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Giro d'Onore, Festa Italiana - Prodi e Melandri premiano il ciclo

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Quello che per la televisione è la notte dei Telegatti, o per il cinema è la Mostra di Venezia, nel ciclismo si chiama – anzi, torna a chiamarsi, dopo 16 anni di stallo – "Giro d'Onore". È praticamente la festa federale, e si svolge simbolicamente in una delle sale più belle della struttura del Coni di Roma, al Foro Italico, tra lo stadio della Pallacorda e quello dei Marmi.
Nessuna classifica di merito decisa da giornali o periodici, nessuna votazione di tecnici o di ciclisti che lascia soddisfazione ai vincitori ed amaro in bocca agli altri; no. Premi ai medagliati, e alle squadre che han permesso all'individuo di ottenere la medaglia, ovviamente.
La cornice è splendida, e gli invitati sono tutti vestiti bene. Mattinata di gala, via, definiamola così.
L'arrivo della nazionale italiana professionisti sembra la scena di un film western (peccato non aver avuto lo slow motion): Bettini trascina un trolley, Paolini ha dimenticato il gel altrove, Ballan quasi nasconde Nocentini, Ferrara e Tonti già se la ridono, Pozzato spalleggia Tosatto. A pensarci bene sembra "Gli intoccabili", oppure uno degli arrivi in via Roma, alla Milano-Sanremo, tant'è vero che per primo entra Bettini. La prendiamo come una profezia.
Dall'altra entrata sbucano Di Rocco prima e Martinello poi. Applausi vari e saluti di rito, e già qualche giornalista inizia con le prime domande. Gli atleti intanto si scambiano qualche battuta; Bettini e Tonti chiacchierano con Vera Carrara ed Elisa Frisoni, poi si aggiunge anche Nocentini; Pozzato invece parla con Colombo e Bugno, magari dell'associazione corridori italiana. Anche se di questo dubitiamo fortemente.
Il Salone d'Onore del Coni è pronto ad accogliere la Federazione Ciclistica Italiana ed i suoi ospiti. Sul lato destro della sala, la stampa; sul lato sinistro, i comitati regionali; navata centrale riservata ai premiati e alle autorità nelle prime file, famiglie ed altri ospiti più in fondo. Ci si siede in ordine alfabetico, ed in prima fila ci sono Alberio, Baccaille, Ballan e Ballerini, da destra verso sinistra. Al tavolo premiazioni, a fondo sala, Alfredo Martini, Renato Di Rocco, Giovanna Melandri, Riccardo Agabio, Raffaele Pagnozzi ed Auro Bulbarelli a fare da "Caronte". Sorpresa dell'ultim'ora: c'è anche Romano Prodi, che ovviamente si siede al centro, tra la Melandri ed Agabio.

È il presidente federale Di Rocco a fare gli onori di casa, prendendo la parola per primo: «Le duecento e passa persone presenti stamattina ci testimoniano più di quanto speravamo quanto s'è lavorato bene in questo 2006; ce ne aspettavamo centotrenta, siamo felicissimi di avervi qui stamattina». Rivolgendosi a Melandri e Prodi: «Come FCI stiamo promuovendo delle azioni finalizzate a soddisfare le richieste dei bambini. Sappiamo che la bici è ancora considerata il secondo regalo più richiesto dai bambini piccoli, e noi abbiamo il dovere di concretizzare le loro aspettative. Proprio per questo si sono donati 2000 tricicli al Ministero della Pubblica Istruzione e si è creata con alcuni partner l'iniziativa Velothon. Proprio per questo abbiamo riabilitato 28 velodromi e stiamo riscoprendo la cronometro nel settore giovanile. Ed è ancora per questo che la promozione federale di attività come il ciclocross ed il fuoristrada è un altro importante passo da compiere nella direzione già intrapresa. Dobbiamo far capire ai giovani che la Federazione Ciclistica Italiana li segue non solo come atleti, ma come formazione totale».
Nel frattempo arriva Danilo Di Luca, leggermente in ritardo. Come le star. Si piazza in terza fila e distribuisce saluti e sorrisi.
