Campionessa Bastianelli - L'iridata ci presenta la vera Marta
Versione stampabile Appuntamento alle 15 a Lariano. Paesino in provincia di Roma, parte dei cosiddetti "Castelli Romani". Una 500 nuova, color bianco, suona il clacson. Ci sono delle stisce iridate sul cofano, sulle fiancate e sul portabagagli: un regalo di una concessionaria di zona. Si percorrono un po' di stradine, poi ecco lo striscione che "saluta Marta campionessa del mondo", e più piccolo, in basso, il nome della strada: via Bastianelli ("Che ovviamente non è dedicata a me", precisa Marta, "ma al ceppo dei Bastianelli, che da sempre vivono a Lariano"). Si aprono le porte di casa, Marta si mette ai fornelli per preparare un caffè e dei biscotti, mentre ci racconta delle sventure fisiche del cognato Alessandro Proni e ci presenta il papà, che da buon padre si lamenta del mancato accordo tra i comuni di Lariano ed Artena per una corsa professionistica da inserire nel calendario internazionale ("Sarebbe stato stupendo avere una corsa qui con Marta campionessa del mondo, ma i politici fanno sempre confusione quando non ci sono elezioni a breve termine che interessano loro", ribadisce il Sig. Bastianelli) e si parla anche del celeberrimo "whereabout" dell'Uci, del Coni e della Fci, con Marta che si lamenta - come tanti, tutti - dell'assenza totale di privacy e libertà, infastidita anche dal fatto che non ci sia un fronte comune, tra i corridori, che possa far valere le loro ragioni. Dopo i preamboli, e le foto, iniziamo la chiacchierata con la campionessa del mondo Marta Bastianelli.
Non possiamo non iniziare chiedendoti di farci vivere gli ultimi chilometri del Mondiale di Stoccarda.
«Ci credete se vi dico che non mi ricordo niente? I miei ricordi si fermano all'ultima curva del circuito iridato, quando mi sono girata per l'ultima volta e, non vedendo nessuna delle altre atlete nelle vicinanze, ho finalmente capito di aver vinto. I chilometri precedenti a quel momento sono stati un'agonia: il ct Salvoldi mi ripeteva continuamente di non girarmi, di attaccare la strada, di lasciarmele tutte dietro, ma mi metteva un sacco di ansia, più che caricarmi. Così mi sono girata parecchie volte».
E subito dopo aver tagliato il traguardo per prima a cosa hai pensato?
«Non volevo salire sul podio. Giuro che è andata così. Sono andata dalla Bronzini e le ho detto che non volevo salire, che non era possibile che avessi vinto, che non ci credevo che stesse succedendo tutto alla sottoscritta. Poi Giorgia mi ha tranquillizzata, la Vos è venuta ad abbracciarmi, ed anche se non avevo ben capito chi era che mi stesse abbracciando, in quel momento, mi sono tranquillizzata e sono andata sul podio».
Ed ora? Hai capito di essere la campionessa del mondo?
«Lo sto realizzando pian piano, anche perché gestire tutto il contorno è molto difficile. All'inizio non riuscivo a capire: ero continuamente sballottata da una parte all'altra, e tra interviste e vari cerimoniali non ti accorgi nemmeno di quello che hai fatto. Ho iniziato a rendermene conto il giorno dopo la vittoria: ero in albergo da sola, tutto lo staff femminile era andato alla partenza dei pro', ed io ho avuto modo di ricostrurire la scena, ad occhi chiusi. È stato un bel momento».
Anche perché possiamo dire che la gestione "mediatica" delle vittorie non è che fosse un tuo cavallo di battaglia, fino a Stoccarda. Il Mondiale è stato la tua prima vittoria da pro'.
«Bel modo di iniziare, no? (sorride) Prima del Mondiale avevo fatto un sacco di piazzamenti (24 volte nelle prime 10 e 12 volte nelle prime 3, ndr), ed anche al Giro di Toscana, corso poco prima di Stoccarda, ero sempre davanti con la Cantele e la Arndt, ma non riuscivo proprio a piazzare la zampata. Non finii quella gara perché lo staff della Safi-Pasta Zara mi disse che stavo perdendo troppo peso, e tornando a casa prima dell'ultima tappa dissi a mio padre, in macchina: "Per quest'anno la stagione è andata", visto che sapevo che al Mondiale avremmo fatto la corsa per Noemi Cantele».
