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Una sconfitta bellissima - Contador batte un grande Rebellin | Cicloweb

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Una sconfitta bellissima - Contador batte un grande Rebellin

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Ed ora da dove cominciamo? Dallo sconfitto o dal vittorioso? Dal giovane rampante o dall'anziano solitario? Un incrocio di quasi struggente bellezza è quello che si è verificato alla Parigi-Nizza, dove tutte le trame tessute nei giorni scorsi sono giunte alla loro soluzione, a un epilogo non scevro di una certa sua tragicità (sportiva, s'intende). Una sfida all'Ok Corral in cui non c'erano buoni o cattivi, ma in cui ognuno aveva i suoi motivi e le sue legittime ambizioni.
A partire da Alberto Contador, che è bravo, che in salita va bene, che ha tutto per imporsi all'attenzione generale, anche una storia travagliata di problemi di salute dai quali ha saputo tirarsi fuori negli anni passati; ha tutto, e ce l'aveva anche un anno fa, ma poi è stato spazzato via da OP e ha vissuto mesi difficili, prima di riparare (destino parallelo a quello di un certo Basso) in America, un viaggio della speranza dalla vecchia Europa alla nuova frontiera, che non l'ha però sbarcato a Ellis Island, bensì in uno degli squadroni più temibili del mondo, Discovery Channel, già il nome incute un certo rispetto, perché contiene anche quel che caratterizza un po' l'anima del ciclista, quel senso di scoperta, andare oltre, spingersi dove nessuno è mai giunto prima.
Spingersi per esempio in un attacco a testa bassa sul Col d'Eze, ultima salita della Parigi-Nizza e quindi ultima speranza, per uno scalatore come Contador, per vincere la Course au Soleil. Attaccare sull'Eze, sì, ma quando? Subito, subitissimo, come fosse un'urgenza insopprimibile a muovere le gambe di Alberto. Il terreno gliel'avevano preparato i suoi compagni di squadra, da Leipheimer a Danielson, da Popovych (splendido ancora una volta) a Devolder, per finire a Paulinho, Vaitkus e White (e così li abbiamo citati tutti), che si sono immolati alla causa nella prima parte di tappa e poi hanno abbandonato la corsa.
Un forcing doloroso, insistito, martellante, che - non dando a nessuno possibilità di fughe serie (ci ha provato il solito impagabile Voeckler sul Col de la Porte) - ha demolito quel poco che restava del già poco che componeva la squadra di Davide Rebellin. Eccolo qui, il secondo soggetto della nostra storia. L'anziano. Russ e Fothen (non il forte Marcus, ma l'acerbo Thomas), penultimo e terzultimo al traguardo; e un Kohl sottotono. Questo passava il convento, chiaro che con questa compagnia non si tarda a sentirsi soli.
Solo più che mai, il vicentino, a sbrogliare da sé una matassa per lui ingarbugliatissima, con quei satanassi di Esploratori a devastare il gruppo e a preparare il campo per uno dei più annunciati attacchi del decennio, quello di Contador sul Col d'Eze. E in queste condizioni, con in più una Caisse d'Epargne lì in agguato ad approfittare di ogni piega favorevole della corsa (con tre uomini in forma a battagliare: López García, Sánchez Gil e Rodríguez Oliver), una Predictor in cui Evans poteva contare sull'appoggio spassionato di Horner, e un drappello di altri battitori liberi (soli anche loro, ma non obbligati a difendere alcuna rendita di posizione, anzi al limite pronti ad attaccare se necessario: Valjavec, Samuel Sánchez, Botcharov, Schleck, per finire con Pellizotti in maglia verde - ereditata dal ritiro di Bennati); ecco, in questa situazione che può fare un uomo solo, anche se valoroso?
Travestirsi da eroe western e prepararsi alla suddetta sfida all'Ok Corral, sapendo di andare incontro a un rovescio sicuro, ma non potendo - né tantomeno volendo - esimersene, anzi: offrendo il petto alla patria, si sarebbe detto in altre epoche; in termini meno arcaici: mettendoci tutto l'orgoglio possibile, e lasciando dietro di sé un tracciato di dignità che avrebbe molto da insegnare a chiunque, ciclista e non, sportivo e non.
Pronto a tirare il gruppo in salita (quando Contador ha guadagnato fino a 40"), bravo a non perdere le ruote di Samuel Sánchez quando la discesa a rotta di collo sembrava poter avvicinare gli inseguitori al bellissimo fuggitivo; 17", limite invalicabile oltre il quale il gruppetto di Rebellin non è riuscito ad andare, anche perché - non solo per stanchezza generale, e che diamine, siamo solo al 18 marzo - a un certo punto nessuno più ha collaborato, anche quelli veloci che potevano ambire al successo di tappa (tiratina d'orecchi a Pellizotti, anche se lui una frazione l'ha già messa in carniere); e allora, anziché mettersi a sbraitare a destra e a manca, anziché pietire aiuti a questo o a quello, Rebellin, a due chilometri dalla fine, quando era già troppo tardi (ma nel ciclismo non si sa mai), ha fatto l'unica cosa che potesse fare, è scattato da solo all'inseguimento di Contador, in uno slancio di straordinario vigore morale, esemplare nella sua linearità, da subito consapevole della propria inutilità, eppure necessario, doveroso.





