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Spaccale, quelle pietre! - Ballan: «Sul pavè voglio vincere»

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Gioca bene anche a biliardino, in coppia prima con Corioni poi con Baldato, in difesa o in attacco, Alessandro Ballan, primo italiano nella classifica Pro Tour 2006 ("Ma non è che conti granché, anzi; se invece avessi ottenuto un 6° posto nella vecchia Coppa del Mondo sarebbe stato un ottimo risultato, anche a livello economico») e nome nuovo dell'élite ciclistica italiana.
Dove partirà il tuo 2007?
«A Donoratico, provo a buttarmi subito nella mischia e se servirà darò una mano a Bennati o a Napolitano per la volata. Poi correrò il Giro del Mediterraneo ed il Laigueglia e se mi accorgerò di essere già a buon punto con la condizione correrò il GP Chiasso, il GP Lugano, la Milano-Torino ed il Giro della Provincia di Lucca, altrimenti opterò per la Vuelta Valenciana. Poi ovviamente farò la Tirreno-Adriatico e la Milano-Sanremo per puntare con decisione a tutta la campagna belga, ad eccezione della Gand».
Come mai niente Gand-Wevelgem?
«Sono tre anni che la corro e tre anni che non la finisco. Non fa per me, evidentemente. Preferisco riposarmi un po' dopo il Fiandre, in vista della Roubaix».
Il Fiandre ti ha rivelato al grande pubblico, la Roubaix ti ha dato il risultato più prestigioso. Ci sono parecchie differenze nell'affrontare le due corse?
«Hanno caratteristiche simili: bisogna stare costantemente davanti, nelle prime posizioni del gruppo, bisogna stare iper-attenti nei momenti decisivi, bisogna avere fortuna, che non guasta mai. Fortunatamente quest'anno abbiamo anche un Baldato in più, in squadra, che può essere utilissimo per gestirsi e limare in qualche tratto particolare. E poi speriamo di avere Bennati a pieno servizio, al contrario del 2006».
Un paio di anni fa, dopo il 6° posto al Fiandre, ci dicesti che la Roubaix ti faceva paura.
«Vero, e per uno scherzo del destino, ed anche un po' per via di un treno (ride), sono riuscito ad ottenere il 3° posto a Roubaix e "soltanto" un 5° al Fiandre».
Punti con maggiore decisione ad una delle due o le metti sullo stesso piano?
«Correrò sia il Fiandre che la Roubaix con l'obiettivo della vittoria, non posso nascondermi. Anche perché la condizione che si ha al Fiandre la si ha anche alla Roubaix, quindi se si sta bene ad una la gamba rimane, eccome».
E con Boonen come la mettiamo?
«La mettiamo che bisognerà aspettare le squadre un po' più organizzate, penso alla Quick Step di Boonen, e Van Petegem, e Steegmans, ed alla Discovery di Hincapie e Gusev su tutte, e regolarci di conseguenza. Chissà, magari aspetto la volata (ride)...».
Come ad Harelbeke?
«Lì Boonen fu impressionante. Provai a fare qualcosa, ma in 300 metri di volata me ne diede come minimo 100 di distacco».
Il programma dopo la Roubaix?
«Mi piacerebbe correre l'Amstel Gold Race, anche per i percorsi: credo sia abbastanza adatta alle mie caratteristiche. Vedremo però come usciremo dal pavè, sicuramente mi rivedrete in gruppo a giugno al Giro di Svizzera, dopo un riposo di 10 giorni, ed al Tour de France».
Sei più conosciuto (e riconosciuto) in Belgio o in Italia?
«Dopo lo scatto sul Poggio alla Milano-Sanremo ho guadagnato molta popolarità anche in Italia, ma prima di allora direi che la mia "fama" era prettamente circoscritta al Belgio: lì già dal 2005 mi riconoscono, praticamente dalla vittoria di tappa alla Tre Giorni di La Panne che precedette di poco il 6° posto del Giro delle Fiandre. Posso dire che in Belgio sono già un personaggio, in Italia lo sto diventando».
A proposito di Sanremo, la differenza non s'è fatta neanche con la tua sparata sul Poggio. C'è possibilità di evitare la volata finale o è veramente così remota come soluzione?
«Io dico che la differenza si può fare e probabilmente il fatto che l'anno scorso abbia poi vinto Pozzato che fu il primo a seguirmi lo dimostra, anche se poi lo svolgimento fu un po' più rocambolesco. Certo, per fare la differenza bisogna tirare dritti e non voltarsi mai. Se ci si ferma a pensare alle tattiche, da dietro ci mettono un attimo a riprenderti».
Dopo cotanto 2006, in Lampre sarai sicuramente uno dei capitani. Ti pesa questa nuova, acclarata, responsabilità?
«È senz'altro una responsabilità in più, e da una parte mi fa anche piacere non essere il solo a ricevere il lavoro dei compagni, avendo comunque sempre un altro corridore di spicco nelle corse che farò. Avere una squadra che lavora per te non è semplice: c'è tensione, un po' di pressione, e difatti cerco di pensarci il meno possibile. Poi in gara cerco spesso di fare riferimento agli altri compagni: questo mi aiuta molto. Diciamo che preferisco giocare da seconda punta».
