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Ombra Zabel, toppa Davis - Allan esulta, Erik non visto lo beffa

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Ora che non si dica che gliel'abbiamo tirata, a Oscar Freire: del resto come avremmo potuto immaginare che per fermarlo ci sarebbe voluta una laocoontica caduta di mezzo gruppo a poco meno di 2 km dal traguardo?
L'arrivo si prestava al volatone, e anche Freire - come ha dimostrato nei giorni scorsi - ultimamente si presta bene ai volatoni, quindi il matrimonio aveva tutto per essere combinato anche oggi. Ma siccome la scienza esatta non ha ancora preso possesso nel campo dello sport, ecco che l'imprevisto ha mandato a monte tutti i pronostici e ci ha restituito, nel ruolo di vincitore, un corridore che c'è sempre, e che ha dimostrato, da perfetto vecchio Achab, di saper superare indenne anche le peggiori tormente: e laddove Jan Ullrich è andato a fondo, colpito e distrutto impietosamente da chi lo aveva amato fino a pochi mesi fa (o fingevano di amarlo?), Erik Zabel (e sì che è lui il nostro capitano coraggioso) è sempre lì, a inseguire la sua personalissima Moby Dick (che nel caso, anziché bianca, potrebbe essere colorata di arcobaleno), e nel frattempo non disdegna di pescare anche in altri mari.
Per esempio in quelli della Vuelta, dove in passato il tedesco ha fatto incetta di secondi posti, e dove oggi come oggi è presente per aiutare il ritorno in auge di Petacchi. Ma AleJet fatica, e non è nemmeno troppo fortunato (c'è la caduta e lui resta dietro, e i compagni avanti), e allora arriva il momento di rimboccarsi le maniche in prima persona e piazzare la botta: questo Erik ha fatto, oggi a Saragozza.
Della fuga di comprimari (due, e oggi proprio comprimari fino al midollo: il giovane Rosendo Prado, e Raul García de Mateo) c'è poco da dire, se non che è stata ripresa come consuetudine nel finale e ha dato un po' di visibilità a ragazzi e (soprattutto) squadre che ne hanno bisogno (Andalucía e Relax). C'è invece da parlare dello sprint, anzi, di quello che è successo prima.
Dopo che la Milram ha messo in fila il gruppo col suo treno, operativo dai meno 5 ai meno 2, gli uomini di Stanga si sono messi un attimo in disparte, in attesa di rilanciare per lo sprint, ma lì il plotone si è fatalmente intruppato, vista la diminuita velocità di chi tirava. E prima che qualcun altro (ci stava per provare la Quick Step di Boonen) rilevasse il compito di fare l'andatura, una doppia curva sinistra-destra è stata fatale, tirando giù una ventina di corridori nelle primissime posizioni.
Risultato, solo pochissimi eletti si sono ritrovati davanti a giocarsi la tappa, con tutti gli altri rimasti dietro a pensare a salvarsi dal ruzzolone, rinviando a data da destinarsi i bellicismi.
Alla ruota di Tonti, che tirava in quel momento, sono da subito rimasti solo in 4: Korff, Luis León Sánchez, Gilbert e, guardacaso, Zabel. Che Tonti, una volta resosi conto dello sciupìo alle sue spalle, decidesse di smettere di tirare per una volata che non esisteva più, era anche comprensibile (tantopiù che il marchigiano aveva già speso con la trenata quello che il suo ruolo richiedeva); ma che gli altri tirassero i remi in barca, lo si capisce già meno: soprattutto Gilbert, che nei giorni scorsi è stato tra i più attivi alla ricerca di un piazzamento (e probabilmente di un'investitura da vice-Boonen per Stoccarda), avrebbe potuto dare impulso all'azione a cinque, visto che al traguardo mancava poco più di un chilometro, e dietro gli immediati inseguitori erano impegnati principalmente a riorganizzarsi.
