Il fascino(so) di Via Roma - Sanremo, Pozzato guida la caccia
Versione stampabileIn pochi anni di professionismo gli han già detto di tutto: che era un fenomeno, che era un talento, che era bello, che era bravo, che era bollito, che era arrivato, che era finito, che era scoppiato, che era maturato, che era montato. Insomma, tutto.
Va detto che uno che dalla categoria juniores è passato tra i professionisti senza batter ciglio, quasi, per vincere qualcosa come 14 corse a 21 anni, è indubbiamente destinato a far discutere, nel bene e nel male, nella buona e nella cattiva sorte, quasi si convolasse a nozze con la critica di pubblico ed addetti ai lavori.
Finora, due anni in ogni squadra in cui ha militato: nell'ordine, Mapei, Fassa Bortolo e Quick Step. Dopo la Milano-Sanremo vinta nel 2006 da outsider (o quasi), la ricerca di altri spazi, di maggiori responsabilità. Sposa il progetto Liquigas di Amadio, ed ora punta al bis in Via Roma.
Immaginiamo che l'uno-due collezionato tra Haut Var ed Het Volk sia stato confortante per Filippo Pozzato.
«Certo, i risultati positivi danno sempre fiducia, soprattutto quando si corre in una nuova squadra e si cerca di ripagare con i risultati la fiducia che la società ha riposto in te. Da parte mia, però, son più contento per quello che siamo riusciti a fare come squadra piuttosto che per i miei singoli risultati personali. Anche al Laigueglia, dove non è arrivato il risultato pieno, la Liquigas ha corso bene, ed è questo che mi rende maggiormente felice».
Alla Parigi-Nizza Pellizotti ha vinto "alla Pozzato". Anticipo nelle ultime centinaia di metri e braccia alzate. Non c'è il rischio che tra te, il friulano, Di Luca, Gasparotto, Bertagnolli, e poi Nibali, ancora Paolini, possano esserci troppi galli nel pollaio?
«No, non penso, soprattutto perché tutti sappiamo i programmi di tutti e conosciamo gli obiettivi principali di ogni corridore. Mi ha fatto piacere quando Di Luca e Pellizotti, nonostante le varie vittorie alla Milano-Torino e alla Parigi-Nizza hanno rimarcato che alla Milano-Sanremo, nelle Fiandre e alla Roubaix la squadra lavorerà per me, così come io so che tra Paesi Baschi, Ardenne e Giro d'Italia la Liquigas supporterà altri corridori. Il rischio dei tanti galli nel pollaio non c'è».
Si è formata una buona amalgama tra voi capitani?
«Sì, devo dire che la coesione con gli altri ragazzi è l'aspetto finora più positivo della mia avventura in Liquigas».
Quanto influisce il fatto che siete tutti italiani, e magari nel giro della Nazionale?
«Essere connazionali aiuta, ma non sempre. L'importante è saper tenere il gruppo unito e motivato, e soprattutto essere sempre motivati in prima persona. L'amalgama in una squadra di ciclismo è importantissimo».
Sei tornato in un ambiente italiano dopo la parentesi belga con Lefévère. Quali sono le differenze?
«Un italiano in Italia si trova sempre meglio, c'è poco da fare. Ma non per cattiveria o chissà per quali strane motivazioni, ma semplicemente perché una dirigenza italiana, dei direttori sportivi italiani, hanno un po' il tuo stesso pedigrée, la tua stessa mentalità. L'ambiente è più accogliente. Tanto per fare un esempio, anche se in ritiro con la Quick Step la pasta poteva sembrare condita col vinavil, i belgi la mangiavano lo stesso; mentre in Italia ci lamentiamo. Ho fatto un esempio semplice, lo so, ma è tanto per rendere l'idea».
Recentemente, parlandoci di te, McEwen ti ha definito "impressionante".
«I complimenti fanno sempre piacere, soprattutto quando te li fanno i grandi corridori. Ma la cosa che mi fa più piacere è la condizione con cui ho corso la Tirreno e mi appresto a correre la Sanremo. Però so anche che per essere "impressionate" devo avere più del 100% di condizione, soprattutto in corse di 300 km. In fondo, con avversari come Petacchi, Boonen, Bennati, Freire e McEwen, come si può riuscire a vincere non essendo al top di condizione?».
A proposito di corse "minori". L'anno scorso Parsani, ds Quick Step, ti tirò pubblicamente le orecchie per aver preso sottogamba, secondo il suo parere, il Trofeo Laigueglia. T'è servita quella strigliata?
«No, non m'è servita a un cazzo (ride). Però non farmi dire di più... diciamo che la sgridata di Parsani non m'è stata per niente utile, proprio no».
