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Ritorno al futuro - Di Luca: «Un 2007 come il 2005»

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«Dovevamo fare un'intervista, giusto?», ci chiede Danilo nella hall dell'albergo. «Giustissimo», rispondiamo. Richiede dieci minuti di pazienza, ché ha delle cose da sistemare in camera. Gli diciamo che possiamo farla benissimo dopo pranzo, la chiacchierata, con più calma e – soprattutto – a stomaco pieno. Qualche battuta la si scambia anche a tavola, insieme a Roberto Petito, Alessandro Spezialetti, Leonardo Bertagnolli e Mario Chiesa, e si spazia dai ricordi di Petito su Bartoli, a quelli di Danilo, soprattutto grazie ai video, di Pantani, fino ad arrivare alla discussione sul DNA che riprenderemo con più minuzia nel corso della singola chiacchierata.
Anno 2005: ottimo. Anno 2006: molto meno. È solo una questione di anno dispari ed anno pari?
«(ride) Speriamo! Il 2006 non è stato certamente come lo volevo. È andato male un po' per demerito mio, un po' per la sfortuna che mi ha colpito con l'ascesso al dente alla Tirreno-Adriatico, che ho trascurato ed ho trascinato troppo, e poi al Giro d'Italia non sono stato assolutamente il Di Luca che posso essere; invece ero io ed ero molto forte al Tour, ma purtroppo m'è venuta una gastrite dopo la prima tappa e me ne sono dovuto tornare a casa; meglio il finale di stagione con la Vuelta fatta discretamente, con la vittoria di una bella tappa, mentre poi sono di nuovo venuto a mancare nel finale di 2006, e mi spiace perché al Lombardia ci tenevo davvero tanto».
Facci l'esempio di un tuo demerito.
«Quando non ci sono i risultati è sempre colpa del ciclista, quando più e quando meno. La stagione è stata sicuramente al di sotto delle aspettative, e qualche responsabilità me la prendo».
Più demerito o più sfortuna, in fin dei conti?
«Penso di dover scegliere la sfortuna, perché quando ti ritrovi a rincorrere la migliore condizione dei tuoi avversari per un anno intero non è mai facile essere competitivo. Forse il Di Luca del 2005 s'è visto al Mondiale, aiutando Bettini, e nelle prime tappe della Vuelta. Certo, col senno di poi è anche vero che, per come è andata dopo, la Vuelta avrei potuto benissimo finirla...»
Ci hai letto nel pensiero: il perché dell'abbandono alla Vuelta sarebbe stata giustappunto la domanda successiva.
«Il programma era stato stilato in base al Mondiale, e quindi la Vuelta arrivava in un periodo di preparazione per Salisburgo. Finire la Vuelta sarebbe stato troppo, secondo i programmi originari, anche se – ripeto – fare sesto o settimo alla Vuelta non sarebbe stato affatto male. Avevo la maglia amarillo, che comunque avevo già perso, però ho mollato da sesto in classifica generale, e probabilmente se avessi avuto in mente di finire la corsa avrei stretto i denti nel giorno di difficoltà, quello che ha preceduto il ritiro, e mi sarei piazzato intorno ala settima posizione. Questo sì».
Forse serviva ragionarci un poco di più.
«Ma no, ci avevamo ragionato eccome. Avevo ottenuto quello che volevo col successo di tappa ed, anzi, era venuto anche qualcosa in più, come la maglia di leader della generale. Abbiamo deciso di puntare su Mondiale e Lombardia, e questi sono ragionamenti che faccio a posteriori. Avrei perso di meno in quella tappa, magari avrei recuperato qualcosina in un'altra. Tutti "se" e "ma", insomma».
L'impressione è che corridori come Di Luca e Vinokourov, tanto per fare un paragone, riescano a dare anche qualcosa in più del 100% se sono spinti dall'entusiasmo. Sbagliamo?