Vano. Infatti Contador è arrivato al traguardo da solo, urlando come un forsennato un liberatorio "Toma, Toma, Toma!", che non è la parodia di un film di guerra, ma un modo di dire che letteralmente significa "Prendi, prendi, prendi!", un po' come dire "Tiè!", ma senza l'accezione dello sberleffo. Solo la voglia di urlare all'ambiente - di cui è stato per diversi mesi figlio incompreso - tutta la sua rabbiosa felicità per essere tornato alla grande: "Io sono qui, sono rinato, dovrete fare i conti con me e occhio perché non faccio sconti".
Qualche sconto l'ha fatto invece la Caisse d'Epargne, che nel complesso era nella miglior formazione sul Col d'Eze, ma non è stata capace di orchestrare un attacco organico in salita (e questa può anche essere questione di gambe), ma quel che è peggio non è stata in grado di spendersi nei chilometri finali, in pianura, quando occorreva la testa per raccogliere il massimo che fosse possibile: una vittoria di tappa, per esempio, o un piazzamento migliore in classifica per Luis Sánchez. Entrambe le opzioni passavano dall'annullamento della fuga di Contador, e invece i neri di Echavarri si sono nascosti e poi sono venuti fuori (due su tre di loro) nell'ultimo chilometro, con un contropiede inutile che li ha portati a festeggiare il secondo e il terzo posto di giornata. Bravi merli.
Più in generale, questa Parigi-Nizza ci lascia con diverse considerazioni: intanto un affetto sempre più grosso per Rebellin (il già di per sé naturale sentimento che si accompagna ai campioni sulla via del tramonto, è rafforzato dal comportamento in gara di Davide), poi la consapevolezza che Pellizotti può entrare realmente in una nuova dimensione; per non dire dei progressi di Contador, che è maturato visibilmente e che ci incuriosisce per quanto riguarda il ruolo che si ritaglierà accanto a Basso.
Ma l'attualità è quella di questa settimana che ci porta dritti alla Sanremo: e allora prendiamo nota di un Bennati eccellente, che si è testato a fondo anche in salita, e che in volata ha saputo far meglio di Boonen. Ma fossimo nei favoriti per la Classicissima, non sottovaluteremmo il belga: il ricordo della Vuelta 2005, in cui un Tom abbastanza trasparente ci fece pensare che non potesse esprimersi al meglio nel Mondiale che poi invece vinse, è ancora fresco per non tenerlo ben stampato in mente.