E gli avversari, in gruppo, ti considerano una seconda punta o quando ti vedono davanti vedi un po' di preoccupazione sui loro volti?
«Questa domanda sarebbe da fare più a loro che a me, ma sicuramente dal canto mio posso dire che in gruppo sono molto più conosciuto. Anche all'estero i vari Boonen e Freire, tanto per dirne due, mi nominano spesso quando i giornalisti chiedono loro i nomi dei loro avversari più pericolosi. D'altronde, quando sto bene e meno duro ho dimostrato di saper far male...».
Che cosa ti ha lasciato l'esperienza di Salisburgo?
«Tanti bei ricordi, e spero che anche la nostra coesione abbia lasciato qualcosa in eredità alle nazionali future, anche se non dovessi farne parte. È stata sicuramente un'esperienza fantastica, un grande spirito di squadra ed una bellissima tattica. Penso che se anche avessimo perso, nessuno avrebbe avuto da ridire, proprio perché avevamo dato tutti il massimo, ognuno nel proprio ruolo. Certo, poi l'iride è venuto con un numero di Bettini, ma anche gli altri non sono stati da meno».
Ritornando alle "menate", quel giorno un certo Ballan ha praticamente rotto il gruppo da davanti. Era tua intenzione o era soltanto una brusca accelerata?
«Il mio compito era di far selezione su quello strappo: il mio arrivo era in cima alla salitella, quindi dovevo dare tutto in quel tratto. Devo ammettere che dal vivo, lì sul momento, non mi sono accorto di quello che stavo facendo, anche perché mi son girato soltanto un po' tardi, quando qualcuno già si era mosso per inseguire, però devo dire che riguardandomi in tv mi sono fatto impressione. Veramente una menata poderosa, ho fatto parecchio male a molta gente, tant'è che si sono mossi Boogerd e Vinokourov per venirmi a prendere. Ma tanto mi sarei fermato da solo prima o poi, non potevo mica continuare su quei ritmi».
Non possiamo non farti una domanda sull'ormai celeberrimo Dna. Cosa ne pensi della questione?
«Io mi sento una cavia, siamo arrivati al punto di essere vere e proprie cavie. Sul Dna penso che prima bisognerebbe portare gli altri sport al livello del ciclismo, con la quantità di controlli, anche a sorpresa, che abbiamo noi, e poi possiamo pensare di fare qualcosa in più. Ci chiedono la reperibilità, i fax anche quando si va in vacanza, i cambiamenti segnalati, adesso pure il Dna che chiedono a malapena agli assassini. No, la questione non mi convince affatto. Però voglio essere chiaro: se io fossi implicato nell'Operación Puerto lo farei, ovviamente se fosse possibile, e comunque darei la mia più estrema collaborazione per dimostrare la mia innocenza. Però sparare nel mucchio è una cosa insensata e non so neanche se sia legalmente e realmente possibile. Non vorrei però che, come ogni cosa che riguarda i ciclisti, certi regolamenti venissero accettati anche contro la nostra volontà».
L'associazione corridori non potrebbe, per non dire dovrebbe, migliorare la vostra situazione?
(interviene anche Napolitano) «L'associazione corridori secondo me è tutto tranne che un'associazione».
(riprende la parola Ballan) «Alle riunioni siamo pochissimi, io stesso ho partecipato ad una sola riunione, l'anno scorso prima del Trofeo Laigueglia, ed eravamo in 10. Non è possibile, dieci soli corridori su 150 professionisti italiani. Anche perché devo dire che ci sono pochissimi avvisi sui programmi dell'Associazione, c'è pochissima collaborazione. Un mio parere personale? Prendere uno studio di avvocati da mettere alla presidenza dell'Accpi, almeno avremmo qualche tutela legale in più».
Dunque, cosa vi aspetta, e ci aspetta, per il futuro?
«Domanda da un milione di dollari! Col Pro Tour i corridori hanno ancora meno voce in capitolo. Il manico del coltello è in mano all'Uci ed ai team manager, e gli altri si devono adeguare. Adesso c'è lo scontro degli organizzatori, io spero che ci sia anche uno scontro con le associazioni corridori, altrimenti sarà dura per il ciclismo andare avanti. Probabilmente noi corridori stavamo meglio con le vecchie graduatorie, con la classifica Uci e la Coppa del Mondo: avevamo più potere contrattuale, perché una squadra per far parte dei Top-team aveva bisogno dei corridori che erano avanti nelle graduatorie. Invece così la qualifica di Pro Team ce l'hanno già e dei risultati dei corridori gli importa relativamente, tanto la squadra è comunque invitata alle corse che contano».

Mario Casaldi    



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