Lo stesso Korff, di fronte alla possibilità di giocarsi uno sprint ristretto, ha cincischiato malamente, e così, di lì a poco, con nessuno che prendeva in mano le redini della diligenza, sono arrivati da dietro quelli che non avevano smesso di crederci. E tra loro, come sbagliare!, Paolo Bettini. Ma anche altri ragazzi veloci, come Allan Davis, Koldo Fernández e Alex Usov. Di fatto, col traguardo sempre più vicino, si prospettava comunque uno sprint ristretto: e una volatina da 10-12 uomini induceva tutti a leccarsi i baffi per quello che avrebbe potuto fare Bettini.
Ma evidentemente Paolino aveva speso qualcosa per rientrare, e infatti non è stato in grado di esprimere tutta la potenza che sarebbe stata necessaria. La volata l'ha lanciata Korff, che ce l'aveva scritto chiaro in faccia da mezz'ora che non avrebbe mai vinto. Dalla sua ruota, come una furia a centro strada, ecco uscire ai 150 metri Davis, con un impeto tale da far capire subito a Bettini, che vanamente lo tampinava, che non avrebbe potuto superarlo. E l'australiano ci ha creduto talmente tanto, e se li è visti così nettamente tutti dietro, da esultare con un gesto liberatorio sotto lo striscione. Purtroppo per lui, però, ha preso un abbaglio. Ma un abbaglio nel vero senso della parola, perché mentre il ragazzo era tutto assorto a godersi il bacio del sol dell'avvenire (avvenire rappresentato dal ritorno al successo), l'ombra della sconfitta si materializzava alla sua sinistra, probabilmente fuori dal suo campo visivo: Zabel, laterale rispetto a Davis, e soprattutto protetto proprio dal cono d'ombra (appunto) dato dalle tribune, è sbucato come una saetta e non è risultato gestibile dall'uomo Discovery (che forse, se si fosse accorto dell'incipiente pericolo, avrebbe trovato il modo di porvi rimedio).
E insomma, una bella volata, una bella storia (anche un po' divertente, se vogliamo, povero figliuolo), e una candidatura - quella di Zabel al ruolo di capitano (o almeno co-capitano) della nazionale tedesca a Stoccarda - che prende decisamente quota. Questo qui, malgrado gli anni, le avversità, il moltiplicarsi dei piazzamenti (qualcuno li chiama con un altro nome: sconfitte), è ancora capace di vincere, e non dimentichiamo che l'anno scorso solo per pochissimo non gli è riuscita l'impresa iridata: il fatto che oggi - esattamente come a Salisburgo dodici mesi fa - sia stato tra i più veloci a capire gli sviluppi del finale e a trovarsi nel gruppetto giusto, la dice lunga sulla sua sapienza tattica e tecnica.
Ora il rutilante mondo delle volate si eclissa per qualche giorno (e chissà quanti dei suoi protagonisti rivedremo dopo crono e montagne), e lascia spazio a quelli che le braccia le vogliono alzare a Madrid, sul podio delle premiazioni finali. Domani la prima delle due prove contro il tempo, sempre a Saragozza: una frazione di 52 km, praticamente un biliardo (ma leggermente digradante, fatto che darà una manina a quelli che sono meno specialisti). Se ci sarà pure un po' di vento a favore, rischia di diventare una delle crono più veloci della storia dei grandi giri (del resto la Vuelta ci ha abituati a simili record negli ultimi anni). Su Efimkin che difende la maglia oro dall'assalto di Menchov, non ci scommetterebbero nemmeno Andersen e Perrault, ma bisogna vedere se Menchov saprà resistere a Devolder, che contro il tempo è un bel treno e che rischia di essere, domani, il nuovo leader della gara.
Occhio anche a Evans, che è lì a 18" dalla coppia appena citata, e speranze che Piepoli, che è nel gruppo che conta, non coli totalmente a picco. Perché poi arrivano le salite, e se Leonardo non perde troppo (anche se - razionalizzando - il pugliese finirà col pagare almeno 5' al vincitore di giornata), il suo ruolo in questa Vuelta sarà tutto da scrivere.

Marco Grassi

 

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