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Vinokourov, il ribaltone - Capolavoro: Valverde spodestato

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C'è qualcuno che saprebbe dirci come si fa a non amare un corridore come Alexandre Vinokourov? È lui l'ultimo esemplare della specie rara di quelli che credono ancora nell'impossibile, quelli che invece di adagiarsi su una realtà troppo banale per essere goduta, lavorano per cambiarla e per trasformarla in qualcosa di inconcepibile ai più.
Dopo pochi giorni di gara, Vinokourov sembrava già fuori dai giochi, respinto dal primo arrivo in salita a La Covatilla (nel magico giorno di Di Luca), addirittura ai limiti del patetico in quel suo piantarsi sull'Alto de El Morredero, quando due giorni dopo aveva cercato un repentino riscatto, e invece si era dovuto arrendere a pochi metri dal traguardo, e aveva dovuto guardare Valverde superarlo di slancio in quella che sembrava, in quel momento, una lotta senza storia tra il nuovo e gasatissimo re del ciclismo mondiale e un vecchio baronetto, che in carriera aveva raccolto certo meno di quanto avrebbe meritato, e che si portava addosso ancora le scorie di una delusione atroce, quella dell'esclusione senza colpe dal Tour de France.
Per altri la storia sarebbe potuta essere quella testè tratteggiata. Per molti ma non per Vinokourov. Spronato senza dubbio anche dall'arrivo del premier kazako nel secondo fine settimana di Vuelta (e Alex nel suo paese è un'istituzione), il capitano della Astana ha infilato due vittorie da urlo, una in stile Parigi-Campi Elisi, anticipando il gruppo in un arrivo in pianura; e l'altra, di peso specifico ben superiore, sul traguardo in quota di La Cobertoria. Con quell'azione Vino rientrava decisamente in classifica, e rinviava a quest'ultima settimana di gara la resa dei conti coi rivali spagnoli.
La crono di Cuenca non aveva dato niente, in termini di guadagno, al kazako su Valverde (8" guadagnati, gli stessi persi il giorno prima per un abbuono conquistato dal leader Pro Tour); e la prima tappa dell'ultimo trittico montanaro, cristallizzando le posizioni di vertice con il murciano sempre più maglia oro e sempre più convinto del fatto suo, aveva fatto pensare, appena 24 ore fa, che non ci fosse in realtà troppo spazio per sovvertire quelle gerarchie. Di certo non oggi, in questa frazione in cui l'assenza di un arrivo in salita faceva pensare che non ci fosse in realtà spazio per azioni decisive.
20 km dalla vetta dell'Alto de Monachil (non la più dura delle salite) al traguardo: 10 di discesa, 10 di pianura, e tanto in teoria sarebbe dovuto bastare per bagnare le polveri di eventuali attaccanti. O perlomeno di permettere a chi si fosse staccato sulla salita, di recuperare qualcosa se non tutto.
Ma le leggi della logica diventano vuote di senso quando c'è di mezzo Vinokourov. E vediamo allora cos'ha combinato il più imprevedibile dei corridori in attività: imprevedibile ma non scemo; e allora se bisogna attaccare in maniera disperata, che almeno l'assalto sia pianificato a tavolino: tu, Paulinho, vai in fuga all'inizio con gli altri che sicuramente si daranno da fare nella prima parte della tappa; tu e tu, Barredo e Yakovlev, lo supportate.
Sicuramente la Csc si darà da fare per ricucire, visto che Unzue (che uno striscione a La Covatilla omaggiava dell'appellativo di "Estafador", contrapponendolo a Landis "Campeon". Estafador vuol dire imbroglione) ha deciso di muovere i suoi Caisse d'Epargne il meno possibile, perché ha capito che non sono in grado di tirare e poi proteggere Valverde. Quindi saranno gli uomini di Sastre a fare il ritmo, e a noi va bene. Anche perché loro cuciono e noi scuciamo, tu, Kashechkin, hai il ruolo più importante, devi partire secco sull'Alto de Monachil e tenere il margine, anche minimo.