E tuo padre cosa ti rispose?
«Mi aveva vista correre bene in Toscana, e mi disse: "C'è sempre il Mondiale, non si sa mai...". Forse ci credeva più lui di me, anche se ero consapevole che sarei stata la seconda punta della Nazionale».
Sei del 1987 e sei una giovanissima campionessa. Durante quell'anno così florido per il ciclismo femminile, nacque anche una certa Marianne Vos. Cosa ci dici della fenomeno olandese? «Sono la campionessa del mondo in carica, ma so benissimo che Marianne Vos è più forte di me, almeno per ora. Tra di noi c'è un buonissimo rapporto, come vi ho detto a Stoccarda è venuta ad abbracciarmi prima della premiazione ed anche in corsa noto spesso che cerca il mio sguardo, magari prima di promuovere un'azione importante. È come se volesse dirmi: "Dài, che si va in fuga insieme...". La nostra rivalità sportiva, anche se condita dall'amicizia, potrebbe essere anche un motivo di interesse in più verso il ciclismo femminile».
Dopo l'Europeo di Sofia, quando arrivasti seconda proprio dietro la Vos, scrivemmo un articolo in cui benedicevamo il fatto che ti stessi confrontando con una campionessa vera. "Battere una fenomeno - dicevamo - dà più soddisfazioni". Sei d'accordo con noi?
«Senz'altro, anche se a caldo ti viene più da pensare: "Ma questa corre sempre senza squadra, sia nel club sia in nazionale, e vince 30 corse l'anno?! E se avesse avuto la squadra?". A volte lascia senza parole, mi ricordo che l'anno scorso durante il Giro di San Marino volava e vinceva gli sprint intermedi, i traguardi Gpm, il prologo e le volate finali. Una così rischia di diventare un incubo, anche perché non si limita alla strada, ma vince anche nel ciclocross e in pista. A proposito della pista, vi racconto un aneddoto...».
Prego.
«Durante l'inverno il ct Salvoldi era impegnato con la Nazionale su pista che correva una prova di Coppa del Mondo di specialità. C'erano la Carrara, la Bronzini, la Baccaille, la Cucinotta, la Guderzo: tutte ragazze che in pista vanno benone. Ad un certo punto inizia a girare anche un'olandese. Salvoldi la squadra, la riconosce, prende il cellulare e chiama Amadori, l'altro responsabile federale per il femminile: "Marino - dice il ct - c'è la Vos alla Coppa del Mondo su pista... siamo rovinati!».
In conclusione: averla come avversaria è un pro o un contro?
«Secondo me è un pro. Due anni fa vinse lei il Mondiale, lo scorso anno io. Già ai Mondiali juniores di Verona del 2004 eravamo a battagliare per la medaglia d'oro. E se anche qualche volta devi avvicinarla e chiederle di farti arrivare con lei, com'è successo a me agli Europei di Sofia, possono esserci delle occasioni in cui si può battere, soprattutto in prospettiva futura. Ad esempio, nelle categorie giovanili eravamo entrambe veloci, ma se io ho scelto di perdere qualche chilo, e dunque un po' di potenza in volata, per migliorare in salita, mi sembra che invece lei abbia preferito lavorare sulla massa muscolare, perdendo qualcosina in salita. E poi lei potrebbe aver maturato prima, io potrei avere ancora qualche anno di crescita, chi lo sa?».
Spiegaci un po' meglio il finale dell'Europeo di Sofia.
«Quando è scattata sono riuscita a starle dietro, ma lei quel giorno aveva un altro passo, lo dico senza vergogna. Ero lì agganciata con le ultime energie, e la buona riuscita della fuga è dipesa unicamente dalla sua condizione stratosferica. Con una Vos così, a me andava bene anche il secondo posto: lei ha evitato di staccarmi nel finale, ed io non ho fatto la volata. Anche se ho preso un po' di rimproveri da parte dello staff tecnico della Nazionale, credo che alla fine la lealtà paghi sempre».
