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Un proiettile su Sanremo - È Freire! Super Riccò, male AleJet

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Quando ti accorgi che ha la forza per seguire il passo dei migliori anche in salita, oggi sul Poggio come due anni fa sulle Torricelle al Mondiale di Verona, non puoi che voltarti, cercare uno sguardo amico, ed abbozzare un ghigno. Perché sai già che al 99,9% sarà lui, a fine corsa, ad alzare le braccia al cielo.
È Oscar Freire Gómez, spagnolo del team olandese Rabobank, a vincere la Milano-Sanremo del Centenario, la seconda Classicissima della sua carriera, dopo quella "scippata" ad Erik Zabel nel 2004. Lì la scaltrezza del corridore di Torrelavega fu determinante, anche se in verità, senza paura di peccare di lesa maestà nei confronti di Herr Sanremo, fu decisiva anche (se non soprattutto) l'incredibile leggerezza del tedesco, che alzò le braccia un po' troppo prima del traguardo e si fece infinocchiare sotto l'ascella destra praticamente negli ultimi dieci metri di corsa. E si sa, la delizia della vittoria c'è tutta, ma la croce dell'appellativo del "succhiaruote", o del "parassita" (almeno tatticamente) ti rimane attaccata addosso, nonostante un Mondiale, il primo, vinto da autentico finisseur, e da sconosciuto.
Ed anche oggi, tutto sommato, Freire e la Rabobank sono stati più che nascosti, quasi invisibili, fino a 10 km dall'arrivo, anche qualcosa meno. In realtà Horrillo s'era anche infilato nel gruppetto, che comprendeva anche un certo Petacchi, uscito al km 69 e ripreso, come preventivabile (vista l'onorevole presenza di AleJet) al km 74; ma poi Freire ha corso praticamente da solo. Questo può fare intuire, ma probabilmente non rende loro tutto il giustissimo merito, le qualità di chi ha fatto dell'intelligenza tattica, e della fantasia in corsa (chiedere a Commesso in merito, magari riferendosi al Tour de Suisse 2006), il punto forte. Anche se, come si dice ogni volta, senza gambe non si va da nessuna parte. Allora diciamo pure che le gambe di Freire han tenuto tutte le ruote dei più pericolosi, sul Poggio, anche se la Rabobank, e lo spagnolo di conseguenza, hanno rischiato, e tanto anche; ma forse è giusto così. O forse no. Insomma, non abbiamo certo scoperto la formula magica per vincere sempre la Sanremo, ma di certo un Freire che da solo si incolla alle ruote di Schleck prima e di Bettini poi, può anche permettersi di lasciare lavorare le altre squadre quando si muovono dal gruppo corridori importanti come coloro che hanno provato ad attaccare i velocisti su Cipressa e Poggio, tanto poi lui sa come zompare con estrema facilità dalla sagoma in discesa di Ballan alla ruota in volata, battezzata con astuzia, e conquistata con assoluto talento, di Alessandro Petacchi.





Petacchi, già; Petacchi rischia di diventare un "caso", e stavolta è inutile che si provi (come spesso succede) ad accusare la stampa di montature più o meno grandi. Petacchi prova la fuga (vedi sopra), Petacchi costringe Celestino a non collaborare con Vila, mentre Popovych e Pellizotti stavano per promuovere un'azione che, in quattro, avrebbe potuto essere molto più pericolosa (e lo è stata, eccome se lo è stata). Petacchi che si mette a ruota di Zabel, e poi gli finisce dietro in volata. In pratica, Petacchi oggi (ovviamente in maniera involontaria, ci mancherebbe altro) è stato l'ultimo vagone di Oscar Freire.
Non è un dramma perdere una corsa che s'è già vinto (e probabilmente Oscarito ha ragionato proprio così durante i 294 km durante i quali s'è coperto col lenzuolo bianco da bravo "fantasma dell'opera"), ma perderla così sfiora l'assurdo, quasi il paradossale. Quand'è stata colpa del treno, non ci siamo risparmiati; ma oggi... Oggi è mancato AleJet (bisognerà mica tornare a chiamarlo "Il Velocista Gentiluomo"?). Senza appello, e purtroppo con condanna. Ovvio che Zabel, che nel carniere ne ha già quattro, di Milano-Sanremo, può anche "accontentarsi" di un piazzamento. Ma lo ripetiamo, non è tanto il risultato di Petacchi che ci disturba, ma la maniera in cui è maturato.
E poi le fughe, le inevitabili e le lunghissime fughe della Sanremo: da applaudire il neopro' bielorusso Kunitski ed ovviamente il basco Hernández, ultimo tra i fuggitivi della prima ora ad arrendersi al ritorno furioso del gruppo. Pollice verso invece per Sella: un'azione che voleva probabilmente significare il lancio del messaggio "Ehi, ci sono di nuovo", gli si è rivoltata contro anche per le poche corse finora disputate dal vicentino. Che è assolutamente da rigenerare.
La Liquigas è stata brava, nonostante l'assenza di Pozzato tra le ruote che si sono giocate la corsa, nel muovere un determinatissimo Quinziato, col quale è uscito dal gruppo Thomas "T-Blanc" Voeckler, e un più che brillante Pellizotti, una volta ripresi i due già citati, sulla Cipressa. E l'azione con Popovych (che comprendeva anche Moletta, sfortunatissimo nel centrare un palo, e fortunato a non farsi più male di quanto s'è fatto, sulla discesa verso la Via Aurelia) è stata davvero bella, ed ha impegnato molto il gruppo per il ricongiungimento; peccato (per la spettacolarità) che Vila e Celestino non si siano mossi prima, altrimenti sarebbe stata ancora più dura per il plotone (tirato dalla Lampre di un evanescente Bennati ed un sempre bravo Napolitano), soprattutto perché l'ucraino della Discovery, rinfrancato dal successo di tappa della Parigi-Nizza, è sembrato davvero in grado di poter arrivare, con il giusto quantitativo di collaborazione, ben più lontano dell'inizio del Poggio; salita, questa, che ci ha dato l'esatta dimensione di Riccardo Riccò: l'emiliano è un grande corridore, adesso dubbi non ce ne sono più.





L'aveva promesso, l'attacco, e seppure fosse telefonato il gruppo non è riuscito a rintuzzarlo; soltanto Gilbert, stremato (e per questo poco collaborativo, soprattutto fino allo scollinamento), è riuscito ad accodarsi. La discesa disegnata più che bene, la pianura, ad ormai 2000 metri dallo striscione del traguardo, che li ha respinti all'indietro. Ma applausi al giovane della Saunier Duval, applausi a scena aperta. Sfrontato e forte, avanti così.
La volata, infine, è stata quella che è stata: Ballan in testa sotto la "flamme rouge", poi Sacchi-Velo-Zabel in successione; Petacchi pronto alla sparata, Freire pronto a bruciarlo. Ale ha le polveri bagnatissime, però, e Oscarito lo salta senza difficoltà. La lotta, serratissima, tra Allan Davis, Boonen e McEwen per il podio s'è conclusa soltanto al colpo di reni. Ne resta fuori Magic, ma ormai la piazza che contava davvero, la prima, quella di Oscar Freire, era già davanti una bicicletta e mezza, ed esultava.

Mario Casaldi    

 

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