Gli stati generali del ciclo italiano - Il dibattito a margine del convegno Adispro
Versione stampabileS'è sempre detto che "parlarne aiuta", che "confrontandosi, si cresce". E lo spirito dei convegni, dei dibattiti, delle tavole rotonde – almeno quelle ideali – è proprio questo.
Stimolare, provocare, presentare dei quesiti, far conoscere taluni disagi, chiedere conto di alcuni problemi, evidenziare le cose belle e ringraziare chi s'impegna affinché queste possano migliorare.
Lo spirito del convegno 2006 di ADIS-Pro è stato più che soddisfacente: partecipazione e coinvolgimento per tanti dei presenti (più di 80 ds); non solo – dunque – aperitivi spumosi e pranzi gratis.
Più che qualificata la schiera di relatori nazionali; soddisfacente anche la partecipazione europea ed internazionale. Un po' scarso – in verità – solamente il numero di giornalisti presenti fisicamente al convegno.
Sono stati i dottori ad aprire le danze degli interventi dei relatori invitati al convegno dell'Associazione Direttori Sportivi Italiani Professionisti.
Il Dottor Claudio Simonetto, responsabile della Commissione della Tutela della Salute della Federciclismo Italiana, ha riepilogato, a partire dalle legge 91 del 1981 sul professionismo sportivo, gli interventi legislativi e regolamentari in tema di doping passando alla legge Melandri 376 del 2000 armonizzata alle normative Wada e UCI in fase di elaborazione: «Il riallineamento internazionale è imprescindibile: sul piano pratico il monitoraggio centralizzato della salute di juniores e dilettanti si affianca come binario parallelo all'intensificazione dei controlli a sorpresa nel professionismo».
Più coinvolgente, anche nel dibattito, l'intervento del Commissario Medico UCI, Dottor Mario Zorzoli, che si è protratto fin dopo il pranzo, a testimonianza dei tanti dubbi dei direttori sportivi su alcune normative UCI e su alcune regole evidentemente troppo oscure. Qualche ds ha fatto notare come alcuni controlli ematici, nel ciclismo, avvengano in sgabuzzini, ripostigli, corridoi, in luoghi dunque considerati assolutamente non sicuri, anche sotto il profilo igienico, per gli atleti. Zorzoli ha consigliato ai ds di evitare al corridore di sottoporsi al test, in quei casi, perché «i regolamenti lo consentono». Vedremo se nel 2007 avremo tanti casi come Vinokourov e Kashechkin all'ultima Vuelta a España o se l'UCI sarà più attenta anche a queste accortezze.
Zorzoli ha sottolineato come «il direttore sportivo è la prima barriera contro il doping. Per il 2008 la Wada sta aggiornando il proprio codice antidoping perfezionando il test sull'emoglobina - si conterà la massa e non più la percentuale - e agendo culturalmente sulla cancellazione del massiccio ricorso a farmaci, anche consentiti, che è ormai insito nello sport professionistico. I limiti dell'esame dell'ematocrito e l'elaborazione della responsabilità oggettiva dei team sono passaggi considerati importanti verso la nuova normativa, unitamente all'adozione del test del DNA».
Test che, dalle domande dai ds, Zorzoli ha giustificato con la lotta contro il doping genetico, prossimo passo del doping e che l'antidoping vorrebbe arginare prima della sua espansione.
Il rappresentante medico dell'Unione Ciclistica Internazionale ha anche esposto l'idea dell'ente riguardo l'istituzione di una nuova misura di prevenzione al doping: la presenza di commissari "accompagnatori" (sulle prime chiamati "scorta", definizione sin troppo "poliziesca" che ci si è affrettati a riformulare) dei ciclisti dal momento del superamento del traguardo fino al camioncino dell'antidoping. Una misura che può essere certamente buona come linea di principio, al fine di evitare che determinati "furbi" possano ricorrere a varie pratiche di occultamento di determinati farmaci, dall'altra – inevitabilmente – dovrà essere gestita con tatto e rispetto verso la fatica di tutti gli atleti (tra fine gara e test avvenuto gli accompagnatori staranno con gli atleti anche sotto la – eventuale – doccia), altrimenti si continuerà a demonizzare i protagonisti dello sport, oscurando anche le prestazioni "pulite" agli occhi degli spettatori (già sentiamo i rumorini dietro le transenne: "Guarda quelli là, ha appena vinto e lo portano via di forza: chissà cos'avrà combinato"; sarebbe il minimo evitare di seminare altri dubbi gratuiti).
