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Palpitante Valverde - Brucia Vino nel finale. Di Luca giù | Cicloweb

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Palpitante Valverde - Brucia Vino nel finale. Di Luca giù

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Ragazzi, calma e gesso, non è successo niente di irreparabile. Se fossimo inclini a lasciarci travolgere dagli umori del momento, staremmo qui a piangere e a dirci che le cose belle devono finire, e a rammaricarci perché questa è finita troppo presto; e a lamentarci perché non avevamo ancora fatto la bocca a un Danilo Di Luca competitivo e in lotta per la vittoria alla Vuelta, che alla prima occasione buona il pescarese si è staccato perdendo il famoso tram che si chiama desiderio, e bla bla bla.
Invece se negli anni passati eravamo abituati a sognare che la gente, al cospetto di Armstrong al Tour (tanto per fare un esempio), fosse ancora in gioco anche quando aveva 5' di ritardo nella generale, non possiamo che concludere che il minuto e 47" che Di Luca paga stasera a Brajkovic è davvero poca cosa, e che il podio è a poco più di un minuto e mezzo, e che nulla è perduto in questa Vuelta 2006, men che meno la possibilità di fare comunque una onorabilissima figura da qui a Madrid.
Poi bisogna però essere onesti e ammettere che fino a stamattina ci eravamo cullati sin troppo nell'idea che Di Luca potesse continuare a dettare legge, come fatto a La Covatilla. Non per un freddo approccio analitico alla situazione, quanto per il bisogno morale di ritrovare un feeling, un sentimento forte che ci leghi al ciclismo che amiamo e che vediamo continuamente bistrattato: ogni colpo inferto a questo sport è un gancio al fegato per noi, ogni schizzo di fango sui corridori è umiliante anche per noi, ogni problema del pianeta bici lo sentiamo come nostro; somatizziamo; e allora abbiamo bisogno di ricarburare, e con Danilo l'altro giorno era andata alla grande.
Ci aveva presi per mano da un porto di nebbie e condotti in cima a quella salita, con quello scatto imperioso, facendoci riesplodere dentro tutto il bisogno di ciclismo che era rimasto mortificato negli ultimi tempi. E di conseguenza ci eravamo un po' lasciati andare. Oggi, la tappa dell'Alto de El Morredero riporta le cose a proporzioni più consone: Di Luca non è il favorito della Vuelta, gli manca qualcosa per lottare alla pari coi vari Valverde, Sastre e compagnia danzante, e dobbiamo accontentarci di qualche lampo, qualche colpo di classe. Il che è già un gran bell'accontentarsi, specie se poi tutto intorno vediamo altre cose gradevoli, come nel finale di tappa odierno.
Su quella salita irregolare Di Luca ha gettato la spugna troppo presto, a poco meno di 10 chilometri dal traguardo, su un fendente sapientemente assestato da Valverde (spalleggiato da Kashechkin), proprio per liberarsi di questo scomodo cliente in maglia Liquigas; ma è stato un momento di crisi passeggero, se è vero che, perso un minutino dai migliori, per 5 o 6 chilometri Danilo ha proceduto a un buon ritmo (ed era solo contro tutti quelli davanti), senza cedere ulteriore terreno: senza compagni che lo aiutassero, l'abruzzese ha tenuto, ha evitato di saltare per aria e si è conservato - con questa ammirevole e giudiziosa condotta - in una posizione di classifica che è tuttora rispettabile, ben dentro la top 10.
Poi negli ultimi 3 km ha perso un altro minuto, ma era normale, visto che davanti esplodeva la festa, con attacchi e contrattacchi che hanno reso scintillante il finale di tappa. È stato uno dei più attesi, Iban Mayo, a dare il via alle danze, con uno scattino che non è equiparabile a quelli dei suoi giorni migliori, ma che ha avuto il merito di dimostrarci che il basco non ha per niente voglia di abbandonarsi ai ricordi, ma vuol tornare a incidere come fece in poche memorabili giornate.