Se il sogno di Rebellin è sfumato all'ultima tappa, quello di Riccardo Riccò si è piantato sui 20 chilometri della cronometro di Civitanova. Intendiamoci, nessuno alla vigilia pensava che Richie Rich potesse competere con gente che si chiama Klöden, Vinokourov, Brajkovic, Dekker, Schumacher. Quindi nessuna delusione; ma - in maniera totalmente laica e atona - bisogna prendere atto che uscendo di classifica, il modenese non potrà più dire la sua per il successo finale, e avendo imparato a conoscere la sua sicurezza di sé in questi giorni, non possiamo non pensare che Riccò abbia vissuto questo risultato (ha pagato 2'06") con un minimo di disappunto.
Non fa niente, anzi a 23 anni una controprestazione dopo due affermazioni spettacolari può solo fare bene, a livello mentale. Il rosso della Saunier Duval lascia il proscenio ad un tedesco che l'Italia ha imparato ad amarla al Giro 2006, in cui vinse due tappe e vestì pure la maglia rosa: Schumacher, ora che il suo più celebre omonimo ha lasciato le gare, può vivere la stagione della consacrazione anche mediatica, gli basterà dare seguito a quanto mostrato negli anni scorsi, proseguendo su un percorso di crescita di cui non è così scontato scontornare i margini.
Per ora il Gerolsteiner (che si avvale di una squadra più forte di quella che aveva Rebellin in Francia) ha vinto in maniera un po' sorprendente la crono, precedendo di un niente Klöden, certo più avvezzo di lui a questo esercizio nelle gare che contano, ma che nell'occasione maledice quell'infimo secondo che lo relega in seconda posizione, anche se forse in sede di riunione pre-gara potrà avanzare la richiesta di occupare la prima nelle gerarchie di squadra: infatti Vinokourov, capitano designato, è andato un po' peggio di lui (parliamo di pochi secondi, in ogni caso), e siamo curiosi di vedere chi lavorerà per chi, domani, sui Monti della Laga.
Schumacher ha battuto di 1" Klöden e di 6" un buon Kirchen, mentre si segnala un certo ritorno in auge di quel Petrov annunciato come un possibile grande campione quando passò professionista, e arenatosi in anni di anonimato e - al più - di onesto gregariato. Ora che è approdato alla Tinkoff, sarà forse l'aria di casa, ma il russo pare molto più incisivo che nelle ultime stagioni, e veleggia tra i primi dieci della classifica. Discreto Brajkovic, che avevamo molto apprezzato all'ultima Vuelta, mentre meno bene del previsto sta andando Tommasino Dekker, che l'anno scorso (complice l'annullamento dell'arrivo in salita a causa del maltempo) vinse addirittura la Tirreno.
Una parolina la spendiamo anche per Gerdemann, tedeschino molto pimpante che ha chiuso la crono al decimo posto e che anche nei giorni scorsi è stato tra i più presenti: la Germania del dopo-Ullrich rischia - per consolarsi - di doversi attaccare alla coperta di Linus (Gerdemann, appunto).
Quindi gli italiani: Gasparotto ha fatto una crono notevolissima, undicesimo a 42" da Schumacher e migliore dei nostri, a specificare una volta di più (e in realtà non ce n'è più bisogno) che la qualifica di velocista gli sta proprio stretta; ottimo anche Scarponi, dodicesimo e a un minuto dal podio in classifica: se qualche big salta, Michelino ha l'obbligo di farsi trovare pronto. Tredicesimo di giornata è stato Nibali, che continua nel suo percorso di maturazione e che quest'anno aspettiamo più che altro al Giro. Ma anche lui domani potrebbe regalarci qualche lampo, se non altro per rispondere a quelli di Riccò: se il siciliano lo facesse, sull'arrivo in salita di San Giacomo, non ci scandalizzeremmo certo. Anzi.

Marco Grassi    

 

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