Zorzoli s'è poi fatto portavoce della grande considerazione che CIO e Wada hanno nei confronti dell'UCI e del ciclismo in termini di lotta al doping. La riserva era stata presentata al medico dall'intervento di un altro ds, che lamentava all'UCI la costante voglia di mettere nuovi paletti quando in altri sport quei paletti non solo non ci sono, ma non vengono neanche presi in considerazione. Zorzoli ha assicurato che la Wada nel 2008 attuerà una grande riforma del proprio codice antidoping e che tanti esperti del massimo organismo antidoping mondiale stanno studiando proprio nelle sale mediche dell'UCI i meccanismi che il ciclismo – considerato da tutti all'avanguardia su questo fronte – si "vanta" di utilizzare.
Bene, benissimo, ma una domanda sorge spontanea: perché i medici dell'UCI non si scambiano con quelli della Wada, se Zorzoli e compagnia sono così bravi e i dottori del massimo ente mondiale (e trasversale) sono "costretti" a studiarli per capire come agire in tutti gli sport?
Poi è toccato a Massimo Besnati, presidente dell'Associazione Italiana Medici del Ciclismo (AIMEC) intervenire, puntando il dito contro i certificati che ormai circolano troppo facilmente e con sorprendente negligenza nello sport: «Limitare al massimo la concessione dei certificati, fermando i malati cronici e tutelare la loro salute evitandogli patologie irreversibili».
Discorso che in realtà cozza un pochino contro la rivelazione-choc di Zorzoli di poco prima: «Il ciclismo praticato in maniera professionale può portare a malattie, quali l'asma». Come dire: il ciclismo fa sicuramente male. Mah, sarà...
Interessante anche il pranzo, in realtà: una discussione meno ampia per numero di partecipanti, ma ugualmente importante. Si era al tavolo con Luigi Perna, primo inviato de La Gazzetta dello Sport, e Gabriele Sola, responsabile di Lauta Communication e partner di molte aziende legate al ciclismo, nonché Direttore Generale dei Campionati del Mondo di ciclismo "Varese 2008" e moderatore del convegno ADIS-Pro 2006.
S'è parlato di smascherare le ipocrisie, di non nasconderci più verso i titoloni da richiamo e porre la luce, il focus, l'attenzione, verso le manovre di facciata, verso la lotta al doping fatta solo con l'immagine e non con la sostanza, non con la concretezza dei fatti.
È perfetta l'informazione equilibrata, va benissimo anche il poco tempo a disposizione per un quotidiano di sviscerare sin dalle prime battute le notizie certe che arrivano da fonti considerate attendibili. Però dopo non ci si può fermare solo alla cronaca. Dopo si devono far capire tutte le storture, le incoerenze, tutti i passaggi a vuoto, tutte le arbitrarietà di certe decisioni rispetto ad altre. Continuare con la manfrina del DNA senza dire ai lettori che è una manfrina è sensazionalistico. Non è utile. O forse sì. Serve solo a vendere più copie, certamente non è utile per il futuro.
Soddisfacente l'apporto di Perna e Sola alla discussione: è sempre importante parlarne, dicevamo all'inizio, perché magari a certe cose qualcuno non ha il tempo di pensarci, oppure non gli viene in mente. Non per forza malafede, per carità, ma magari disattenzione. Da appassionati di ciclismo, però, e non solo come giornalisti di ciclismo, il nostro lavoro ed il nostro amore deve remare verso la credibilità del ciclismo, e poi verso la sua pulizia. Ottenere 10 da 0 è difficilissimo, impossibile. Ottenere "poco" da "niente", e poi "abbastanza" da "poco" è molto più funzionale. E una volta arrivati ad "abbastanza", si può pensare anche alla – seppur utopica – idea di "tutto".
Peccato che poi Perna non interverrà nel dibattito coi giornalisti, al contrario di Grassi, Meda (RCS Sport), chi scrive, e lo stesso Sola, quando s'è consigliato ai ds di essere ancora più vicini ai propri atleti non solo durante la corsa e nelle radioline, e non solo spiegando al proprio atleta che il suo avversario l'ha battuto perché era più "pieno" di lui. Torniamo ai rapporti umani. Miglioriamo il migliorabile attraverso discorsi tecnici e i valori dello sport, attraverso quindi una competizione – almeno nelle intenzioni – pulita. Guercilena, neo vicepresidente dell'ADIS-Pro, ha sottolineato come i direttori sportivi, anche grazie a nuovi corsi di formazione proposti dalla FCI, vogliano tornare ad essere anche gli allenatori dei propri atleti, limitando il più possibile le figure esterne (leggi "preparatori"), consentendo così un rapporto più proficuo anche col medico del team.
Grandi applausi sono stati riservati dai direttori sportivi alla coppia formata da Renato Di Rocco, presidente della Federazione Ciclistica Italiana (FCI) ed Alcide Cerato, presidente del Consiglio Ciclistico Professionistico (CCP).
Entrambi gli ospiti si sono prestati alle domande dei direttori sportivi, rispondendo ad esempio alla richiesta di contratto-tipo avanzata dai legali dell'Associazione, invitandoli a discuterne, col Ministro del Lavoro Cesare Damiano, nella sede del CCP, «la sede – Cerato ci tiene a sottolinearlo – di tutte le componenti del ciclismo professionistico italiano».