Possiamo dire che sul cambio di squadra ha influito più il gregariato del Giro delle Fiandre piuttosto che la vittoria alla Sanremo?
«Il cambio di squadra non è dipeso né da una cosa né dall'altra. Il passaggio dalla Quick Step alla Liquigas è avvenuto semplicemente per mettermi alla prova. Sapevo che nella mia ex squadra sarei stato il terzo uomo di punta, dopo Boonen e Bettini, anche se ad un certo punto della scorsa stagione s'era palesata l'eventualità che il secondo uomo potessi essere io, visto che Bettini sembrava in procinto di cambiare team. Poi la Quick Step ha fatto una scelta, forse non molto coraggiosa se vogliamo, ed ha preferito tenere un corridore più esperto. Certo, poi han guadagnato un'altra maglia iridata, quindi neanche gli si può dar torto...».
Un po' di ruggine con la Quick Step?
«No, no, anzi. Ho ottimi rapporti con la Quick Step e con tutto lo staff belga. Semplicemente, la Liquigas ha dimostrato sin da subito un vivo e vero interesse nei miei confronti, mi hanno presentato un progetto che m'è piaciuto e che ho scelto di condividere con loro. Speriamo che il futuro possa dare ragione ad entrambi».
Ad un certo punto, durante l'Het Volk, è sembrato di assistere ad una disfatta Quick Step: Flecha ed O'Grady in fuga, e Boonen, Pozzato e Nuyens ad inseguire. Poi ci siamo ricordati che tu e Nick avete cambiato squadra.
«Diciamo che per Nuyens vale il mio stesso discorso, più o meno. Ho parlato con lui durante la Tirreno e mi ha detto di essere altrettanto contento della scelta fatta; la squadra lo segue, lo fa sentire importante, e per un corridore con quelle qualità la fiducia intorno può essere decisiva. Certo, se entrambi fossimo rimasti con Lefévère avremmo lavorato per Tom, all'Het Volk, invece così tutti e tre abbiamo potuto fare la corsa. Diciamo che una buona fetta di spettacolo la dovete al coraggio mio e di Nick di metterci alla prova altrove (sorride)».
L'anticipo o il contropiede negli ultimi 400/600 metri sembrano diventati il tuo marchio di fabbrica, un'azione che ultimamente ha quasi esclusivamente il tuo copyright. Dalla Sanremo e la Gand dello scorso anno, all'Het Volk di quest'anno.
«Ho una buona sparata, ma allo sprint non posso competere con certi atleti. E allora sfrutto quelle doti di passista che da più giovane mi facevano andare forte anche a crono. Gli altri son più veloci di me sui 200-250 metri, ma io mantengo la stessa velocità per 400-500 metri. È certamente una soluzione rischiosa, l'anticipo, e bisogna anche avere occhio per captare l'attimo giusto, e ci vuole anche fortuna. Ad esempio nella Gand 2006 il gruppo rallentò a 1.5 km dall'arrivo, e fui quasi "costretto" a partire da così lontano; poi arrivai nei cinque, però non vinsi. Fosse successo alla Sanremo un mese prima, magari mi sarebbe cambiata la carriera. L'anticipo e il contropiede sono soluzioni spettacolari, e a me piace "giocare", piace dare spettacolo. Quando le squadre non sono perfettamente organizzate ci si può provare, anche perché le volate, anche di gruppi ristretti, non mi danno così tanta sicurezza: anche all'Haut Var, tanto per dire, avrei potuto anticipare, e invece aspettai. Ho vinto lo stesso, ma poi ho pensato che anticipando avrei rischiato di meno».
Da vicepresidente dell'Associazione Corridori italiana ti chiediamo un parere sul momento del ciclismo. Senza scomodare i fantasmi del passato, vogliamo sapere come vedi il futuro.
«Io sono molto ottimista. Finalmente si è capito che i corridori sono i principali attori di questo sport e la loro parola deve essere ascoltata e valutata in maniera diversa da quanto successo finora. La disponibilità degli altri enti e delle altre associazioni verso questa nuova apertura mi è sembrata ottima, e da adesso in poi le cose non potranno che migliorare».
Se Filippo Pozzato avesse una bacchetta magica e dovesse scegliere un'unica corsa da vincere nel 2007, cosa sceglierebbe?
«Una? Una sola?».
Non prenderci alla lettera, è un gioco.
«Il fascino della maglia iridata è indiscutibile, l'ho sempre detto. Dico il Mondiale, anche se mi va benissimo anche la prossima corsa che vinco, o quella immediatamente dopo...».