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Via i talebani dal ciclismo - Echavarri, intervista a ruota libera

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Esperienza ultradecennale ai massimi livelli e zero peli sulla lingua: chi meglio di José Miguel Echavarri per fare una chiacchierata su uno sport che nel 2006 ha vissuto l'anno dello sfascio ed è alla disperata ricerca di una via d'uscita?
Non si sarà certo annoiato durante il periodo invernale: tra il Tour diviso tra Landis e il "vostro" Pereiro, il caso montato intorno all'uso del salbutamolo da parte di quest'ultimo, le voci su Valverde nell'Operación Puerto, il ciclomercato, con le avances della T-Mobile nei confronti del murciano... Meglio tornare alle gare?
«Beh, l'attività del direttore generale di un team si concentra in misura preponderante proprio nel periodo invernale, o comunque in ciò che va al di là della componente agonistica, che è competenza soprattutto dei direttori sportivi. Senza dubbio, tuttavia, è stato un inverno molto particolare, un inverno in cui ci siamo trovati attaccati su tutti i fronti. Il tutto ovviamente ci ha disturbato, perchè, per quanto nulla potesse intaccare la tranquillità legata al nostro comportamento, constatavamo attorno a noi una mancanza di rigore e di serietà a tutti i livelli: dai laboratori che lasciano trapelare informazioni quando non dovrebbero, a certa stampa che dirama notizie non verificate, e così via. Quindi è stato necessario aggiustare certe situazioni che si erano assurdamente create, cosa che fortunatamente siamo riusciti a fare».
A tutto questo si è aggiunta la "guerra" tra grandi giri e Uci, che vi ha visti in qualche modo danneggiati quando al Giro di Lombardia s'impedì a Valverde di essere premiato come campione Pro Tour 2006.
«Questo è qualcosa che demoralizza parecchio. Ne parlavo con un vostro collega italiano al Mondiale di Salisburgo: all'epoca ci si lamentava dei conflitti, di una situazione in cui la "famiglia" del ciclismo era completamente spaccata in due tra gli organizzatori e l'Uci, con le squadre prese in mezzo e sballottate come una pallina da tennis. Ebbene, potremmo ripetere oggi [l'intervista è stata rilasciata prima dell'accordo tra le parti del 6 marzo scorso, ndr] le stesse cose, perchè non è cambiato praticamente nulla e i veri protagonisti di questo sport continuano ad essere vittime di giochi di potere che non dovrebbero neppure esistere».
E allora da dove bisognerebbe partire?
«Il punto è che neppure i "grandi dottori" dell'Uci e delle federazioni riescono a trovare una soluzione. Certo è che bisogna riprendere a pensare al pubblico, alla gente che segue una corsa e vuole vedere premiato chi vince una classifica, sia quella del Pro Tour o una qualunque altra; è già iniziata la nuova stagione e ancora non si sa chi sia stato il vincitore del Tour de France, una vergogna... Da una parte ci sono regole insufficienti e dall'altra un codice etico elaborato dai "talebani" che disgraziatamente esistono in questo sport. Come si risolve tutto questo? Facendo tutti un esame di coscienza: insomma, chi è senza peccato scagli la prima pietra...».
Quindi è necessaria soprattutto una nuova mentalità?
«Sì, esattamente. Sono convinto che avremo a breve una vera rivoluzione nel ciclismo e io mi auguro che questo avvenga; se le squadre si unissero ed iniziassero a pensare ed agire in maniera indipendente dall'Uci e dagli organizzatori, si aprirebbero realmente nuovi orizzonti. Ogni componente, è chiaro, deve avere il suo spazio: noi squadre abbiamo bisogno degli organizzatori e questi ultimi hanno bisogno delle squadre; entrambi però abbiamo bisogno di un arbitro e al momento nel ciclismo è proprio questa componente a mancare del tutto».
A proposito di codice etico: se alla vigilia del Tour 2007 Le dicessero che Valverde sembra essere incluso nell'Operación Puerto...
«Siamo stanchi di dar retta a voci infondate...».
Sì, ma se questo succedesse - e chiaramente nessuno se lo augura – prenderebbe la decisione di escludere il corridore dalla corsa?
«Uno degli errori più grossi che si commisero all'epoca fu proprio in questo tipo di decisione, scelta che peraltro fu da molte parti applaudita. Quando qualcuno commette un delitto, o un furto, il giudizio non è immediato, c'è bisogno di tempo, in cui vanno prodotte e analizzate le prove che dimostrino il reato. Così dovrebbe essere anche nella giustizia sportiva, perchè non è ammissibile condannare degli innocenti; prima del Tour 2006 si preserò decisioni precipitatissime, senza valutare, senza provare, basandosi solo su voci di dubbio fondamento. Dirò di più: se qualcosa di simile all'anno scorso si verificasse oggi, il signor Riis non ritirerebbe Basso dalla Grande Boucle».
A proposito di Valverde: il suo prolungamento fino al 2010 vi consente, oltre alla possibilità di avere in organico un atleta dal valore ormai indubbio, anche di sfruttare l'esempio del murciano per far crescere il resto della squadra, in particolari i più giovani.
«La filosofia di questo team è sempre stata quella di avere in rosa un grande campione e un gruppo di elementi validi che ne possano fare il proprio punto di riferimento; fu così con Delgado e con Miguel Indurain. Avere Valverde in squadra è motivo di gran tranquillità, è una garanzia, ma allo stesso tempo è anche una notevole responsabilità, perchè dobbiamo sempre metterlo in condizione di esprimere le proprie doti. Poi Alejandro è un ragazzo che coniuga un carattere squisito e una costanza di rendimento che gli consente di essere ai massimi livelli durante tutta la stagione: per tutto questo non possiamo che essere felici di averlo con noi per ancora molto tempo».