Le tue compagne di Nazionale come hanno reagito alla Bastianelli iridata?
«Secondo me qualcuna ha pagato lo scotto, e lo dico con un po' di dispiacere ma allo stesso tempo con il realismo di chi sa che a caldo, dopo una vittoria così importante, tutti ti coccolano e ti sono vicino, anche solo per una fotografia, mentre col passare del tempo iniziano un po' i dissapori e le dicerie. La stessa Cantele voleva molto il Mondiale, lo vedevo com'era carica, e forse anche troppa pressione e troppe aspettative le hanno fatto fare più di qualche errore in corsa. Eravamo in camera insieme, e la notte prima della gara non dormì molto, era agitatissima. Anche durante le fasi di corsa mi guardava spesso, mi sembrava preoccupata da me, anche perché tutte le altre ragazze avevano fatto il loro compito, ed io ero la "carta" per gli ultimi giri: Noemi sapeva che pedalavo forte, in Toscana abbiamo battagliato spesso e volentieri, e dopo l'ultima accelerata della Tamanini, che doveva spianare la strada al mio attacco, partì decisa lei. Io rimasi un po' interdetta, ma mi limitai a controllare. L'unica che seguì Noemi fu la Vos, e di certo la varesina non poteva portare l'olandese allo sprint. Si rialzò, il gruppo le riprese, e in quel momento partii io: in un certo senso, dunque, è stata proprio la Cantele a mischiare i ruoli in quel Mondiale».
Torniamo alle origini: quando hai iniziato ad andare in bicicletta? «Ho iniziato nella categoria G5, mi pare avessi 15 anni. C'era un gruppo di Lariano che allenava dei ragazzini ed io mi sono unita a loro. Ho corso le prime gare sempre insieme ai ragazzi, tant'è che, abituata a certi ritmi e a certi chilometraggi, la prima corsa femminile la vinsi da sola con 3 minuti di vantaggio sulle altre. E quello che a parole può sembrare un trionfo, vi assicuro che è stata una comica: scattai a comando, visto che nel giro precedente il mio allenatore mi indicò il punto dove avrei potuto fare la differenza. Andai via abbastanza forte, e ad un certo punto dietro a me non vidi più nessuno: "Ho sbagliato strada!", pensai, temendo il cazziatone del mio allenatore una volta tornata in albergo. Stavo per fermarmi e tornare indietro, quando arrivò una moto che mi incitò ad andare a vincere, visto che le avversarie erano tutte molto distanti».
Come nasce la passione per la bici ad una ragazza della provincia romana?
«Io devo tutto ai miei cugini, anche perché qui a Lariano ci sono tutti i miei parenti e nelle vicinanze di casa, quando ero piccola, spesso restavo sola a giocare perché i miei cugini andavano ad allenarsi in bici. Fu così che mi convinsero: "Dài, Marta, vieni in bici con noi, così quando torniamo giochiamo insieme". Da allora è passato un po' di tempo, ma comunque sempre con i "maschi" mi alleno: tra Alessandro Proni, mio cognato, e i vari cicloamatori di zona, la compagnia non mi manca mai».
E non ti pesa essere l'unica ragazza? Non hai mai pensato di trasferirti da qualche parte per avere più compagnia?
«A Lariano ci sto benone ed ho tutto quello che mi serve. Trasferirmi sarebbe solo un ulteriore problema da affrontare, e francamente adesso di altri problemi non ne ho assolutamente bisogno. E poi qui so gestirmi, so com'è il tempo, so i percorsi da fare per tutti i tipi di allenamento, ed ho anche una buona compagnia, che "sfrutto" soprattutto quando devo fare distanza. Ma quando ho bisogno di lavori specifici preferisco allenarmi da sola».
La tua vittoria nel Mondiale ha smosso qualcosa a livello di ciclismo femminile nella zona?