Di Rocco ha invece sottolineato come «le istanze di associazioni private come ADIS-Pro sono determinanti per recuperare un assetto logico al mondo del ciclismo che vada a scontrarsi con le divisioni create periodicamente in sede UCI. Nel ricreare una rete reale di sviluppo, dialogare coi direttori sportivi significa recuperare un interlocutore storico di primo piano senza il quale il sistema non può reggersi».
Tra Di Rocco e Grassi, primo giornalista ad aprire il dibattito con la stampa, è toccato alle associazioni dei corridori, rappresentate da Amedeo Colombo (ACCPI) e Francesco Moser (CPA). Nessun corridore in attività presente, fatto che Fabrizio Bontempi sottolinea subito: «A volte siamo noi ad invitare i corridori a partecipare alle vostre riunioni, sennò non verrebbero. Credo che da parte vostra ci dovrebbe essere più capacità di coinvolgere gli atleti». Amedeo Colombo legge e non esce dal banale compitino di appoggiare i direttori sportivi nelle proprie richieste, anche perché «l'importanza storica dei ds è importantissima per i corridori».
Un poco più propositivo è invece Francesco Moser che punta anch'egli il dito contro l'Unione Ciclistica Internazionale che ha istituito il Codice Etico del Pro Tour nonostante «i corridori professionisti ed il CPA non siano mai stati d'accordo con alcune norme dello stesso Codice».
Davide Bramati, ds da poco e corridore fino a ieri l'altro, dice che «in gruppo sono pochi i leader che possono fare da paladini per il movimento». Cerato provoca Moser e gli chiede: «Se ti avessero escluso dal Tour de France, cosa avresti fatto?». Il trentino: «Sicuramente qualcosa, credo che mi sarei sdraiato davanti alla macchina di inizio corsa e non li avrei fatti partire».
In sala si annuisce, si crede alle parole dello "sceriffo" Moser, ma anche qui la domanda è spontanea: e allora perché lo stesso consiglio non lo si è dato a Basso, Ullrich e gli altri? Perché gli si è fatto capire che erano soli a lottare contro l'AIGCP, l'UCI e l'organizzazione del Tour de France?
Grassi fa notare che «prese di posizione come quella di Bettini vengono viste con ammirazione perché si sa che poi queste dichiarazioni sono sempre seguite da controlli più accurati dei "controllori" che pochissime volte sono "controllati"». Anche qui la sala rumoreggia, perché si sa che s'è detto una cosa vera. E si sa che è vera perché è già successa.
Bruno Reverberi ammette che «a volte siamo noi i primi a dire al nostro corridore che l'altro l'ha battuto perché ha usato qualcosa, e noi questo ci prefissiamo di migliorarlo. Però tutte le componenti del ciclismo, compresi i giornalisti, devono essere compatti».
Stefano Giuliani dice che nelle trasmissioni Rai si parla troppo di doping durante le trasmissioni di ciclismo, Sola consiglia ai direttori sportivi di lanciare qualche giovane all'attacco come faceva lo stesso Giuliani o come faceva Coppolillo. Bruno Reverberi: «Non è semplice dire ad un giovane di andare all'attacco se un giorno prima un suo collega s'è fatto 200 km al vento e i giornali dell'indomani non lo menzionano nemmeno. E se non lo nominano, neanche gli sponsor sono contenti. A volte siamo costretti a fingere verso i corridori, dicendo che lo sponsor ha chiamato e gli fa i complimenti. Ma sono bugie a fin di bene». Anche questo è vero, ed un pochino ci sentiamo onorati di premiare con dei voti anche i coraggiosi fuggitivi della prima ora e di avere un servizio come "L'hai voluta la bicicletta?", che permette ai lettori di conoscere ciclisti non troppo famosi.
Le parole di chi è intervenuto sono state tutte molto propositive. Si è capito, si è aperto gli occhi sui problemi attuali del ciclismo, ed almeno se ne è parlato, tanto. L'impressione è che si sia tutti un po' stanchi di non parlare dei numeri di Boonen al Fiandre e Bettini a Salisburgo, ma di doping, di DNA e di Basso che non corre da maggio. Certo, rimane sempre quel piccolo scoglio che è dettato dalla facilità nel "predicare bene e razzolare male", anche perché son sempre più o meno le stesse "capocce" che governano il ciclismo e poco è cambiato da otto anni a questa parte (caso Festina '98). Moser, McQuaid, Verbruggen, Adorni (invitato ed assente): forse – eufemismo – sarebbe il caso di invertire la rotta ringiovanendo un po' i quadri dirigenziali. «E prendere a dirigere il ciclismo persone che hanno avuto finora pochissimo a che fare con questo sport», sottolinea Piero Pieroni – toscano di lungo corso - nel dopo cena.