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Hai voluto la bicicletta? - Scopriamo il mondo di Alessandro Bazzana

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«Mi hanno citofonato due dirigenti della squadra ciclistica locale che cercavano giovani leve, volevano assoldarmi e ho subito accettato l'idea con entusiasmo, nonostante i genitori fossero contrari. Mi piaceva l'idea di competere coi compagni di scuola che mi battevano in sport come calcio e corsa a piedi, mentre in bici avevo le mie rivincite»: così a sei anni Alessandro Bazzana incomincia la sua carriera sulle due ruote. Ventidue anni, bergamasco, all'attivo ottanta vittorie, unite a oltre cento piazzamenti nei primi dieci nella categoria under 23 (fra cui tre podi in coppa del mondo) e alla vestizione della maglia azzurra. La stagione 2006, ultima da under, l'ha disputata in casacca Zalf-Fior, mentre per il suo prossimo futuro si sono aperte le porte del professionismo: il team continental americano Successful Living lo ha voluto nelle proprie fila. Molto presto si trasferirà in California: «Vivrò con altri due corridori in un'abitazione data dalla squadra. Il posto si trova presso Santa Barbara, a un'ora d'auto da Los Angeles, sulla costa californiana dove il clima è mite tutto l'anno».
Come è nato il contatto con il team statunitense?
«Il contatto per gli Stati Uniti mi è stato proposto da un compagno di squadra che era a conoscenza della ricerca di un corridore italiano per il team Successful Living 2007. Dopo essermi consultato in famiglia e col dt Luciano Rui ho accettato con entusiasmo questa nuova avventura adrenalinica».
Grazie al ciclismo hai avuto l'opportunità di girare l'Europa ma negli Stati Uniti non ci sei mai stato: come te li immagini?
«È il Nuovo Mondo. Siamo tutti cresciuti a film americani, l'idea di toccare con mano questa terra, forse, ha fatto scattare più di ogni altro motivo la molla per accettare il contratto. L'America va dalla ricchezza più sfacciata alla povertà violenta nei sobborghi metropolitani, e la cosa un po' mi intimorisce, tuttavia ci andrò per correre in bici: l'ho sempre fatto, e ciò mi dà sicurezza. Il modo di correre diverso da quello europeo, a quanto mi è stato detto, rispecchia la mentalità americana, sport come il ciclismo sono etichettati diversamente che in Italia. Inizialmente so che soffrirò i ritmi di gara più serrati, ma questo fa parte del gioco e proverò a crescere per ripagare la squadra della fiducia».
Quanto resterai in California?
«Da fine gennaio sino a giugno. Tornerò magari per disputare il campionato italiano e poi ripartirò nella seconda metà di stagione per correre il circuito continentale Usa».
Insomma, un po' di nostalgia credi che la proverai?
«Sicuramente avrò nostalgia del cibo, ogni giorno. Affettivamente la famiglia, gli amici, mi mancheranno tantissimo. Comunque nei momenti di difficoltà penserò al lato positivo di questa esperienza lontano da casa, e l'idea di poterla condividere e raccontare un giorno ai miei cari mi darà la forza per andare avanti».
Con quali prospettive e quale filosofia di vita, se ce l'hai, pensi di affrontare la nuova avventura e anche la tua vita in generale?
«Me lo chiedo tutti i giorni, ma pensando troppo non arriverò mai a una conclusione certa. Preferisco svegliarmi tutte le mattine, affrontare il mio allenamento cercando di perfezionare la mia tecnica, perché questa è l'unica via che porta a un risultato. Tuttavia non posso dimenticare che la buona e la cattiva sorte, anche in famiglia o altrove, viaggiano a braccetto tutta la vita, non esiste un futuro certo. Sono giovane e credo che l'unico modo per rispondere alle mie tante domande sia viaggiare, interagire con persone diverse, non stupendosi mai e rispettando tutti. La mia filosofia di vita è che ogni giorno ci alziamo un po' diversi dal giorno prima e dobbiamo essere pronti a sapere che l'indomani cambieremo ancora. L'unica cosa che rende la vita degna di essere vissuta, l'unica costante nella mia vita, è il cambiamento, la ricerca delle novità, delle avventure e delle occasioni più o meno rare per continuare a lottare, e sognare».
Cosa può averti dato di più questo sport rispetto a qualsiasi altro?
«Non credo che praticare o meno il ciclismo faccia di me una persona migliore, qualsiasi sport può essere bello a modo suo; mi sono ritrovato in bici e nel pieno dell'adolescenza ho capito che conoscevo abbastanza bene l'ambiente per andare avanti e inseguire il sogno di diventare un campione. Oggi mi piace incontrare i compagni di squadra di un tempo e sentirli incoraggiarmi a tener duro. Mi piacerebbe ottenere qualcosa in futuro anche per loro, per gratificare tanti anni di giochi e di sogni che abbiamo condiviso. E se li realizzerò per me, sarà un po' anche un loro successo, li farà uscire per qualche istante dalla loro quotidianità lavorativa».
Nel mondo dei dilettanti hai militato per tre anni nell'UC Bergamasca 1902 per poi approdare alla Zalf-Fior, squadra che si dice essere la più prestigiosa almeno in campo dilettantistico italiano. Qual è il valore aggiunto della Zalf?