«No, devo dire di no. Ed è un peccato. Ci sono alcune bambine che vanno in bici, qui nella provincia, ma la situazione non è certamente migliorata da quando ho vinto il Mondiale».
Come hai gestito l'inverno da campionessa del mondo?
«I primi tre mesi sono stati di fuoco. Ho cercato di gestire il tutto con la massima tranquillità, e quando avevo bisogno di svagarmi uscivo in mountain bike».
Anno 2008: la campionessa del mondo è attesa alla conferma.
«Lo so, ma sono consapevole che la squadra c'è, siamo unite, e quindi sono relativamente tranquilla. A volte io tendo ad isolarmi, ma in queste occasioni, con questa maglia, sto più spesso in gruppo, anche per non risultare come "la musona che vuol stare in disparte". E poi sono una ragazza che non ha molte pretese, né a livello di meccanica per quanto riguarda la bici, né a livelli più di contorno, come ad esempio sulla fornitura di materiale, di vestiario, ed altro. Anche se su questo qualche pensiero in più ce lo faccio volentieri: bisognerebbe iniziare ad avanzare qualche pretesa in più anche da parte di noi ragazze, soprattutto per le generazioni future che vorranno fare le professioniste».
Parli di compensi?
«In questi giorni ho compilato la domanda per arruolarmi nella Polizia penitenziaria, proprio per assicurarmi un futuro, visto che il professionismo femminile non ti permette di fare programmi a lunga scadenza, neanche se sei la campionessa del mondo. E poi, sapete, quando e se mai prenderemo il premio per la vittoria di Stoccarda, penso che neanche lo incasserò, vista la cifra irrisoria. Con quei pochi soldi farò felice qualcun altro che ne ha sicuramente più bisogno di me».
Prima corsa a Brissago, e primo "scacco matto" da parte della Bigla: Cantele e Brändli che ti attaccano e tu "solo" terza.
«Già (sorride). Credo che quest'anno sarà spesso così, anche se spero vivamente che qualche giovane in squadra possa crescere e starmi più vicina nei finali. Sarebbe importante soprattutto a livello psicologico».
Ce lo spieghi lo sdoppiamento tra la Safi e la Titanedi? È stato fatto per permettere alla Bronzini di giocarsi le proprie chance?
«Lo staff tecnico ce lo ha motivato come un metodo per far correre maggiormente le giovani, che altrimenti si sarebbero ritrovate spesso a guardare le più forti sei atlete correre. È anche vero che la Bronzini è un'atleta forte, ed è una che se non può fare la sua corsa va via di testa. Da parte mia spero che non succederà nessun tipo di confusione in corsa, perché in fondo il management dei due team è lo stesso, ma ai giudici non penso andrà bene se un'atleta della Titanedi lavorerà per la sottoscritta, o viceversa tra una maglia Safi e la Bronzini».
Ci dicevi che nelle categorie giovanili eri più veloce. Il tuo è stato un cambiamento voluto o casuale?
«È stato voluto, visto che tra le professioniste ci devi arrivare a disputare la volata, e spesso ci arrivi con belle salite nelle gambe. Ho perso un po' di peso crescendo, ed ho sfruttato la cosa per migliorare in salita, seppur abbia perso molto lo spunto in volata. Da juniores vincevo quasi solamente in volata, ora invece gli sprint di gruppo neanche li faccio».
Sai che a differenza dello scorso anno un buon risultato come l'8° posto al Fiandre diventerà un risultato mediocre, per una campionessa del mondo?
«Lo so benissimo, e la cosa mi spaventa un pochino. Prima non davo assolutamente peso alle gare, anche perché la squadra partiva sempre con una leader che non ero io, e quando lo staff mi chiedeva di fare la corsa, io tendevo sempre un po' a nascondermi. Avere la squadra a disposizione è una responsabilità grande che a volte può frenarti. Quest'anno sarò costretta, e non è detto che la cosa sia un male. Maggiore responsabilità vorrà dire anche crescere, sia come atleta, sia come donna».
Quindi è superfluo chiederti gli obiettivi stagionali.
