Quello dei Campi Elisi - Bennati: «Stoccarda? Chissà...»
Versione stampabileDue perle in un Tour de France che ha sorriso pochissimo a chiunque, ma in particolar modo agli italiani, nonostante Pozzato ad Autumn avesse già invertito la rotta. Non c'era Petacchi, non c'era Cunego, non c'erano Di Luca né Simoni, Savoldelli se n'era già tornato a casa con tutta l'Astana, di Moreni neanche ne parliamo: praticamente era rimasta solo la banda Lampre, che già s'era fatta vedere nelle prime tappe con le volate di Napolitano, con Bossoni in bella evidenza in fuga e un Ballan un po' imballato (scusate il gioco di parole) nella condizione. Poi il ritiro anche di Pozzato, e il peso delle responsabilità tutto sulle spalle di Daniele Bennati, aretino portato al Tour per i successi di tappa e per la lotta con le altre ruote veloci per la Maglia verde finale.
Daniele Bennati durante l'ultimo Tour de France ci ha regalato, e si è regalato, due belle emozioni: ce la fai a descriverle a parole?
«Sono state due vittorie dissimili, una diversa dall'altra: la prima è arrivata dopo una lunga fuga, dopo un'azione di forza, dove apparentemente era più facile spuntarla, viste le mie doti veloci, ma invece è stata durissima, soprattutto perché c'erano tre bei passisti da controllare nel finale. E poi al Tour non è mai facile beccare la fuga buona, quella che giunge fino all'arrivo, figuriamoci poi vincere».
E i Campi Elisi?
«Quelli rappresentano una storia a parte. Ho già avuto modo di dirlo, con le parole non riesco proprio a descrivere ciò che ho sentito in quel momento e negli attimi subito dopo. Sicuramente sono state sensazioni particolari, perché vincere a Parigi per un corridore con le mie caratteristiche rappresenta un sogno, e per qualche giorno non ci ho creduto, vi dico la verità. Poi ho dovuto fare i conti con la realtà delle cose, e ripensando a quell'Arco di Trionfo lì sullo sfondo, che sembrava tutto mio in quegli istanti, qualche lacrima è scappata, non me ne vergogno. Ci credevo di poter vincere, sapevo e so che è nelle mie possibilità, ma è stato comunque un bellissimo fulmine a ciel sereno».
Anche perché le due vittorie sono arrivate dopo un inizio di Grande Boucle che è stato tutto fuorché positivo.
«La prima settimana è stata veramente un incubo. A parte la scelta della squadra di portare un altro uomo veloce, che non ho condiviso molto e continuo a non capire, la caduta di Gand ha seriamente rischiato di compromettere la mia avventura in Francia. Avevo dolori ovunque, ho pensato molte volte di mollare, abbandonare e tornarmene a casa. Non mi sentivo competitivo, e invece per fortuna il finale di corsa m'ha lasciato qualche energia in più rispetto agli altri, ho recuperato bene, e a questo punto mi può anche andar bene l'inizio difficile, visto il finale meraviglioso».
Già in un'altra tappa precedente il successo di Castelsarrasin avevi provato l'azione da lontano, ma non era andata a buon fine. Solo colpa del ventaglio Astana oppure le tue caratteristiche veloci avevano sconsigliato agli altri di collaborare?
«La fuga penso sarebbe anche potuta andare all'arrivo se non fosse stato per il lavoro della Liquigas e di altre squadre, che s'erano fatte scappare il treno giusto per anticipare i velocisti puri. Poi quando siamo stati ripresi e l'Astana ha creato il buco col ventaglio, io ero già stanco per la fuga, quindi ho preferito non dannarmi l'anima e riprovarci in seguito. Direi che anche quella è stata una mossa che ha pagato».
Messo da parte il Tour de France, qual è il tuo programma futuro?
«Sabato correrò il Giro del Lazio, poi sarò presente alla Vattenfall Cyclassics di Amburgo e correrò la Vuelta a España».
Visto il percorso del Lazio, possiamo dire che il primo prossimo obiettivo è Amburgo?
«Assolutamente sì. Correrò il Giro del Lazio in appoggio alla squadra e per riprendere il ritmo gara. Amburgo è invece una gara adatta alle mie caratteristiche, e proverò senz'altro a fare il risultato pieno. La Vuelta sarà corsa ricercando un successo di tappa, sulla falsariga del Tour de France, e per trovare la condizione migliore in vista della Parigi-Tours».
La sconfitta per pochi centimetri del 2005 t'è rimasta sul gozzo, eh?
«Senz'altro, perdere per pochissimo non è mai facile da accettare».
E il Mondiale di Stoccarda? Non ci fai neanche un pensierino?
«L'ambizione c'è tutta, ma c'è da convincere anche il ct Ballerini, mica è così facile farsi convocare. Dal canto mio ce la sto mettendo, e ce la metterò tutta, in fondo questo Tour de France ha dimostrato che so vincere, sì, ma so anche lavorare per la squadra, e soprattutto ha dimostrato di non essere un "velocista" nel senso stretto del termine. Non pretendo mica di essere l'uomo di punta della Nazionale in Germania, ma io dico che nella rosa dei convocati ci potrei benissimo stare».
In effetti vedere una ruota veloce tirare il gruppo Maglia gialla in salita al Tour de France non è cosa da tutti i giorni.
«Al Tour le salite non è che siano particolarmente dure. Sono lunghe, quello sì, ma al Tour la differenza maggiore la fa il caldo e la motivazione dei corridori che si vogliono giocare la corsa. Perché, anche se ci sono 18 o 20 km di salita, il pignone dietro più in alto del 25 non va».