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Damiano canta i Doors - Cunego parla di musica e ciclismo | Cicloweb

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Damiano canta i Doors - Cunego parla di musica e ciclismo

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In attesa del suo ritorno in gara al Tour de Suisse, dopo un breve riposo post-Giro, Damiano Cunego accetta di affrontare l'argomento che, dopo il ciclismo, più lo fa fremere di passione: la musica. Più precisamente, la musica rock. Più precisamente, i Doors.
Da dove cominciamo? You know that it would be untrue...
«Eh... già... Light my fire!».
Non rispondi con il verso successivo?
«No, ora non lo ricordo precisamente».
Che tipo di fan sei? Hai tutti i dischi, conosci le canzoni a memoria, sai vita-morte-miracoli dei componenti della band?
«Sì, ho tutti i dischi, anche quelli che sono usciti negli anni successivi, e compro anche tutti i libri sui Doors che trovo in giro, sui testi non sono ferrato come qualche anno fa, li avevo imparati ma ora ho poco tempo per ripeterli».
Qual è il tuo disco dei Doors preferito?
«Il primo, quello intitolato appunto "The Doors": ci sono tutte le canzoni più belle».
E son passati 40 anni, ti rendi conto?
«Eh, il tempo passa in tutti i campi».
Ti immagini quel 1967? I Doors esordiscono, i Beatles registrano Sgt. Pepper e lì a Abbey Road, nella sala accanto, i Pink Floyd incidono il loro primo album; Jimy Hendrix pubblica anche lui il suo primo disco, e poi il festival di Monterey, la Summer of Love, Jefferson Airplane, Grateful Dead, Janis Joplin... Non ti piacerebbe tornare indietro nel tempo per andare a dare un'occhiata?
«Certo che sì!».
Ma saresti un figlio dei fiori?
«No, proprio no. Del resto anche Jim Morrison non è che fosse un figlio dei fiori, tutt'altro».
È sempre "Light my Fire" la tua canzone preferita?
«Sì, è un po' il loro simbolo».
E poi?
«Adoro "The End"».
E a parte il loro primo disco, quale altro lp ascolti più frequentemente?
«Dipende dai periodi. Tempo fa ascoltavo molto "Strange Days", ma insomma, vado avanti e indietro, diciamo che vario».
Ma canti, anche?
«No, quello no: ascolto ad alto volume, magari, e al limite canto dentro di me».
Ti rendi conto della missione di cui sei investito? Devi diffondere il verbo del rock in un gruppo in cui Di Luca (tanto per dire, e con tutto il rispetto) si concentra prima della crono ascoltando la Pausini!
«Eh, che ci posso fare...».
Regalagli qualche cd!
«Sì, ma in gruppo sono pochi quelli che amano questo tipo di musica; forse qualcuno addirittura un po' si vergogna ad ammetterlo, vanno tutti dietro alle canzonette».
Con chi condividi questa passione, allora?
«Quando ero in squadra con Mazzoleni, anche lui era un patito dei Doors. So che anche Guerini li ama. Sì, qualcuno c'è, ma bisogna cercarli col lanternino».
Ti porti ancora la bandiera di Jim Morrison da appendere in camera quando corri?
«No, non più. Mi piacerebbe, ma non c'è più Mazzoleni che condivide questa passione, e allora preferisco evitare».
Credi che i compagni di camera ne sarebbero infastiditi?
«Ma no, magari sarebbero anche contenti, chi può dirlo. Solo che probabilmente non comprenderebbero fino in fondo il bisogno che mi muove».
Ti piacciono anche le loro canzoni più lunghe, come "The End". Ami quindi anche gli intermezzi strumentali?
«Certo! E mi piacciono ancora di più nei live, quando quelle parti vengono addirittura allungate e rielaborate».
Preferisci gli assoli di organo o quelli di chitarra?
«Di organo, senza dubbio».
Ray Manzarek faceva gli assoli con la destra mentre con la sinistra continuava a tenere il tempo dei bassi.
«Un fenomeno. In pochi avrebbero avuto quella capacità».
Come ti è nata questa passione?
«Non saprei dire... a circa 11-12 anni ho sentito alcune loro canzoni, e ho scoperto presto che erano dei Doors. Mi attraeva in particolare proprio quel suono dell'organo che è un po' un marchio di fabbrica. Da lì non mi sono più fermato».
Ti è piaciuto il film di Oliver Stone su di loro?
«Non più di tanto. Credo che abbia ecceduto, calcando la mano su certi aspetti della trasgressione di Morrison».