«Io per far bene ho bisogno della condizione. Se ho la condizione, a parte il pavè, su cui probabilmente rimbalzerei, penso che tutte le corse siano alla mia portata. Non mi precludo né il Giro d'Italia, né il Tour de France, né la Vuelta a España, ed il fatto che sia arrivato quarto in un Giro d'Italia durissimo ne è probabilmente la dimostrazione più efficace».
Ma al Giro 2005 arrivasti sull'onda dell'entusiasmo delle corse appena vinte, questo è innegabile.
«E infatti quest'anno abbiamo deciso di ritornare ad un programma molto simile a quello di due anni fa, riportando l'attenzione principale sul Giro dei Paesi Baschi, Amstel Gold Race, Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi, che son poi le corse che mi si addicono di più, e poi sull'onda andare a disputare il Giro d'Italia. Un Giro d'Italia che posso anche vincere, se avrò la gamba».
Anche perché il Giro del 2007 somiglia molto di più a quello di due anni fa, rispetto a quello dell'anno scorso.
«Mi si addice abbastanza come Giro, anche grazie alla presenza della cronoscalata che mi piace e mi affascina molto. Le poche cronoscalate che ho corso le ho sempre vinte, mi pare, e quindi ho buone prospettive per la prova di Oropa».
Il percorso di avvicinamento al Giro quale sarà? Dove debutterà Di Luca nel 2007?
«Ricalca completamente quello del 2005, con qualcosina legata anche allo scorso anno. L'unica differenza è che quest'anno partirò un po' prima, col debutto alla Ruta del Sol, in Andalusia. Poi farò la Milano-Torino, il Giro della Provincia di Lucca, Tirreno-Adriatico, Milano-Sanremo, Giro dei Paesi Baschi, Amstel Gold Race, Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi».
Dopo il Giro è ancora tutto da concordare o hai già qualche ideuzza che circola nella testa?
«Ci sarà da visionare il percorso Mondiale di Stoccarda e, nel caso, disputare nuovamente la Vuelta in preparazione della prova iridata. Dalle prime indiscrezioni non dovrebbe essere molto adatto a me, quindi in caso di esito negativo della ricognizione tedesca andrò al Tour de France».
Giro d'Italia e Tour de France partendo da così presto?
«In fondo tra Giro e Tour c'è un mese per lo scarico e per riprendere il colpo di pedale. Nel caso, il Tour sarà affrontato senza aspirazioni di classifica generale, su questo penso di potermi sbilanciare un pochino, però lottare per qualche tappa non sarebbe comunque male».
L'immagine del 2006 di Danilo Di Luca potrebbe essere lo scatto al Giro di Lombardia: gamba non eccelsa, ma comunque tanta voglia di lottare.
«Lì più che altro è stata la grinta a farmi muovere, anche perché le gambe non rispondevano proprio a meraviglia. Ero rimasto sempre "a pelo", ma sempre con i primi, e sapevo che non ero a livello non dico di Bettini, ma quantomeno di Boogerd. Nel momento dello scatto mi ero sentito comunque meglio, pensavo di aver passato la fase critica, ma poi quelli sono attimi di gara: ho provato, ma poco dopo sono stato bloccato dai crampi. Lottare fa parte del mio carattere, non mi tiro di certo indietro».
Una bella lotta anche al Giro dell'Emilia con Davide Rebellin.
«Sull'Emilia ho qualche rimpianto, perché a fine corsa ho maturato la convinzione di aver un poco sottovalutato Rebellin, perché quel giorno andavo veramente molto forte. Invece Davide è stato veramente molto bravo, mi ha battuto ed ha meritato la vittoria».
La formazione della Liquigas per i grandi giri sembra essersi un pochino ridimensionata: via le "seconde punte" Garzelli e Cioni e dentro gregari puri, o quasi, come Beltrán e Bertagnolli. La cosa ti preoccupa o sei soddisfatto?
