterà ciò che è diventata in questi ultimi 3 anni, e cioè un carrozzone mangia-soldi che punta all'espansione del ciclismo, infischiandosene delle proprie radici e delle proprie basi, il ciclismo si troverà sempre a fare i conti con il disinteresse generale verso 3/4 del calendario internazionale.
Quando, e se, l'Uci capirà questo, e tenterà di cooperare con gli atleti (sopratutti) e con le proprie federazioni, e corse, storiche, lasciando stare i diritti tv degli altri e il "marketing spicciolo" del doping, allora sì che sarà un nuovo giorno.
Fino ad allora, ci toccherà brindare - tra pochi intimi - ai successi di Greipel.


Mario Casaldi

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