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Abu Dhanilo mira l'emiro - Di Luca farà la corsa degli sceicchi

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«Abbiamo il golf, il rally, dal 2009 anche la Formula Uno. E Abu Dhabi, per diversificare gli investimenti, sceglie anche il ciclismo, che è uno sport popolare, ha presa sulla massa, è uno sport all'aria aperta che non è confinato in stadi o posti precisati, è uno sport che può far vedere 212 km degli Emirati Arabi guardando i ciclisti correre, e può permettere questo sia agli spettatori che verranno ad Abu Dhabi, sia a coloro che guarderanno la corsa da casa. Avremo una corsa breve, combattuta, una nuova forumla che può far diventare il ciclismo ancora più spettacolare e popolare».
Alla domanda: "Perché Abu Dhabi ha scelto di investire sul ciclismo?", posta in conferenza stampa, Tarek El-Kays, Chief Executive della Kenzay, azienda organizzatrice della gara araba Abu Dhabi Race of Champions, ha risposto con le parole con cui abbiamo aperto questo pezzo.
Parlando di petroldollari, di emiri e di sceicchi, è facile associare il tutto ad una mera questione economica e di "colonialismo sportivo", ma qui sembra diverso, qui sembra si stia lavorando veramente per un prodotto di qualità in primis, ed ovviamente remunerativo per chi organizza in secondo piano. E lo diciamo neanche troppo sottovoce, perché la presenza di un partner europeo importante come la Unipublic, rappresentata durante l'appuntamento romano da Jorge de Sebastián Pérez-Manglano (che l'abbiano scelto per non far sentire troppo soli gli emiri, con quei cognomi così lunghi, è un pensiero che in effetti ci ha subito fatto compagnia), Responsabile dello sviluppo internazionale e media della società spagnola, è sintomo anche di modestia da parte della Kenzay e dell'Ente del turismo emira, che si è affidata ad una Nazione storica del ciclismo proprio per farsi guidare nel modo migliore nella realizzazione di questa nuova, ed innovativa, gara del calendario internazionale.
E mentre sulle strade di Francia si corre quella che è considerata la corsa più importante del mondo, in un albergo di Roma viene invitato ufficialmente il vincitore del Giro d'Italia 2007, Danilo Di Luca, alla corsa più ricca del mondo, con un premio finale al vincitore di un milione di dollari: «A pensare che con la vittoria della Liegi ho preso 16.000 euro...», afferma Di Luca.
Certo, come dicevamo prima, il rischio della speculazione economica c'è, è inevitabile forse, anche perché uno sport ricco di tradizioni come il ciclismo è sempre ancorato sui suoi Grandi Giri e sulle sue classiche Monumento, e si storce sempre un po' il naso quando si va a correre in Qatar piuttosto che in Malesia, o in Cina piuttosto che in California. Però non si può partire prevenuti, né si devono avere pregiudizi, anche perché Kenzay ed Unipublic hanno ben pensato di esordire senza particolari squilli di tromba (ad esempio sono stati evitati i proclami: «Vogliamo il ProTour in due anni!»), puntando - questo sì, ma sono logiche di mercato - sull'esca rappresentata dal montepremi più alto del ciclismo (al vincitore del Giro spettano 463.000 euro, meno della metà, e la fonte è sempre Di Luca), ma contornata da quella che dovrebbe essere la migliore partecipazione possibile per una corsa a tappe: i tre vincitori di Giro, Tour e Vuelta con le loro squadre, le squadre vincitrici della classifica a squadre dei tre Grandi Giri, più cinque wild card assegnate dagli organizzatori (che saranno assegnate alle squadre che si saranno particolarmente distinte nelle tre corse a tappe), più la Selezione nazionale degli Emirati Arabi Uniti.
Con queste caratteristiche, la classificazione Uci (che ancora deve avvenire, nei calendari sul sito internet) sarà quasi sicuramente 2.2 all'interno dell'Asia Tour. Ma certamente non sono i punteggi ad interessare El-Kays e de Sebastián, bensì «la spettacolarità dell'evento, la presa sul pubblico e sui media».
