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Gibo&Piepoli, Zoncolo duro - E Di Luca ha ormai le mani sul Giro | Cicloweb

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Gibo&Piepoli, Zoncolo duro - E Di Luca ha ormai le mani sul Giro

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Emozione tanta, tantissima. Spunti tecnici pochi, pochissimi. Questo il riassunto del Monte Zoncolan.
E se è vero che la montagna non ha partorito il topolino, ma almeno ad un gattino (di quelli domestici, però, niente di selvatico) ci è arrivata, è anche vero che non c'è stato bisogno di alcuna clessidra, né delle calende egizie. Soltanto un po' (tanta) pazienza, per gli attardati, e tanta voglia di lottare, quella sì, mica la mettiamo in dubbio.
Però non c'è paragone con la tappa delle Tre Cime, e neanche con quella di Briançon. Un po' per il chilometraggio, troppo breve, un po' perché certe pendenze fanno male a tutti, e quindi bene a nessuno. Lo avevamo detto ieri: era alto, altissimo, il rischio di una cronoscalata di gruppo. Tutti lì a controllare il proprio passo, i propri battiti, la propria frequenza di pedalata, con un orecchio alla radiolina per i distacchi ed un occhio verso i tifosi, per sincerarsi di non incappare in spinte che potessero portare a penalizzazioni in termini di secondi (e Di Luca ad un certo punto ha trovato, non si sa dove, un po' di fiato per urlare "No!" ad un imbecille che lo aveva spinto per 2 metri ed avrebbe continuato ancora per un po').
Nessuno - avevamo sempre detto ieri (fateci ciurlare un po' nel manico, orsù!) - sarebbe stato in grado di scattare, un po' perché è rischioso come poche altre cose andare fuori giri su pendenze del 16% (perché se poi finisce la benzina la salita diventa discesa, seppur fatta al contrario), un po' perché nessuno ci pareva in grado di poter seriamente impensierire la Maglia rosa di Danilo Di Luca, almeno quello visto fino a ieri. Forse l'unico in grado di poterlo fare era Piepoli, che era comunque lontano in salita ed avrebbe acceso poche micce all'interno della corsa per il successo ed il podio di Milano.
Poi il più classico dei groppi in gola ci ha attanagliato quest'ultima, lì sotto lo striscione dei 10 km all'arrivo, ai piedi della salita, lì dove qualche sadico buontempone ha ben pensato di affigere uno striscione che, dantescamente, recita: "Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l'etterno dolore". Lo avessero avuto sotto le mani, quelli che pedalavano, avrebbero pensato loro a procurare "etterni dolori" al creatore (o si tratta di una cosca prezzolata da McQuaid?) di tale infernale avviso.
La morfologia della tappa favoriva le azioni di attaccanti di giornata, almeno fino a quei 10 km finali, ed un'azione, anche parecchio convinta, c'è stata. Il francese Naibo il primo a muovere lo stallo, al km 24 di corsa: lo seguono Engels, Facci, Codol, Le Boulanger, Baliani, Irizar, Veikkanen, Aerts, Cioni, Ardila ed anche un certo Paolo Bettini, che non punterà certamente alla vittoria di tappa, oggi, ma dimostra d'avere un cuore grosso come una casa.
Il gruppo non è preoccupato da quest'azione, e lascia fare, anche se la Saunier Duval non lascia prendere troppo vantaggio ai fuggitivi, e la Liquigas è costretta quasi a collaborare con i biancogialli di Pietro Algeri. Evidentemente Simoni tiene veramente a questo successo di tappa, e vuole veramente provare a far saltare il banco e le certezze della Maglia rosa.
5'32" il vantaggio massimo dei fuggitivi, al km 89.1, proprio sotto il cartello del traguardo volante di Sappada. Niente di irrimediabile, in fondo il "mostro" è lì che attende tutto il gruppo per fornire i propri verdetti.