Senza dimenticare Pereiro, che vi permetterà di presentarvi al via del Tour con due "punte" niente male...
«È un po' quello che dicevo prima: la nostra strategia per i grandi giri ha sempre previsto un uomo di punta affiancato da un "jolly" di spessore. Lo si è visto al Tour dell'anno passato, per quanto esso fu particolare dalla vigilia fino all'ultimo giorno: quando Valverde cadde e si fratturò la clavicola, sulla strada per Valkenburg, la sua defezione ci lasciò apparentemente "orfani". In realtà avevamo in squadra un Pereiro che sapeva cosa significa finire tra i primi dieci del Giro di Francia, un corridore con grandi doti fisiche e caratteriali; chiaramente, che poi Oscar potesse arrivare sul podio del Tour e (verosimilmente) anche vincerlo, beh questo è stato qualcosa che abbiamo scoperto giorno per giorno, durante le tre settimane di corsa».
Un Pereiro che può anche costituire una sorta di pungolo per Valverde stesso, uno stimolo in più a far bene.
«Sono due ragazzi che riconoscono l'uno il valore dell'altro e che sono disposti a mettersi reciprocamente al servizio del compagno: questo è ciò che conta soprattutto».
Al di là delle vostre "stelle", guardando al resto della rosa: da chi si attende un netto salto di qualità? Chi giudica in grado di sorprendere pubblico e addetti ai lavori, nella stagione appena iniziata?
«Credo che abbiamo ragazzi che corrispondono a questo profilo nel team...».
Un nome?
«Per esperienza so che una volta che io facessi il nome di un corridore, lo graverei di una responsabilità difficile da gestire. Dico questo perchè ci fu un periodo in cui prospettavo grandi cose per un ragazzo, di nome Santi Blanco, e una volta addirittura dissi, con un gioco di parole: "Il Tour del duemila sarà blanco". Poi invece le cose andarono in modo molto diverso: Blanco a fine '97 cambiò squadra e non si è più saputo nulla di lui, sportivamente parlando. Comunque, in generale non credo agli exploit improvvisi: miglioramenti troppo rapidi quasi sempre portano con sé un declino altrettanto rapido; per questo oriento i "miei" giovani verso un progresso costante, che permetta loro, una volta raggiunto l'apice, di restarvi quanto più tempo possibile».

Stefano Rizzato    

 

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