«Quest'anno ci sono io (ride). La Liquigas ha deciso di concentrarsi maggiormente sulle corse di un giorno e l'acquisto di Pozzato e il mio ritorno al vecchio programma sono lì a confermarlo. Soprattutto quest'anno speriamo di partire col piede giusto, visto che nel 2006 siamo partiti con un sacco di problemi, anche se fortunatamente nella seconda parte siamo riusciti a rifarci piuttosto bene. Squadra improntata sulle classiche, dunque, con Di Luca libero di provare a fare qualcosa nelle gare a tappe».
Chi saranno gli 8 scudieri di Di Luca sulle strade rosa?
«Ci sono delle indicazioni, ma comunque c'è lo spazio ed il tempo per modificare qualcosa da qui fino a maggio. Comunque Noè, Wegelius e Spezialetti sono le persone già stabilite, probabilmente Pellizotti, e quasi al 100% ci sarà il debutto di Nibali. Poi più avanti si vedrà».
Quindi una sola punta, sperando sia ben affilata.
«Sì, anche se con Garzelli e Cioni non ci sono mai stati dei problemi, di nessun genere, perché quando abbiamo corso assieme abbiamo sempre corso bene. Nel 2007 però le cose sono un pochino più chiare, ed io sarò l'unico capitano della Liquigas nelle corse a tappe».
Pensi che il disegno del Giro d'Italia 2007 possa favorire un po' qualche corridore da brevi e medie corse a tappe, visto che comunque l'ultima asperità è nel mercoledì che precede la fine della corsa? Ci potranno essere più contendenti, se non alla rosa, quantomeno al podio di Milano?
«No, non penso. Secondo me è stato fatto per rendere incerto l'esito finale del Giro fino alla cronometro di Verona, perché è vero che ci sono molte salite, ed anche molto dure, ma è anche vero che in salita non c'è il grande fenomeno in grado di infliggere distacchi abissali, quindi penso proprio che all'ultima cronometro ci si giocherà la vittoria finale ed il podio. Certo, se poi arriverà il Basso dello scorso anno allora sarà giusto che il Giro si concluda sullo Zoncolan, ma le annate non sono mai uguali tra loro e sarà difficile anche per Basso ripetere il Giro 2006. E questo, sia ben chiaro, lo dico sotto un aspetto puramente tecnico, senza dietrologie sui problemi che ha avuto Ivan in questi ultimi tempi: in fondo le corse del 2005 e del 2006, sia per me che per Ivan, dimostrano che ogni annata, ogni Giro, ha una storia totalmente a sé stante. Il Giro 2007 per me sarà molto più bello proprio perché si avrà grande incertezza fino alla fine».
Siamo entrati nel discorso "ultimi tempi", e una considerazione di Di Luca sulle ultime questioni, compreso il DNA, la ascoltiamo volentieri.
«Personalmente, io, come corridore, non sono affatto d'accordo sul dare il DNA. Cos'altro aggiungere? Non dico che se me lo chiedono smetto di correre come ha fatto Bettini. Questo non lo dico, però dico e ripeto che non sono d'accordo e che non trovo assolutamente giusto farlo, prima di tutto perché non mi sembra il caso di aggiungere un nuovo scalino di differenza tra tutti i controlli che facciamo noi con quelli che fanno gli altri negli altri sport. Poi è anche un discorso un po' strano, anche perché non è che il test del DNA riveli chissà cosa nel doping».
Da una parte potrebbe essere utilissimo per combattere il doping genetico, dall'altra potrebbe essere un'arma in più per i datori di lavoro e le assicurazioni, visto che il DNA offre il fianco anche a discorsi legati a contratti lavorativi.
«Ormai la nostra privacy non esiste più e questo non è giusto. Come dicono parecchi miei colleghi: in fondo se ti beccano è difficile rientrare nel giro che conta; se lo si fa, si trova spazio nelle squadre di seconda e terza fascia. Però non si può continuare ad essere sempre i primi a fare nuovi test».
Non siete soltanto i primi, visto che dietro non vi segue nessuno. Siete la cavalleria di un esercito che non esiste, lo sapete questo?