Sull'allungo di Mayo ai 3 km, Beltrán e Valverde sono stati rapidi a reagire, mentre il nutrito gruppo dei migliori esplodeva in un fuoco d'artificio di maglie che si sparpagliavano tutto intorno, sulla strada che si inerpicava al Morredero. La selezione era netta, anche se non pareva esserci chi potesse realmente fare la differenza (anche perché le rampe più dure erano già alle spalle). In avanscoperta, in quel momento, c'era ancora Loosli, fuggitivo del mattino e bravissimo a resistere fin quasi al traguardo. Ma ai 2 km il destino dello svizzero si compiva, per mano (o per gamba) del frizzantissimo Brajkovic, che scattava a sua volta (cosa che non aveva fatto a La Covatilla, dove si era limitato ad essere l'ombra di Di Luca) portandosi dietro uno come Vinokourov (che peraltro si era già fatto vedere a inizio salita, in un'azione in compagnia di Szmyd, Joaquín Rodríguez, Kohl, Devolder, Beltrán, Hesjedal, Paulinho e Pérez Rodríguez: azione poi rintuzzata dai migliori).
Il grande kazako era lì per far male, e non si è impressionato quando, ai 1400 metri, Gómez Marchante ha provato uno dei suoi affondo. Il tempo di cambiare rapporto, e Vino è partito come una saietta, poco prima della flamme rouge dell'ultimo chilometro. Il forcing di Vinokourov, realmente rilevante, dava la sensazione che solo un fulmine di Zeus potesse fermare il kazako e togliergli la vittoria. Ma il punto è che in gruppo codesto fulmine c'era e c'è: ha pure un nome, Alejandro Valverde.
Il murciano ha aspettato e aspettato, ha fatto i conti con le sue forze e con quelle di Vino, quasi come potesse leggergli la telemetria e stabilire con precisione flussi e riflussi di energia. Ha aspettato e aspettato, controllando quelli che erano con lui e intuendo che a quel ritmo Alex non avrebbe potuto tenere fino alla linea del traguardo. E quando l'azione del kazako iniziava a scemare, Valverde è partito come un razzo, scrollandosi tutti di dosso e volando a mordere la coda di Vino; il quale ha sentito subito che l'aria iniziava a puzzare di fregatura, e - più che le gambe - ha visto andare in acido lattico il cervello: la meta vicina, vicinissima, ma più vicino ancora quel dannato alle calcagna. Buio, obnubilamento dei pensieri, disarticolazione dei centri sinaptici, disgregazione della realtà immaginata. Tilt.
Ai 300 metri Valverde si beve Vino (c'è un titolo più scontato?), e se ne va con la sua scia di potere a vincere la tappa solo soletto, anche se tutti gli altri non gli sono arrivati lontani. Sastre il più prossimo, secondo di tappa, terzo in classifica, è sempre lì, ci si chiede quando crollerà, al suo terzo grande giro dell'anno corso ad alto livello. Il sempre sottovalutato Gómez Marchante subito dietro, a uno scatto dalla maglia oro, e subito a ruota Kashechkin, uno dei giovani cresciuti di più quest'anno. Quanto a Mayo, anche lui non è lontanissimo (anche se è dietro a Di Luca), in Spagna ci credono sempre, ed ora come ora credere in Iban non è più l'atto di fede che era qualche tempo fa. Aspettiamolo ancora.
Noi ci giochiamo come miglior uomo in campo Ruggero Marzoli, la più grossa sorpresa (con Brajkovic) fin qui. Ad onta del suo non essere propriamente uno scalatore (anzi non lo è del tutto), il conterraneo di Di Luca ha resistito coi primi sia a La Covatilla che oggi; sta molto bene, ha una capacità di gestirsi che gli sta permettendo questi exploit, è molto regolare e prima della fine della Vuelta potrebbe anche vincere una tappa, visto che è veloce. Sarebbe una ciliegina davvero succulenta: auguri!

Marco Grassi    

 

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