S'ode il Grillo frinire - Finalmente il timbro di Bettini
Versione stampabileA voler essere scaramantici, si dovrebbe dire che davvero quella maglia una certa aura di negatività ce l'ha. "Quella maglia" è quella iridata, e la negatività è quella che si dice accompagni la stagione successiva all'affermazione in un Mondiale. A volte questa diceria trova riscontri corposi (chi ricorda il doppio Bugno o il Museeuw post-Lugano?), altre volte all'iridato di turno riescono ugualmente dei colpacci (Boonen al Fiandre), e probabilmente è tutto un caso ciò di cui stiamo parlando.
Però ad analizzare l'annata di Bettini, gli scaramantici di cui sopra qualche dubbietto se lo saranno fatto venire, visto che, tolto il successo ormai epico (visto che se ne parla da mesi e mesi) al Tour della California, al toscano non è rimasto in mano molto più che un pugno di mosche: una caduta dietro l'altra, un problema dietro l'altro, una sconfitta dietro l'altra. Passate in cavalleria le "sue" corse (un quarto posto alla Liegi non salva una stagione per un corridore del genere), passato un po' in sordina il Giro (avesse beccato una fuga buona!), passata quasi tutta l'estate a ritrovare la forma, rieccolo qui a fare due chiacchiere col finale di stagione, per vedere di raddrizzare il bilancio.
E tale dialogo non può che passare dalla Vuelta, trampolino ideale per quel Mondiale che poi, jella successiva o meno, è nella testa di tutti i corridori, e averlo già vinto non sminuisce di certo il desiderio di riprovarci.
Passato sotto l'uragano Freire ieri, Bettini aveva lo stimolo per prendersi una rivincita, e deve ringraziare gli organizzatori di Unipublic per avergli messo immediatamente a disposizione un traguardo adeguato alle sue bisogna.
In corsa, dopo la consueta fuga quotidiana (che oggi ha coinvolto un bel nome come De La Fuente e poi Vallejo e il giovane Serafin Martínez), una serie di movimenti interessanti hanno anticipato il tortuoso finale di Luarca. Proprio la Quick Step, conscia dello stato tendente al rialzo del suo uomo più in vista, ha forzato per mettere in difficoltà i rivali di Bettini; e pazienza se tra questi rivali sia capitato anche Boonen, compagno di squadra del Grillo e tra i primi ad andare in sofferenza sulla salita di Babia, posta a 35 km dal traguardo e scelta dal team belga per inscenare la sua tattica.
Pazienza, perché insieme al Tornado di Mol, sono rimasti senza ossigeno anche altri personaggi scomodi, a partire da Petacchi, proseguendo con Clerc e Chicchi.
Quello che forse i Quick Step non si aspettavano era che poi, una volta passati in vetta al Gpm, fossero gli Euskaltel a rilevare la testa del pelotón e ad accollarsi tutto il lavoro di sfinimento ai fianchi. Gli arancioni, con in testa il progetto di favorire qualche imboscata del capitano Samuel Sánchez, che è uno molto sveglio e bravo, hanno spinto più che mai tra la discesa e il falsopiano successivo, ma sono stati interrotti nel loro impegno da un'inopinata caduta di Zubeldia, incappato in un birillo di segnalazione posto malissimo, in fila con altri, in mezzo alla strada dall'organizzazione (ma è possibile mettere così a repentaglio la vita di chi pedala? UCIIIIIII!!!). Il povero Haimar, catapultato giù dalla bici, ha eseguito un avvitamento in avanti con atterraggio sull'asfalto e conseguente frattura di una clavicola. Ay que dolor e ciao Vuelta (anche se Zubeldia la tappa l'ha comunque portata a termine).
In ogni caso, il grosso del lavoro era già fatto, e non restava, ai big, che attendere lo strappetto finale su cui esplodere la volata a ranghi non compatti (con un gruppo formato da un centinaio di unità, che si è ulteriormente ridotto a 69 lungo la breve scalata). Freire, solito gran volpone, aveva capito tutto della vita, e si era incollato alla ruota di Bettini. Peccato per il cantabro che l'attimo di indecisione sia giunto per lui proprio nel momento topico, ovvero quando Paolino si è lanciato nella finalizzazione della giornata lavorativa: ai 250 metri il Campione del Mondo è scattato, scartando verso destra e uscendo repentinamente dalla ruota di Allan Davis.
Lì, inspiegabilmente, Freire ha esitato. E quando si è finalmente messo in caccia del livornese, quello aveva già qualche metro di vantaggio, e poteva gestire a piacimento la sua posizione alla transenna: evitando, ovviamente, di lasciare tra sé e il margine della strada lo spazio necessario perché l'inseguitore passasse.
Una manovra di linearità invidiabile, e poco aveva Oscarito da agitarsi e da sbraitare, inveendo contro Bettini per non aver trovato il pertugio: siamo certi che Freire ce l'avesse più con se stesso, per l'attimo di incertezza e la successiva mancata rimonta, che con l'amico-rivale.
Fatto sta che Bettini, battendo un Freire che probabilmente (per non dire sicuramente) gli è (ancora) superiore, ha dimostrato quello che non occorreva dimostrare: e cioè che resta un grandissimo, e che da qui a Stoccarda, se continuerà ad affinare la preparazione e non incapperà in altre avversità, avrà tutto il tempo e il modo di convincere i bookmakers ad assegnargli la quota più bassa tra i favoriti per l'iride. Noi non siamo scaramantici, ma un'incrociatina di dita, non si sa mai, gliela concediamo volentieri.