«Noi ciclisti abbiamo già dato ampia dimostrazione di voler combattere il doping accettando i test ematici nel 2001. Noi siamo avanti col doping... (pausa)... aspetta, non volevo dire questo... (ride). Noi ciclisti siamo avanti con i controlli, coi test antidoping, quindi siccome siamo avanti, mi sembra giusto tenerci i test che già abbiamo, e basta. Mi sento di poter dire che rispetto a quattro-cinque anni fa nel ciclismo il doping è diminuito tantissimo, anche se, come in ogni campo dello sport e della vita, c'è sempre qualcuno che continua a provare a barare e viene trovato positivo. Abbiamo fatto bei passi avanti. E poi, diciamolo francamente: con questo DNA non si capisce dove si vuole andare a parare. Anche per gli appassionati è dura: se non si è dentro, non si capisce, e secondo me questo alla lunga stanca anche i tifosi di ciclismo».
Di Luca, Freire, Boonen, Bettini: sono solo quattro nomi di ciclisti rappresentativi che ci vengono in mente. Perché non provate a farvi sentire?
«Quando ci rivedremo, durante le prime corse dell'anno, sicuramente ci parleremo. Io dico che anche a Bettini scoccerebbe parecchio smettere perché gli viene imposto di dare il DNA».
Una corrente di pensiero dice che Bettini s'è esposto perché tanto ormai ha vinto tutto o quasi; l'altra applaude Bettini perché si pensa che l'esposizione porti a maggiori rogne. Quale delle due?
«Io penso la seconda, e difatti penso che Bettini non dovrebbe continuare ad esporsi in questo modo. Perché, però? Perché siamo tutelati pochissimo, ed abbiamo sempre il coltello dalla parte della lama. E di certo non è bello. Esporsi da soli è rischioso, un altro conto è farlo in gruppo».
Sarebbe bello iniziare dall'Italia. Lo stesso Basso ha perso credibilità più per la mancanza di una netta presa di posizione che per le indiscrezioni dalla Spagna.
«Siamo d'accordo, anche perché prendiamo il caso Basso: chi legge, in fondo, secondo me non capisce neanche bene qual è la posizione di Ivan. È sempre rimasto un po' sul vago. Però anche girare il coltello nella piaga non è più ammissibile: Basso è stato assolto? Basta, punto. Che corra».
Un qualcosa di simile l'ha passato anche Di Luca.
«Io sono ancora in causa con il Tour. Nel 2004 non mi fecero correre il Tour perché... sapete bene perché. E io per quel Tour mi ero preparato, mica andavo in Francia per fare vacanza o delle scampagnate».
Questa impotenza dei corridori ci lascia francamente senza parole.
«Eh già, anche perché il successo di Bettini al Mondiale è passato quasi in secondo piano, essendo venuto dopo l'ennesimo scandalo nel ciclismo. Comunque, io penso che come sono migliorate le cose negli ultimi cinque-sei anni, perché prima in alcune corse, faccio l'esempio della Vuelta, pensare di andare a fare risultato era veramente da pazzi o quasi, penso che si migliorerà un poco anche dopo quest'altra batosta».
Per te quest'anno niente Messico, giusto?
«No, niente Messico, ma non perché ci siamo accorti che non mi faccia bene o che si sia sbagliato qualcosa negli anni passati, ma semplicemente perché con gli anni che passano si avverte sempre più il desiderio di stare a casa, di non allontanarsi troppo nei periodi in cui si potrebbe stare con la famiglia, invecchiando si sta meglio a casa. E poi quest'inverno il clima dell'Italia non ha niente o quasi da invidiare al Messico».
A proposito di famiglia, cosa vuol dire l'espressione abruzzese: «Sì 'nu camafr'»?
«Eh?».
Abbiamo conosciuto tuo suocero, Stefano Giuliani.
«(ride di gusto). Ma l'avete mai visto ballare? Lui in pista è il numero uno!».

Mario Casaldi    



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