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Bruseghinha sotto i baffi - «Il ciclismo è solo un bel gioco»

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Lo scorso anno, da gregario di Damiano Cunego, si è tolto la grande soddisfazione di vincere la cronoscalata del Giro d'Italia, chiudendo ottavo in classifica generale. Nel 2008, a 33 anni compiuti, il principale obiettivo di Marzio Bruseghin sarà ancora quello di aiutare i suoi capitani e, nelle poche occasioni in cui sarà libero da questi compiti, ovvero nelle prove a cronometro, darà il meglio di sé, per convincere il ct a fargli vestire una maglia azzurra alle Olimpiadi e ai Mondiali.
Marzio, più di qualcuno ti considera il miglior gregario in circolazione. Che pensi di questa osservazione?
«Innanzitutto sono molto orgoglioso di questa definizione, anche se, secondo me, ultimamente, il termine "gregario" è un po' usato a sproposito. Secondo me non è semplicemente un corridore che, accortosi di essere meno forte dei corridori vincenti, si mette a disposizione di un capitano, magari portandogli una borraccia di tanto in tanto. Un gregario, per me, è molto di più: deve saper leggere una corsa, deve saper consigliare il capitano, sapergli stare accanto nel momento di difficoltà. Insomma, come era inteso una volta, nel ciclismo di qualche decennio fa».
Obiettivi personali per il 2008?
«Innanzitutto dare una mano a Damiano (Cunego, ndr), Ale (Alessandro Ballan) e Danilo (Napolitano), quando saranno presenti. Quando non ci saranno, e mi sarà chiesto di prendermi le responsabilità da capitano, certo non mi tirerò indietro. Poi, in vista di Pechino, sicuramente avrò un occhio di riguardo per i lavori specifici per le crono, cercando, nelle varie prove contro il tempo, di convincere il ct a farmi indossare la maglia azzurra alle Olimpiadi e ai Mondiali e, perché no?, di vincere qualche corsa».
Secondo te perché negli ultimi anni l'Italia non ha avuto specialisti delle cronometro a livello mondiale?
«L'Italia, dopo gli anni di Moser, ha avuto un calo di interesse a livello giovanile per la cronometro. Secondo me, i giovani andrebbero maggiormente incitati a confrontarsi con la crono, non facendoli crescere soltanto con il mito del Giro d'Italia o della Milano-Sanremo. Negli ultimissimi anni sto vedendo che qualcosa si sta muovendo in questo senso; spero che tra qualche tempo anche l'Italia possa avere il suo campione del mondo a cronometro».
Puntiamo il focus su uno dei momenti più importanti della stagione: la maxi-fuga al Giro sul passo della Futa, nella tappa di Fiorano Modenese, seguita qualche giorno dopo dalla vittoria nella cronoscalata di Oropa. Hai mai pensato, come più di qualcuno ti ha imputato, di lasciare Damiano Cunego al suo destino e provare a fare la tua corsa?
«Quella tappa, e tutto il Giro d'Italia, la Lampre l'ha corso per Damiano Cunego. Il nostro obiettivo era quello di avere più uomini possibili in alta classifica per poter attaccare i nostri avversari. Con quell'attacco, Patxi (Vila, ndr) ed io abbiamo messo la squadra in una posizione privilegiata rispetto alle varie Saunier Duval, Liquigas e Astana, anche se nelle tappe successive le carte in tavola sono cambiate. Parlo anche a nome di Vila, perché sono stato in camera con lui: quella sera eravamo entrambi convinti che il nostro obiettivo fosse solo quello di aiutare Cunego, da lì a Milano».
Come mai allora non si è più vista una fuga con te o Vila e raramente eravate in testa al gruppo a tirare per Damiano?
«Sicuramente da quel momento è stato molto difficile andare in fuga per via della nostra posizione in classifica, ma c'è da dire che ci abbiamo provato, eccome. Poi, anche noi abbiamo i nostri limiti e, nelle ultime tappe, almeno io, ero molto, molto stanco».
Altra critica mossa alla Lampre degli ultimi due anni: i gregari conducono la corsa da padroni per poi vedere Cunego fallire lo scatto decisivo nel finale. È vero che queste continue débâcle di Cunego hanno incrinato il rapporto tra lui e i suoi migliori gregari?
«Niente di tutto questo. Io e tutti gli altri, quando siamo arrivati alla Lampre, sapevamo cosa attenderci. I patti sono stati sin dall'inizio chiari, e quindi è normale che ci si richieda un certo tipo di lavoro. Sappiamo che in questi due anni Damiano ce l'ha messa tutta per poter vincere e io, al posto dei ds, avrei corso alla stessa maniera, dando fiducia a quel grande talento che è Cunego».
Cosa ti ha lasciato la tua lunga esperienza all'estero, alla Banesto?
«Senza dubbio la consapevolezza che tutto il ciclismo è un gioco. Il Marzio che era andato in Spagna era molto diverso: prendevo il mio lavoro molto più sul serio, perché in Italia siamo abituati a considerare tutto una questione di vita o di morte. Ora ho imparato a valutare ogni cosa con la giusta importanza, senza eccessivi patemi, e ciò sicuramente mi fa vivere meglio».
Chi, tra i tanti personaggi con cui hai lavorato nel mondo del ciclismo, ti ha insegnato di più?
«Certamente Ferretti. Con i suoi modi un po' burberi, un po' da padre se vogliamo, è stato un punto di riferimento. Tra i capitani, ho un ottimo ricordo di Zaina e di Zülle».



Giuseppe Cristiano

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