Tre Cime di spettacolo - Vince Riccò, Mazzo stacca Di Luca
Il ciclismo è morto? Viva il ciclismo! No, non ci sono scandali che tengano, perché prima o poi arriva, nella vita di un appassionato, un giorno in cui si fanno le Tre Cime di Lavaredo, e in cui ci si riconcilia con lo sport, con lo spettacolo offerto da questi omini in bicicletta e con tutte le emozioni che la loro fatica e la loro sagacia sanno regalare.
Si diceva che fosse, questa, la frazione regina del Giro: a ragione, visto che altri tapponi così duri quest'anno non ce ne sono, e quindi qui, con la classifica ancora non del tutto slabbrata da distacchi epocali, si doveva tentare il tutto per tutto per dare un po' di sano fastidio a una maglia rosa - Di Luca - che fin qui non ha sofferto più dello stretto necessario.
Se ce lo aspettavamo da Cunego e dalla Lampre, il movimento tellurico che avrebbe scosso il Giro, potevamo stare freschi: la squadra dell'ormai ex Piccolo Principe (quanti quarti di nobiltà ha perso, sul suo percorso, il veronese, da quel 2004 pieno di mirabilie?) ha deciso di fare corsa parallela con la Liquigas di Di Luca; e Danilo, grato per cotanto omaggio, ha ringraziato, tenendosi per tutto il giorno a ruota Damiano e sospirando per il fatto di dover fare i conti con un avversario in meno.
Da appassionati neutrali e amanti dello spettacolo, meglio puntare sulla Saunier Duval, allora: scommessa ben spesa, perché i gialli di Simoni mandano in fuga sin dal San Pellegrino, a 100 km dalla fine, Piepoli e Riccò. Il vecchio scalatore che ha pochi rivali sulle montagne di questo Giro, e il ragazzo che si farà anche se ha le spalle strette. Partono, i due, di buona lena, e la Liquigas lascia fare. Si accodano all'attacco anche i latinos, nella fattispecie Parra e Pérez Cuapio.
Vanno e guadagnano, i quattro: un minuto, poi due, poi tre. In discesa aumentano ancora il vantaggio, visto che la maglia rosa ha le sue giuste paturnie (mai rischiare di cadere!) e rallenta il gruppo; e allora i quattro raggiungono i fuggitivi della prima ora, quelli partiti al mattino; tra i quali c'è Cañada, compagno di Piepoli e Riccò, che dà delle belle trenate prima del Passo Giau, ed evita così che la Liquigas, a fine discesa, recuperi troppo sui falsopiani.
I gregari di Di Luca, però, lo stipendio se lo vogliono guadagnare; sanno che tra un po' si staccheranno, e allora ci danno dentro di brutto finché possono, e riportano il gap da 4'40" a 3'10": in fondo Riccò è un bel personaggio, in classifica ha 6'54" di ritardo, e non è così igienico farlo tornare così vicino a Danilo.
Si approccia il Giau: bello tosto come ostacolo, e infatti sono subito eccellenti le sue vittime: a picco Bruseghin e Vila (compagni di Cunego che finora erano andati meglio del loro capitano. Alla fine pagheranno un prezzo che non credevamo potesse essere così salato, viste le ultime prestazioni dei due, e specialmente di Marzio. E va beh, lo ammettiamo che ci siam sbagliati, accettiamo il crucifige e così sia; del resto non sarà l'ultimo errore di valutazione in cui incorreremo nella nostra esistenza); a picco i due Lampre in seconda, ma anche completamente sfaldata la Liquigas. La colpa è di un forcing che Savoldelli organizza per favorire l'amico Mazzoleni, e che fa sì che Di Luca perda di vista i suoi luogotenenti verdi e inizi a vedere gli omocromatici sorci, visto che rimanere da solo in mezzo agli avversari non è il miglior presupposto per una giornata tranquilla.
