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Che felicità, questo Giro! - Petacchi esulta per la quinta volta

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Questo finale dobbiamo averlo già visto: Petacchi in maglia ciclamino che sfreccia davanti a tutti e appone il sigillo sull'atto conclusivo della corsa rosa. È la nietzschiana teoria dell'eterno ritorno, o semplicemente abbiamo già visto il velocista spezzino vincere l'ultima tappa già al Giro 2004 e 2005? Una cosa, tutto sommato, non esclude l'altra.
150 chilometri di passeggiata ecologica da Vestone (nella bergamasca) a Milano, con i protagonisti del gruppo intenti in mille gag a beneficio di telecamere e fotografi, e in tanti brindisi per festeggiare quello che è comunque un lavoraccio portato a termine (chi meglio, chi peggio, ma i 3500 chilometri di Giro se li sono sciroppati tutti e 141 i ragazzi che sono arrivati a Milano); e poi, secondo consuetudine, l'innalzarsi del ritmo nel circuito finale, 4,8 km per le vie del centro, coi soliti tentativi di chi ha ancora, dopo tre settimane di fatiche, la fantasia di immaginarsi un finale diverso dallo sprint.
Nell'occasione, quel Mikhail Ignatiev, 22enne russo che a inizio stagione ha folgorato molti appassionati, per l'eleganza e la classe con cui ha vinto due corse (Trofeo Laigueglia e tappa del Giro del Mediterraneo): partito a oltre 20 km dal traguardo, Ignatiev ha tenuto molto bene per una quindicina di chilometri, conservando un margine tra i 15" e i 20", ma non ha potuto non arrendersi al ritorno di fiamma delle squadre dei velocisti, aiutate anche dalla stessa Liquigas di Di Luca (che nelle sue fila ha pur sempre uno sprinter - seppur atipico - come Gasparotto).
Considerato però che, della gran genia delle ruote veloci presentatasi al via in Sardegna, McEwen, Hushovd, Förster e Napolitano sono tornati a casa prima del tempo, se si prospetta l'arrivo allo sprint, a questo punto non c'era che un nome da scrivere in anticipo su tutti i bollettini pronostici: quello di Petacchi, appunto.
E lo spezzino non ha tradito: anche se Zanini, vecchia pellaccia che una volta (una vita fa) fece suo il traguardo milanese, ha provato l'anticipo, e anche se Richeze, giovane in ascesa, ha dimostrato di non temere nulla, provando a tenere la ruota di AleJet finché ha potuto (e però capendo abbastanza presto che si sarebbe dovuto accontentare del secondo posto), Petacchi, nel boato inverosimile ed emozionante del pubblico di Milano, ha reso giustizia a se stesso e ha dato un ennesimo segnale a chi già invocava per lui l'Inps: «Sono ancora qui, dodici mesi la rottura del ginocchio, e voglio tornare più forte di prima». In bocca al lupo ad Alessandro, plurivittorioso del Giro con 5 successi di tappa.
E in bocca al lupo a Paolo Bettini, che fino alla fine ha provato a vincere una tappa, ma non ci è riuscito, e chiude con l'ennesimo piazzamento (terzo di giornata), e non sappiamo se siano stati più i tentativi (fughe, attacchi, scatti, volate) o le cadute e sfortune varie. Comunque gli resta una buona gamba, se supera gli acciacchi e tiene la condizione, magari lo rivedremo protagonista nelle prossime corse (compreso il campionato italiano).
Il vero trionfatore di questa novantesima edizione della corsa rosa è comunque Danilo Di Luca: anche lui contro molti pronostici, ha tenuto fino alla fine centrando la vittoria della vita, sognata sin da bambino, anticipata da un'affermazione nel Giro dilettanti (che però, ci concederà il pescarese, non è la stessa cosa del Giro vero e proprio), e perseguita giorno per giorno dimostrando di essere il più forte tra i contendenti.
Sin dalla cronosquadre della Maddalena (col supporto di una grande squadra, che però sulle montagne si è rivelata un po' meno granitica di quanto ci si aspettasse), Danilo ha dimostrato di avere quella marcia in più, confermata dai successi di Montevergine e di Briançon, e anche dalle altre tappe di montagna, nelle quali ha puntualmente guadagnato su praticamente tutti i rivali (a parte che sullo Zoncolan, dove si è difeso comunque bene).
Alle sue spalle, il nuovo che avanza, e che si chiama Andy Schleck: 21 anni-quasi 22, lussemburghese di nascita, figlio e fratello d'arte, fortissimo in salita, discreto ma molto migliorabile a cronometro, elegante fin quasi a risultare manierato, praticamente il fenomeno del futuro. Terzo Mazzoleni, gregario baciato da un momento di grazia (e dall'infortunio del suo capitano Savoldelli, che nella seconda parte di Giro si è votato al compagno, guidandolo in un paio di attacchi kamikaze in discesa e accompagnandolo di fatto alle soglie del podio, poi conquistato con un'ottima crono a Verona).
Poi Simoni, quasi sul podio a 36 anni, e sarebbe stata l'ottava volta (ma tanto ci ritenta tra un anno); poi la delusione Cunego, partito per vincere quasi a mani basse il Giro, e ridottosi strada facendo a rinviare sempre il momento della risurrezione sportiva (quella terza settimana diventata quasi una barzelletta), ad abbozzare sotto i colpi degli avversari, a risultare sempre più groggy, per scivolare infine in una posizione addirittura peggiore di quella ottenuta l'anno scorso (quinta contro quarta). Certo, con distacchi molto più contenuti; ma perdendo da avversari che avrebbe dovuto mettersi nel taschino.
Dietro a Cunego, un'altra promessa, quel Riccò che in filigrana lascia intravedere le potenzialità per terremotare il ciclismo italiano, se solo eviterà fughe in avanti e robotizzazioni in chiave cronometrica (speriamo bene).
E poi ancora il sole della Sardegna, la pioggia del Nord, la gente (a fiumane), le cadute colossali, le imprese tentate e quelle riuscite, la bellezza insostituibile del Giro. Si può sempre fare meglio, nella vita, ma si può anche fare i complimenti per quello che è, e allora brava l'organizzazione, ma bravo soprattutto il pubblico, che ha dimostrato di essere molto più maturo di certi pubblici ministeri che si risvegliano di soprassalto dopo decenni di letargo, e molto più innamorato di certi giornalisti che coniugano ogni cosa col filtro del cinismo (magari mascherato da aulico paternalismo).
Il Giro è finito, e il Giro ripartirà, tra un anno, da Palermo. Ancora il percorso dalle isole verso la terraferma; ancora - si spera - una memorabile avventura, possibilmente anche più ricca di bei personaggi e di storie da raccontare.

Marco Grassi

 

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