«Il segreto della Zalf-Fior è la capacità di mettere ogni corridore nella condizione psicofisica ideale, non ci sono pressioni o riferimenti ai risultati in gara, solo la propensione collettiva al lavoro, all'allenamento, al sacrificio, che mi è stata strasmessa dai compagni ma soprattutto dall'allenatore Luciano Rui, e da Luciano Camillo. Non bisogna dimenticare che il sostegno, silenzioso ma presente, delle famiglie Fior e Lucchetta fa la differenza su altre squadre sempre alle prese con cambi di sponsor e gestione. Questo influenza il rendimento dei corridori più di quanto possa sembrare».
Chi è il campione delle due ruote a cui sei più legato?
«Indubbiamente Marco Pantani; le sue imprese mi hanno commosso perché è stato un esempio di forza ma anche sregolatezza, in cui talvolta mi rispecchio. Ricordo che ad inizio 1999, all'apice della sua carriera, gli scrissi una lettera piena di domande che ora definirei banali riguardo l'allenamento e l'alimentazione degli atleti, lui rispondeva in una rubrica sul settimanale della federazione. Fui il primo lettore a ricevere risposta e venne pubblicata. Ero molto orgoglioso e lo sono tuttora se penso che un campione del suo calibro aveva speso parte del suo tempo per dare consigli ad un giovane corridore come me. La sua scomparsa mi ha fatto riflettere molto. Stimo moltissimo anche Lance Armstrong, di cui ho recentemente letto il libro "Il mio ritorno alla vita", come esempio di chi sa trasformare le difficoltà... in opportunità. È un modo di essere, un carattere, che la dice lunga non solo su cosa serva per vincere in bicicletta ma su come reagire ai problemi e vivere bene... sembrerebbe l'opposto di Pantani, e le vecchie polemiche fra loro ne sono la prova, ma da entrambi c'è molto da imparare».
C'è qualche episodio particolare legato al ciclismo che vorresti raccontarci?
«Mah... mi viene in mente quello che è accaduto nei giorni in cui mi trovavo in Liguria per disputare la Piccola Sanremo qualche anno fa. Dopo la classicissima Milano-Sanremo 2002 vinta da Cipollini inseguii Lance Armstrong in bicicletta fino al suo hotel; eravamo soli e Lance mi negò una fotografia con lui: ci rimasi molto male. Poi fortunatamente incrociai Oscar Freire in maglia iridata, che invece si lasciò fotografare con me. Conservo gelosamente quel ricordo incorniciato».
Questo per il ciclismo è un momento buio, a pagarne le spese sono spesso i giovani corridori, quelli che si trovano nella fase di passaggio al professionismo o che, da poco passati, non hanno ancora avuto l'opportunità di farsi vedere: i team scarseggiano, per i nuovi arrivati talvolta è difficile non farsi rescindere il contratto, figuriamoci stipularne di nuovi. In molte persone del settore la buona volontà per contrastare i problemi esiste, comunque si va avanti incontrando molte difficoltà. Che opinione ti sei fatto in merito, ed eventualmente cosa suggerisci per migliorare la situazione?
«Il ciclismo è un capro espiatorio, i media lo demonizzano per nascondere verità ben più gravi. Respiro ciclismo fin da bambino e conosco abbastanza bene altri corridori per affermare che noi siamo l'anello debole della catena, quelli che pagano la loro ingenuità troppo spesso. La cultura del sospetto che primeggia nella società moderna, pericolosamente mescolata al mito del successo a tutti i costi inculcatoci dalla televisione ogni santo giorno, sono il male diffuso del nostro tempo. L'attuale situazione nel ciclismo ne è l'esempio lampante. I regolamenti relativi ai controlli sulla salute degli atleti e all'imputazione del direttore sportivo per casi di positività lasciano un bel po' a desiderare. Sono tutti capaci a lanciarsi la patata bollente di mano in mano e nessuno è disposto a scottarsi per fermarla. In questa semplice metafora è racchiuso il problema doping – e non solo – oggi. Sono un corridore, se posso fare qualcosa per dare il mio contributo vorrei riportare le parole del grande Eddy Merckx rilasciate a Bicisport: "Si migliora faticando, si vince faticando più degli altri". Questa è l'unica via possibile, questo va insegnato alle giovani leve per il ciclismo futuro».
Sappiamo che oltre al ciclismo hai avuto in questi anni (dopo il diploma e prima di passare alla Zalf-Fior) una seconda attività.
«Esattamente. Per due anni e mezzo circa ho fatto il venditore ambulante part-time di detersivi e prodotti per l'igiene personale. A dispetto del mio scetticismo iniziale, ho trovato in questo lavoro una valida alternativa al ciclismo e conosciuto tanta gente nuova, la mia clientela. Per questo ringrazio mio papà».
Un paio d'anni or sono hai partecipato al quiz L'Eredità su Rai Uno: raccontaci questa "tragica" esperienza...
«Non è stata tragica. È stata divertente, la rifarei subito. Ho fatto fare brutta figura a mia mamma sbagliando la domanda sugli asparagi e le carote, comunque lei mi ha perdonato e perlomeno ho regalato una bella risata a sei milioni di telespettatori».
Per quanto concerne il futuro lavorativo, una volta conclusa la carriera ciclistica, hai già in mente qualcosa?
«Vorrei fare il venditore di carta igienica alternandolo a studi universitari umanistici».
Stai leggendo un libro in questi giorni?
«Sì, Il Codice Da Vinci, è un bel thriller».
Cosa leggi per tenerti informato sul tuo sport?
«Guardo il sito della mia società (www.zalf-fior.com) e la mie riviste preferite sono BS e... Playboy».

Enula Bassanelli

 

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