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Orgoglio e pregiudizio - Algeri: «Siamo lo sport più pulito»

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I corridori si stanno schierando per delle foto per la stampa spagnola, in attesa della riunione tecnica delle 19. Una buona occasione per fare quattro chiacchiere con Pietro Algeri, DS Saunier insieme al figlio Matteo, Joxean Fernández "Matxin" e Sabino Angoitia.
Algeri, innanzi tutto una domanda che abbiamo fatto anche ad alcuni corridori, in merito a quest'ottimismo, a questa voglia di correre e allenarsi divertendosi che si respira in gruppo. A lei chiedo: come si costruisce un ambiente di questo tipo?
«È importante la professionalità, il trattare i ragazzi non come il direttore sportivo col bastone, ma cercando di suggerire più che imporre, di trasmettere l'esperienza in modo sereno. Del resto si tratta di giovani dai venti ai trenta-trentacinque anni: è naturale che si crei la battuta, lo scherzo; finchè c'è questo tipo di atmosfera, anche il lavoro duro si affronta con più tranquillità. Poi chiaramente dobbiamo essere capaci, quando si avvicina il momento, di creare quella giusta pressione che possa responsabilizzare i corridori sull'obiettivo».
Ci presenti qualcuno degli elementi più giovani della squadra: a parte Riccò e Ventoso, che per i loro risultati sono già noti al grande pubblico, su chi scommetterebbe per un futuro importante?
«Sicuramente Durán: lo vedo pedalare con enorme facilità e l'impressione è che abbia un buonissimo motore; lo gestiscono, qui dalla Spagna, più Matxin e Sabino, ma secondo il mio punto di vista, anche se ha vent'anni bisogna iniziare a porgli degli obiettivi ben precisi, senza tenerlo troppo nella bambagia».
Non c'è il rischio di bruciarlo un ragazzo, a quest'età?
«Mah, un giovane lo si brucia quando si cerca la luna, si punta su corse come il Giro di Francia o cose del genere. Con obiettivi mirati e proporzionati, invece, è giusto iniziare a pungolare l'atleta: poi il risultato non è fondamentale, quanto piuttosto l'impegno e la condotta di gara».
Su Koldo Gil: nel 2006 è andato molto bene in corse a tappe brevi come il Giro di Svizzera e la Euskal Bizikleta, ma sembra particolarmente adatto alle classiche dure come la Freccia Vallone, dove peraltro l'anno scorso si è piazzato bene (quinto), o la Liegi: quale sarà il suo programma di quest'anno?
«Identico all'anno scorso, quando comunque l'intenzione era di puntare proprio al tipo di corse citate, cercando di arrivare alla Parigi-Nizza già con una buona condizione. Purtroppo poi, a causa di un problema al ginocchio ha tardato a trovare la forma e gli obiettivi sono un po' cambiati».
A proposito del momento che sta attraversando il ciclismo: tra Operación Puerto e altri scandali doping, cui si aggiunge la faida Federazioni-UCI, insomma sente di far parte di uno sport che non sa volersi bene?
«Sono direttore sportivo da venticinque anni, ma una situazione tanto deleteria come nel 2006 non l'avevo mai vissuta; fino al Giro d'Italia il ciclismo sembrava in decisa ripresa: grande entusiasmo, Basso che catalizzava l'attenzione del pubblico... Poi da allora è iniziata a crescere una certa tensione tra l'UCI, le Federazioni, gli organizzatori, i gruppi sportivi: in questo momento tutti sono contro tutti e continuiamo a sbriciolare la nostra immagine. Penso ci voglia un segnale forte, una svolta, magari un campione che riporti entusiasmo, com'è successo altre volte quando la nascita, l'affermazione di un grande campione ha messo a tacere tante cose».
Cosa si sentirebbe di rispondere a una persona che afferma che esisterebbero una cultura di matrice anglosassone interessata alla lotta al doping e una cultura mediterranea, italiana e spagnola in primis, più propensa ad ammettere certe pratiche?
«È assurdo. Tra l'altro ho sempre avuto un buon rapporto con Pat McQuaid, ma mi amareggia moltissimo che il nostro capo (perchè comunque dipendiamo tutti dall'UCI) dica questo; non mi trova per nulla d'accordo. Ritengo che proprio questo sia lo sbaglio più grande: non è possibile continuare ad inasprire il rapporto tra il nostro governo e i grandi organizzatori. E sottolineo che da sempre le regole principali sono venute dalla società del Tour, dall'ASO: io dico bravo a Verbruggen che ha mondializzato il ciclismo, perchè in questi venticinque anni c'è stato un cambiamento enorme. Però negli ultimi due anni si stanno commettendo degli sbagli e per questi l'immagine del ciclismo ora è a pezzi».
Cosa direbbe a un appassionato che si allontani da questo sport nella convinzione che in gruppo "sono tutti dopati"?
«Che il ciclismo, adesso come adesso, è lo sport più pulito».

Stefano Rizzato    



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