Sul Giau, con Riccò e Piepoli lì davanti a fungere da eventuale punto d'appoggio, ti aspetteresti il definitivo attacco di Simoni. Anche Di Luca se lo aspetta, tanto è vero che a un certo punto lascia le posizioni di avanguardia e retrocede fino all'altezza di Gibo, mettendoglisi alle spalle in attesa dell'annunciato scatto. E invece passano i chilometri, si sale e si sale, ma Gibo è sempre lì, nel gruppetto dei migliori, ma a ruota, accucciato, apparentemente senza nessun grillo per la testa.
A 3 chilometri dalla vetta del Giau (e quindi a 42 dall'arrivo) è Di Luca, allora, a dare una bella botta. Gli resistono Cunego, Schleck, Mazzoleni e Simoni; i quattro battistrada sono sempre 3' avanti.
In discesa rientra Savoldelli (recuperando 50" in 6 chilometri!), e prima della salita di Passo Tre Croci si porta via il compagno Mazzoleni, lo guida a guadagnare nella picchiata un minuto, e poi lo lancia in una missione impossibile e affascinante: rimontare - lui che ha 3'15" da recuperare - sulla maglia rosa, lungo la pedalabile salita delle Tre Croci. E il bello è che Mazzoleni ci crede e ci prova, lui che di nome fa Eddy, in onore di quel Merckx che da queste parti vinse nel 1968.
E rimonta davvero, come forse non avrebbe mai immaginato: poco prima dello scollinamento, e ai piedi dell'ultima, tremenda ascesa, quella delle Tre Cime di Lavaredo, Mazzoleni è a meno di un minuto dai soliti quattro fuggitivi, e ha 3'35" sul gruppo guidato da Di Luca: se la tappa finisse lì, sarebbe lui il nuovo padrone del Giro.
Ma Di Luca è uno tosto, e non ci sta a fare la parte del pollo. Sulle Tre Cime è lui (dopo uno scattino indolore di Cunego su cui non ci soffermiamo per carità di patria. Va detto che comunque Damiano è effettivamente sembrato più in palla di qualche giorno fa; ma il risultato è sempre che alla fine perde da tutti i rivali), dicevamo è lui, Di Luca, a prendere in mano la situazione, a staccare Simoni, Schleck e lo stesso Cunego, a recuperare oltre 2' su Mazzoleni e a tornare il legittimo proprietario della Rosa.
Intanto, davanti, sulle ultime durissime rampe delle Tre Cime, un campioncino si consacrava. Non lo si crederebbe, che si possa fare tanta fatica, al termine di una tappa già così terribile di suo; e invece quel chilometro finale non voleva saperne di finire. Riccò aveva già provato a lasciare la compagnia, ma per fare la differenza su quelle rampe avrebbe dovuto essere veramente quello a cui troppi si sono affrettati a paragonarlo; e non lo è. Però è ugualmente un piccolo grande ciclone, che non si arrende e non demorde, anche quando perde 10, 20, 30 metri, essendo rimbalzato indietro dopo il suo scatto; e non si scompone quando Parra prova a giocarsi la sua possibilità, in contropiede. Per carità, ci sta, nella storia del ciclismo, che uno che è rimasto tutto il giorno a ruota poi vada a intascare il premio dei giusti; ma non oggi, non in questa tappa.
Parra è agile, ma i due Saunier non hanno voglia di lasciarsi scappare l'occasione dell'arrivo in parata. E allora è Piepoli a ricucire, e a tarpare le ali al colombiano che due anni fa ne vinse due, di tapponi. Risalgono, mulinano, finalmente si avvantaggiano di quei 10 metri, e allora Piepoli può fare lo zio buono, fare una pedalata in meno, e lasciare che sia Riccò ad avere il suo battesimo al Giro, con la prima vittoria nella corsa rosa: a 23 anni conquistare il successo proprio in questo modo (100 chilometri di fuga!), e proprio in questa tappa, è più di un viatico; il campioncino modenese è un'assicurazione sul prossimo decennio. Questo qui ci farà divertire da matti.