Sul Gpm di Tualis si staccano Irizar e Naibo, mentre tutti gli altri procedono di buon accordo e buona lena. Poi, appena attaccato lo Zoncolan, i primi ad alzare bandiera bianca sono Le Boulanger e Facci. Sotto lo striscione dei 10 km all'arrivo, il vantaggio dei battistrada è di 4', con Cioni a fare l'andatura davanti e Spezialetti a fare l'andatura nel gruppo della Maglia rosa. Mayo s'alterna a Nibali e Spezialetti, altro segno da parte di Gibo, che intanto inizia a risalire il gruppo sulla destra della sede stradale. Davanti tocca a Veikkanen ed Engels arrendersi alle seppur lievi, per ora, pendenze del "mostro".
Davanti rimangono in quattro: Cioni, Aerts, Baliani e Codol. Dietro rimangono in una ventina, e il loro ritardo è di 3'20".
Dario David Cioni si ricorda di essere stato un campione italiano di mountain bike, e che certe pedenze, con certi rapporti, erano quasi un'abitudine, anche per uno come lui con la corporatura robusta ed un fisico non propriamente da scalatore; se ne ricorda, dicevamo, e lascia la compagnia degli altri battistrada. Prova a far tutto da solo, l'anglo-toscano, e pare in grado di fare il vuoto, almeno rispetto agli ex compagni d'avventura, tra cui c'è ancora, in maniera nient'affatto scontata, Bettini.
Il passo di Pellizotti cominicia a far male al gruppo, e infatti Savoldelli e Bruseghin, saggi quanto basta, capiscono che è il momento di salutare ogni corsa contro gli altri e si concentrano sul loro sforzo. Poi a menare le danze è direttamente, in prima persona Gilberto Simoni. E qui inizia il calvario di molti.
Garzelli è già staccato, ma lui il suo Giro d'Italia già l'ha vinto con le due tappe, Arroyo e Sella ci provano per qualche metro, ma si devono arrendere; e s'arrende anche Mazzoleni, che paga dazio nei confronti di pendenze che di certo non aiutano la sua stazza. È un'occasione d'oro per tanti: per Di Luca, che può distanziare di altri secondi il suo rivale più vicino in classifica; per Schleck, che ha l'occasione di saldarsi sul podio; per Simoni e Cunego, che possono giocarsi lo stesso podio nell'ultima crono proprio col bergamasco, e forse hanno anche il terreno per attaccare il giovane lussemburghese; per Riccò e per Piepoli, magari per la maglia bianca il primo e per un altro successo di tappa il secondo, tattiche di corsa permettendo.
Simoni non demorde, e continua. Decide il proprio passo, e non cala di una pedalata, di un watt, di un battito, per 800-1000 metri. Fa male, fa male anche a Riccò, che ad un certo punto molla. Gibo non batte ciglio, forse neanche se ne accorge. Probabilmente qualcuno dall'ammiraglia lo avvisa, ma calare la velocità ora vorrebbe dire far salire l'acido lattico in maniera paurosa, e Gibo non se lo può permettere: "In fondo Mazzoleni è staccato, Riccò è giovane, se ne farà una ragione", avrà pensato il trentino in quei frangenti.
6 km all'arrivo, la salita già sembra essere stata lunghissima, ma mancano ancora 2 km infernali. Simoni non cede di una pedalata, di un watt, di un battito, ma gli altri sì. Di Luca, che fino ad a quel punto gli è rimasto incollato alla ruota, perde due metri, poi cinque. Simoni ha staccato tutti. Nessuno scatto, come dicevamo, ma adesso il distacco c'è. Niente di trascendentale, ma è sensibile.
Cunego ha uno slancio d'orgoglio, e scatta per riportarsi a due metri da Simoni, ma non lo raggiunge, non ce la fa, i fuori giri si pagano su questa salita, e Cunego dimostra tanta voglia e tanta grinta, ma poca concretezza. Paga lo sforzo, Cuneghin, e viene passato da Andy Schleck, bravissimo nel tener duro sul primo cambio di ritmo di Simoni e perfetto nel non rispondere al secondo cambio di ritmo del trentino, quello che gli ha permesso di scavare, a 5 km dall'arrivo, un distacco di 7" tra sé e il gruppetto formato dal lussemburghese e da Piepoli, commovente anche oggi. E Di Luca?
Di Luca s'è staccato. Eh già, per la prima volta in questo Giro quando la strada sale, Di Luca non è davanti. Non sembra in difficoltà, sta gestendo il vantaggio. In fondo Mazzoleni è dietro, Simoni è lontano, e l'unico che lo preoccupa davvero è Andy Schleck, che però è lì, a 10-15". Danilo non si scompone, anche perché ha il riferimento visivo di Cunego, che gli è trenta metri davanti, che lo aiuta a tenere duro, a proseguire con quel passo.
L'azione di Simoni è un po' più appesantita, mentre davanti si consuma il dramma di Cioni, che si pianta inesorabilmente e si fa passare da un Codol che non si capisce dove si sia nascosto fino a quel momento. Il lombardo ha un bel passo, sarebbe l'ennesima beffa per il carrozzone ProTour che un uomo di una squadra Professional trionfasse quassù sullo Zoncolan. Ma dietro sono agguerriti, Simoni su tutti, visto che ha un conto aperto da un paio d'anni con le tappe al Giro d'Italia che vuole saldare oggi, senza altre prove d'appello.