Poi, come tutti a quel punto immagineranno, toccherà a me, e lì sarà una questione che riguarderà le mie gambe e quelle di Valverde e quelle di Sastre.
Puntualmente, la Astana ha messo in atto i compiti assegnati, fidando nella potenza, nel carisma, nei muscoli del Capitano, tutti di plastica e di metano.
E il Capitano non tradisce. Quando il nostromo Kashechkin è già in avanscoperta insieme a Gómez Marchante (sempre coraggioso), Vino fa il suo allungo e si porta sui due. Tutto perfetto. Riprendono Paulinho, e anche il portoghese dà il suo contributo, c'è da tirare per allontanare l'ombra di Valverde. Ma quello è un veltro, e soprattutto crede che tutto, a questo punto, gli sia concesso: dopo la bella serie di prove convincenti, il murciano è convinto che basta volere una cosa, e quella si realizza, nei modi più graditi. Parte forte, fortissimo, senza un reale motivo se non quello di solleticare la personale vanagloria. Parte a un km dalla vetta, quando i distacchi sono comunque contenuti entro il paio di decine di secondi, e quindi controllabili agevolmente.
Parte e molla un Sastre al gancio, e raggiunge Vino e i suoi amici. "Ragazzi, sono qui, dove contavate di andare senza di me?". Te lo mostriamo subito dove andiamo, te lo mostriamo subito. Kashechkin prende decisamente in mano le sorti della Vuelta, e urla al Capitano di partire, mentre lui gli fa il buco. Vinokourov allunga allo scollinamento, in un punto che non diresti mai possa essere utile a reindirizzare un grande giro. Valverde ha l'acido lattico fino agli occhi, non si rende subito conto che sta per perdere la sua Vuelta, ma lo sforzo non del tutto utile appena fatto gli annebbia le idee. Si dimentica perfino di chiudersi la mantellina, fa gli ultimi 20 km con la casacca aperta, forse perché qualcosa in lui gli dice che dev'essere più forte anche delle più elementari regole dell'aerodinamica.
Ma Vinokourov, che spettacolo. Scende come un forsennato, ma in discesa si sa, se non sei Savoldelli oggi come oggi non scavi solchi, e in effetti a fine picchiata il margine tra il kazako e la maglia oro è di meno di un minuto. È qui, in questo tratto di pianura, che si consuma il delitto perfetto, e che ci tocca andare a saccheggiare di nuovo De Gregori perché la descrizione della bellezza dell'atleta venuto dall'est è già scritta in una vecchia canzone: questa nave fa duemila nodi ed ha un motore di un milione di cavalli che invece degli zoccoli hanno le ali; la nave è fulmine, torpedine, miccia, scintillante bellezza, fosforo e fantasia, molecole d'acciaio, pistone, rabbia, guerra lampo e poesia.
La nave kazaka vola letteralmente e si porta a doppia velocità su Danielson, che era rimasto all'attacco dal mattino, ultimo e unico superstite della fuga. È in pianura che Vinokourov scrive le pagine più belle, come alla Liegi, come ai Campi Elisi. Il Capitano supera Danielson, e l'americano deve fare uno sforzo supremo per non perderne la ruota: da lì in poi sarà il miglior alleato.
Valverde invece, sciagurato Balaverde, di amici non ne trova, a parte Marchante che qualche cambietto glielo dà ma si becca lo stesso i rimbrotti. Kashechkin lo guarda a vista, Alejandro va completamente nel pallone, 10 km di incubo, in cui riesce a perdere da Vino 1'10". Un momento di sublime dramma e realizzazione, un momento di Ciclismo con la C maiuscola, come maiuscola è la C del Capitano. Gliela lasciamo la vittoria a Danielson? Ma sì, in fondo se l'è meritata, ha collaborato in questi ultimi chilometri. A noi basta la maglia. L'oro è di Vino, per 9" il reuccio di Spagna è spodestato, se avrà pari gambe (e coraggio) di quelle avute oggi dal kazako (che dalla sua avrebbe anche la crono finale, quindi gli basta tenere a Sierra de la Pandera), domani dovrà dare tutto. Altrimenti, onore a Vinokourov.

Marco Grassi    



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