Il progetto è quinquiennale, e le mire di crescita sono incentrate più sull'efficienza dell'organizzazione che su altro. El-Kays punta ad organizzare «il miglior evento ciclistico dell'anno», e se questo può far bene al ciclismo, ben venga.
Il progetto, anche tecnicamente, è interessante, in effetti. Tre tappe piuttosto brevi, praticamente tre criterium (sulla falsariga di quelli post-Giro e post-Tour), con tre percorsi tecnicamente dissimili: la prima tappa, di 99 km, interamente pianeggiante; la seconda tappa, disegnata con la collaborazione di Abhram Olano, di 89 km che presenta l'arrivo in salita di Jebel Hafeet, montagna naturale lunga 9 km con una pendenza media del 7% e l'ultima tappa, una cronometro di 24 km all'interno della città di Abu Dhabi, con partenza ed arrivo all'Emirates Palace, hotel di supermegalusso a 7 stelle.
A Di Luca brillano gli occhi dall'inizio alla fine della conferenza stampa: «Ero già entusiasta di mio, ma adesso che so che c'è un arrivo in salita, posso tranquillamente promettere battaglia per la vittoria finale. Da ora, l'Abu Dhabi Race of Champions diventa il mio secondo obiettivo per il finale di stagione, visto che il Mondiale non può essere secondo a nessun'altra corsa».
«Non ci saranno tappe di trasferimento, né interminabili partenze di tappa prima della battaglia che possono annoiare il pubblico. La gara è stata elaborata per lo spettacolo e per l'audience, e i corridori si daranno battaglia per vincere il premio finale. La squadra? Conterà relativamente, visto che sarà composta da soli 6 elementi», conclude Jorge de Sebastián.
Proprio con lo spagnolo ci intratteniamo un poco di più al termine della presentazione, tanto per cercare di capirne qualcosa di più, lontano dall'ufficialità di una conferenza stampa: «L'idea è nata per via dell'Ente al Turismo degli Emirati Arabi Uniti, che ci ha contattato perché desiderava essere compresa nel grande ciclismo. Per noi, però, era impossibile far partire la Vuelta a España da Abu Dhabi, e così è nata questa idea, perlopiù da una fitta collaborazione e da tanti contatti tra loro e noi».
E lo strappo tra Grandi Organizzatori (cioè gli organizzatori dei tre Grandi Giri: Aso per il Tour, RCS Sport per il Giro ed appunto Unipublic per la Vuelta) ed Uci com'è da inquadrare in questa nuova frontiera, che sembra anche voler insegnare qualcosa all'Unione Ciclistica Internazionale: "Si può andare negli Emirati Arabi senza mortificare la storia del ciclismo". Sembra quasi un monito: «Tra noi tre organizzatori i rapporti non sono mai stati così buoni, questo posso dirlo senza remore. Con l'Uci c'è sempre da lottare, e questo è inevitabile quando tanti interessi cozzano in maniera pesante. Però stiamo lavorando anche per sanare questi rapporti, perché l'importante è che il ciclismo torni ad essere uno sport serio ed importante, e non solo una fiera delle chiacchiere».
Pare così tremendamente facile, in effetti, riuscirci; ma praticamente neanche ci si prova: «Il ciclismo ha un background storico-culturale che hanno pochissimi altri sport: al Giro c'erano tantissime persone, al Tour stiamo vedendo tantissime persone. Abbiamo materiale, abbiamo un pubblico a cui poter parlare, a cui poter veicolare dei messaggi. L'importante è che quei messaggi cambino, però, perché prima o poi il pubblico s'annoierà delle chiacchiere, e cambierà sport da seguire. Non possiamo tirare troppo la corda, bisogna iniziare a lavorare nella giusta direzione».
Parole sante, che però non sono nuove, e quindi ok, le recepiamo, ma non ci illudiamo che abbiano un séguito.