Capita però che uno sbarbatello si renda protagonista di una corsa superlativa, e che quello sbarbatello risponda al nome di Andy Schleck. Un ventiduenne in mezzo a due trentaseienni. Un lussemburghese in mezzo a due italiani. Un passista scalatore (l'altezza è da passista, il peso è da scalatore) in mezzo a due scalatori puri. Detta così, in effetti, sembra quasi l'inizio di una barzelletta.
Ma non lo è, e a Simoni viene da ridere zero quando si volta e nota la sagoma perticante di Schleck farsi sempre più sotto, sino a raggiungerlo. Gli torna un po' il sorriso quando dietro Schleck vede Piepoli, ovviamente nascosto dalla differenza d'altezza fino a quel momento. Codol è ancora davanti, Cunego e Di Luca, col secondo sempre a venti metri di distanza dal primo, prendono e staccano Cioni, ormai in un'altra dimensione mentale.
Codol deve cedere al ritorno dei tre "big" di questa tappa, per un po' prova anche a resistere al passo di Schleck che, non contento d'aver staccato Mazzoleni e Di Luca, prova addirittura a scavare un distacco più importante, in vista della crono finale (che in teoria dovrebbe favorirlo, ma con un ventiduenne alla prima esperienza in un GT non si può mai sapere) di sabato, in quel di Verona.
Sotto lo striscione dell'ultimo km c'è ancora Schleck davanti, mentre i polpacci di Simoni sembrano chiedere pietà al mondo, pietà a quella salita, pietà a quel padrone così burbero, così testardo e così forte in salita, che non ne vuol sapere, oggi in particolar modo, di mollare. Neanche un centimetro, neanche uno. Dietro Di Luca si riporta con Cunego, con la grinta e le energie in più che dà la Maglia rosa. Poi Cunego lo ristacca di qualche metro, poi Di Luca si rifà sotto. Una fisarmonica sui generis, in fondo, visto che la lotta vera è davanti, ed è solo per la tappa.
Difatti Gibo, una volta ripreso da Schleck e Piepoli, ha puntato solo alla tappa. I ds gli hanno detto che Di Luca è sceso al massimo a 30", anche nel momento di maggior splendore del trentino, che ha avuto dunque la certezza di non poter vincere questa corsa. E allora l'obiettivo reale è la tappa, almeno quella non bisogna lasciarsela scappare. È per quello che tira Schleck. Un po' per sé, e un po' perché i Saunier non vogliono rischiare di farsi infinocchiare dal maestoso fenicottero lussemburghese. Che beffa sarebbe vedere Schleck partire a 500 metri dall'arrivo? Inconcepibile.
Invece a 500 metri dall'arrivo parte Piepoli, forte, fortissimo. Il miglior scalatore del Giro, senza dubbio, per una volta la Maglia verde è sincera alfiera di reali valori in campo. Simoni, nonostante i polpacci doloranti, trova l'orgoglio e la forza di andargli dietro, mentre Schleck capisce che la tappa non la vincerà, neanche nel caso in cui riuscisse a riportarsi sotto a questo primo (ed ultimo, visto che risposta non c'è) scatto.
Dietro Di Luca e Cunego si riportavano sotto, col loro passo, fino a 15" dai tre di testa, anche se l'ultimo scatto di Piepoli un altro po' di gap lo scaverà.
Simoni passa Piepoli sulla destra, gli mette una mano sulla schiena quasi per dirgli: "Occhio, Leo, ti sto passando a destra". Piepoli, da fido gregario, si scansa sulla sinistra e fa passare il capitano. Schleck è lontano e non reagisce. Reagisce invece Di Luca, che a 150 metri dall'arrivo stacca Cunego e gli rifila 6". Uno in meno di quanti Simoni e Piepoli non ne rifilino a Schleck, che è comunque uno dei vincitori di giornata.
Oggi però le rotative si fermano su Gibo Simoni, sul "vecchio" Simoni e sul "giovane" (parole dello stesso pugliese, visto che è nato un mese dopo il trentino di Palù di Giovo) Piepoli, e sulla bella prova di squadra, l'ennesima, della Saunier Duval, che dopo l'erroraccio di Fiorano Modenese (di tutto il team, non del solo Riccò) s'è riscattata alla grande con tre vittorie di tappa, tutte in salita, ed un'altra vittoria mancata per pochissimo, quella di Bergamo.
In classifica cambia tanto, sotto l'arrivo, con Mazzoleni che scende dal 2° al 5° posto e con Sella che, a dispetto del fisico, esce dalla top-10 e fa risalire Pellizotti e Bruseghin. La crono finale sarà in grado di mettere in discussione il minuto e ventiquattro che Di Luca conserva di margine su Schleck? Non crediamo, sinceramente. Molto più possibile, perché reale, che la crono ci dica chi sarà sul terzo gradino del podio tra Simoni, Cunego e Mazzoleni, col veronese leggermente favorito, anche vista la crono finale del Tour 2006.
Dopo l'arrivo Simoni è raggiante, desiderava questa vittoria al Giro dalla tappa di Bormio 2000 del 2004, e già gli sfuggì lo stesso anno nella tappa di Presolana, e poi nella tappa di Sestriere nel 2005 e nella tappa di Aprica nel 2006. Un conto troppo salato per uno come Simoni. Un conto troppo salato anche per uno che, come una liberazione dopo le invettive contro Cunego, Rujano e Basso, rispettivamente, s'è lanciato in un abbraccio sincero verso il compagno-gregario-scudiero Piepoli.
Un Simoni sorridente, che gratifica qualcuno e fa anche un po' la parte del "vecchio sofferente", fa sempre bene al cuore. Ben fatto, Gibo.

Mario Casaldi

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