«È innegabile che gli Europei Under 23 di Arona e le Olimpiadi di Pechino siano in cima alla lista dei desideri. Però io sono una che non sa tirare i freni, e a maggior ragione lo farò quest'anno con questa maglia addosso. Anche a Brissago ero lì che soffrivo in salita, e continuavo a dirmi: "Non mollare Marta, non puoi fare brutta figura". Dopo Stoccarda ne parlai anche con Bettini, che venne a farmi i complimenti: "Sarà difficile vincere tante gare", gli dissi. Alché lui mi rispose: "Devi stare tranquilla, ora la campionessa del mondo sei tu. Io quante ne ho vinte con questa maglia? Una", e poi aggiunse: "E con domani due". Come andò, ce lo ricordiamo tutti».
E il Mondiale di Varese?
«Il Mondiale di Varese è parecchio lontano e prima ci sono tante corse importanti, dove sarà importante ben figurare. Correrò anche il Giro d'Italia come preparazione all'Olimpiade, ma per come sono - lo ripeto - non metto limiti a quello che potrò fare: se corro, corro per far bene. In alcune tappe aiuterò le compagne, in altre proverò a testarmi, soprattutto sulle montagne lunghe e dure, anche per vedere se posso combinare qualcosa di buono in futuro per la corsa rosa».
Prima della vittoria iridata, era più l'arrabbiatura o prevaleva la rassegnazione per i tanti piazzamenti senza mai riuscire a vincere?
«Non saprei definirle, le sensazioni che vivevo. Quello che è sicuro è che non riuscivo a scaricare la tensione che accumulavo durante le corse. Nel momento in cui vinci ti senti più leggera, più libera, mentre se ti piazzi spesso e non vinci mai rischi solo di farti del male, perché sei sempre a tutta e non riesci mai a staccare, soprattutto di testa».
Abbiamo parlato della Vos: ci sono altre atlete che ti piacciono? Una magari più grande di cui ti piacerebbe ripercorrere la carriera.
«Se devo dire un nome secco, dico Nicole Brändli, anche per una questione fisica. E poi perché negli appuntamenti importanti c'è sempre, ed anche parlandoci mi sono resa conto che è una persona tranquilla e schietta. Subito dopo viene la Pucinskaite, e poi la Luperini e la Cantele, anche se le prime due sono più vicine alle mie caratteristiche, nonostante io a crono vada molto più piano di loro».
Ecco, appunto. Delle cronometro che ci dici?
«Disastro completo. Dovrò allenarmi per migliorare in questo fondamentale, perché se vuoi andar bene nelle corse a tappe non puoi permetterti di lasciare troppo tempo alle avversarie. Ecco, se c'è una cosa in cui la Vos va piano, è la crono. Tranne i prologhi, ovviamente».
Come ti poni nei confronti del ciclismo maschile? Ti piace? Lo guardi?
«Guardo le corse, e spesso penso che sarebbe bello avere il loro stesso spazio mediatico, sia nelle tv, sia sui giornali. E invece per sapere le prime dieci della corsa di Brissago ho dovuto aspettare giorni, così come per guardare la corsa di Cornaredo, con una striminzita sintesi Rai neanche pubblicizzata».
Come si può migliorare la vendibilità del prodotto "ciclismo femminile"? «Penso che dovremmo essere brave anche noi a saperci proporre ad alcune aziende che potrebbero legare la loro immagine al nostro status di atlete donne: penso a dell'intimo, anche sportivo, o magari a delle pubblicità di cucine, di giardinaggio, di prodotti legati alla casa. O magari, visto che noi ragazze siamo "fissate" con le diete, si potrebbe proporre un ricettario delle cicliste. Sarebbe simpatico».
Tu hai avuto proposte in tal merito?
«Mi ha contattato un'industria che produce porte, ma non ho mai avuto tempo per approfondire la questione. Però una sola azienda per una campionessa del mondo mi sembra un po' poco, no?».
Certo che sì. Proviamo a far qualcosa insieme?
«Va benissimo. Allora agli appassionati di ciclismo femminile consiglio di seguire Cicloweb, perché vorrà dire anche seguire da vicino me. A presto!».
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