Dici? In alcuni passaggi ci va addirittura troppo leggero!
«Non lo so... forse trattandosi di un personaggio simile, hanno comunque voluto dare più spazio a certe cose che alla musica».
Quali altri gruppi ascolti?
«Un po' tutto: dai Beatles ai Rolling Stones ai Pink Floyd. Dopo i Doors, comunque, il mio gruppo preferito sono i Nirvana».
Hai una particolare predilezione per i rocker maledetti morti a 27 anni! Sei andato sulla tomba di Morrison a Parigi?
«No, non ho fatto in tempo perché l'ultimo giorno di Tour c'era un casino bestiale, e non era facile raggiungere il cimitero Pêre Lachaise. Comunque prima o poi ci andrò».
Ridaresti a Morrison o a Cobain qualche anno in più di vita, che vada però un po' a detrimento dell'aura di leggenda che la morte prematura ha contribuito a creare loro intorno?
«Forse e purtroppo qualcuno è destinato a fare un certo percorso. C'è da dire che se non fossero morti così giovani, forse non sarebbero Jim Morrison e Kurt Cobain per come li percepiamo, e i Doors e i Nirvana non sarebbero stati quello che sono e rappresentano».
Vai mai ad ascoltare qualche gruppo di cover?
«No, anche se vedo spesso i manifesti di serate-tributo. Credo ci siano parecchie band che li rifanno, e i Doors stessi si sono riunificati, con un cantante dalla voce simile a quella di Jim, anche se il batterista ha preferito prendere un'altra strada. In ogni caso, non può essere la stessa cosa».
Alla tua bambina fai ascoltare già questa musica?
«No, è ancora presto per lei! Lei ha ancora le canzoni dello Zecchino d'Oro da ascoltare, e Winnie the Pooh e Nemo da guardare!».
In chiusura ti va se parliamo un po' anche di ciclismo?
«Ma sì, perché no...».
Ora te ne vai al Giro di Svizzera, vero?
«Sì, spero di sfruttare la gamba che mi è rimasta dopo il Giro».
Di' la verità: quante pressioni ti hanno fatto in squadra per farti fare il Tour?
«Nessuna, garantisco».
Anche se Saronni non è stato proprio delicatissimo a dire in tv che avrebbe preferito che tu andassi in Francia, prima di parlarne con te.
«Ma lì è la solita questione, si ingigantiscono fatti molto più di quanto meriterebbero. Saronni a me ha detto sempre "fai quello che vuoi"».
Del resto se il programma non prevedeva il Tour, non era magari il caso di stravolgerlo in corsa.
«Appunto».
E invece esci dal Giro con un po' di delusione?
«No, ho finito in crescendo, anche se non per quanto avrei dovuto per vincere; gli altri hanno tenuto bene, ho sfiorato il podio, alla fine ho fatto quinto...».
Viste le premesse che ti vedevano tra i favoriti, un po' di amaro in bocca non è proprio restato, quindi?
«No, avevo già capito da Montevergine che non avrei vinto il Giro, gli altri andavano proprio forte, e non sono crollati alla distanza».
Ma come spieghi il fatto di non riuscire a fare la differenza come nel 2004?
«Il livello è aumentato moltissimo, si fanno delle medie che non mi permettono di staccare gli avversari».
Eppure anche tu, crescendo e maturando, dovresti fisiologicamente migliorare... Ma non sei più competitivo nelle volate di gruppetti più o meno corposi, e non hai più lo scatto secco che faceva male.
«Se si guardano i tempi che faccio in salita negli allenamenti, sono molto migliori rispetto a quelli del 2004. Ripeto, se tutti vanno molto più forte, è difficile ripetere le imprese di qualche anno fa».
Ma può anche essere che col tuo preparatore stiate sbagliando qualcosa a livello di preparazione, incentrando tutto - in prospettiva - sul Tour?
«Non capisco perché si debba sempre andare a parare lì, non so perché bisogni sempre mettere in mezzo il preparatore. Io so quello che faccio, sento di farlo bene, sono in pace con me stesso e non credo che vi dobbiate impicciare di queste cose: io do sempre tutto...».
Nessuno lo nega. Ma forse converrebbe pensare che Cecchini non ha mai ottenuto grossi risultati con dei corridori brevilinei, avendo invece sempre tirato fuori il meglio da passisti di una certa stazza.
«Non credo di aver bisogno di consigli da voi in questo senso. E per me l'intervista può finire qui».

Marco Grassi    

 

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