Ha séguito, invece, la verve di Danilo Di Luca, che ha un buon feeling con El-Kays e si permette di estorcergli qualche promessa che l'emiro accetta col sorriso sulle labbra: «Ci si potrebbe alloggiare in quell'albergo a 7 stelle, così logisticamente saremmo più che posto», è il primo slancio dell'abruzzese, che poi continua: «Quanti gradi ci sono in gennaio? 25°/28°C? Sarebbe perfetto anche per un ritiro, visto che la salita non manca...», e il rappresentante della Kenzay è quasi "costretto" ad acconsentire alle richieste dell'ultimo vincitore di Liegi e Giro.
«Tecnicamente - continua Di Luca - sembra una bella corsa. Tappe brevi, che sono perfette per il periodo di corsa, visto che si verrà da una stagione lunga e dura, tappe miste, cronometro breve, arrivo in salita. Sembra tutto perfetto, non parlando poi del montepremi...».
«Il secondo potrà comprarsi una buona bici, al massimo, col proprio premio», lo interrompe El-Kays.
«Ah sì? C'è tutta 'sta differenza?», chiede preoccupato Danilo. El-Kays annuisce, Di Luca capisce che non scherza.
Qualcuno gli chiede se non c'è il rischio di allungare troppo la stagione, che ci sono già troppe corse, che ormai si inizia a correre a gennaio e si rischia di smettere a fine novembre: «Il Lombardia è il 20 ottobre, servirà soltanto uno sforzo di concentrazione in più per arrivare tonici ai primi di novembre. Il problema non è questa corsa, ma magari le altre. Ben vengano corse organizzate bene, con un ottimo montepremi finale, con partecipazione qualificata e pensate per lo spettacolo. Tutto il ciclismo che non siano i Grandi Giri, le classiche più importanti o le brevi corse a tappe con più storia, potrebbe fare un bel passo avanti se capisse che questa può essere una strada ottima da percorrere. Ma anche nei Grandi Giri, fare tappe di pianura di 90 km sarebbe perfetto; ci sarebbe più tempo per recuperare il mattino, o il pomeriggio dopo la tappa».
È inevitabile (veramente?) che si parli anche di Torri e della Procura antidoping del Coni: «Io sono tranquillo, ed anche i miei legali lo sono. Son convinto che tutto finirà per il meglio. Il 2004 - risponde Di Luca ad una domanda - è stato il mio anno peggiore, non questo, durante il quale ho vinto Liegi e Giro. Lì mi proibirono la partecipazione al Tour, alle Olimpiadi e ai Mondiali, e Zabel, tanto per citarne uno che ha confessato l'utilizzo di Epo, adesso è in Francia a correre il Tour. Il ciclismo è ormai sull'orlo del paradosso. Non so se senza la mia vittoria ed il podio di Eddy al Giro d'Italia - ribadisce Danilo - sarebbe stata ripresa questa inchiesta. Non lo so e non voglio neanche saperlo, in realtà. La Procura antidoping fa il proprio lavoro, la Commissione Disciplinare della Federciclismo il suo, ed io il mio».
In effetti Unipublic e Kenzay si sono prese un bel rischio. Invitare ufficialmente Di Luca proprio nel mezzo di un'indagine (e da una probabile richiesta di squalifica) da parte del Coni è un rischio: «Abbiamo dei parametri come ce li hanno tutte le grandi corse - precisa de Sebastián - In caso di squalifica, che non gli auguriamo, Danilo sarebbe sostituito da altri atleti».
Ovvio. Una mano davanti ed una dietro, come sempre.
Una chiosa, però, la facciamo volentieri, sia con de Sebastián sia con El-Kays. Ci facciamo promettere che alla vigilia dell'Abu Dhabi Race of Champions nessuno obbligherà i ciclisti a firmare qualsivoglia codice etico, morale o di "antidoping persuasion": «Tranquilli - ci risponde El-Kays - non faremo firmare ai ciclisti alcuna cambiale».
Portafoglio salvo, dunque. Per il resto, ripassare a novembre.

Mario Casaldi



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