Il microfono passa a Prodi, inevitabilmente: «Sono qui solamente per fare gli auguri e nient'altro. Avevo un quarto d'ora di tempo libero e non ho resistito. Non riesco mai a resistere al ciclismo, per fortuna. Perché il ciclismo non è solo uno sport bello, sicuramente il più bello del mondo, ma è anche, se non soprattutto, un insegnamento di vita. Quando assumi una carica importante tutti ti dicono: "Hai voluto la bicicletta? Ora pedala". Perché il ciclismo è fatica, ma una fatica che gratifica sempre. La durezza è il suo lato più bello. E l'altro è legato alla storia, ed alla cultura, dei popoli ed in particolar modo del nostro popolo». Poi si riallaccia al ciclismo attuale: «Nel 2007 mi aspetto delle belle vittorie, specialmente al Giro ed al Tour, magari con Ivan Basso, ma soprattutto mi aspetto e vi richiedo un'esemplarità unica».
Finalmente si toccano anche nuovi temi, non solo il "demone" doping: «Purtroppo in Italia abbiamo le peggiori città al mondo per praticare ciclismo. Ed è una pecca che contiamo di migliorare, avendo già dato avviso agli enti adatti di lavorare in questa direzione. In tante regioni le piste ciclabili sono già realtà, in altre purtroppo si stenta. Ma è soprattutto il grado di vivibilità delle città da migliorare, per i ciclisti». Eccola, però, l'inevitabile chiosa sul doping: «Purtroppo gli sport di grande fatica hanno da sempre da fare i conti con il doping. L'esemplarità che ho richiesto prima è riferita ad un'etica che deve remare verso noi stessi e verso gli altri».
Il presidente deve scappare, ma si approfitta della sua presenza per premiare i tre iridati: Paolo Bettini, Vera Carrara, Diego Ulissi, e per una volta l'ordine alfabetico corrisponde anche all'ordine anagrafico, e di premiazione.
Riccardo Agabio, presidente della federazione di atletica e vice presidente del Coni, prende la parola solamente per portare i saluti del presidente Petrucci, assente perché debilitato: «...e per dire che, come ha ricordato il vostro speaker [Bulbarelli abbozza un sorriso che sta a metà tra la stizza e l'odio], il ciclismo è sì uno sport stupendo, ma anche l'atletica non è da meno», ridacchia con la scusa di portare acqua al proprio mulino.
La Ministro per le Politiche giovanili e le attività sportive Giovanna Melandri sembra la più imbalsamata. È l'unica col discorso scritto, sembra stia leggendo il compitino, tant'è che spesso perde anche il filo e deve ricorrere agli occhiali per ritrovarlo: «Mi premeva iniziare ringraziando in maniera particolare Vera Carrara, perché mi fa infinitamente piacere che da quando ho preso la carica di Ministro le atlete italiane abbiano portato così tante medaglie al capezzale dell'Italia». La digressione continua su particolarità più o meno utili, nonché tecniche, su Bettini ed Ulissi, cosa di cui non si sentiva francamente il bisogno. Poi, sentendo forse il salone un po' freddino, la Melandri abbandona fogli ed occhiali, e ne nasce un'orazione più pimpante: «In maniera più informale, direi che la vittoria di Salisburgo ha mostrato in maniera inequivocabile l'anima democratica del ciclismo. Non solo i campioni, difatti, ma tutte le squadre che li hanno supportati meritano un grande applauso. E questa grande coesione, questo grande spirito di squadra deve essere il traino per sederci, come governo, "sul tandem" con FCI e Coni affinché si riesca a promuovere il ciclismo tra i ragazzi piccoli, ma anche verso quelli più grandi. L'Italia deve capire che la bicicletta è un grande mezzo eco-sostenibile. E proprio per questo dobbiamo rendere le città dei luoghi più ospitali ed amichevoli, dobbiamo ritrovare il rapporto tra scuola e sport, sperimentando l'istruzione sportiva. Stiamo anche pensando una politica per agevolare i costi delle famiglie che decidono di tesserare il proprio ragazzo in una qualsiasi società affiliata al Coni».
Il segretario generale del Coni Pagnozzi interviene soltanto per aggiungere una piccola chicca: «L'altro giorno eravamo proprio in questa sala per una celebrazione dello sport italiano, e su quello schermo c'è stata una netta predominanza di immagini ciclistiche. Un servizio realizzato da Bisiach, uno storico, che ci ricorda ancora una volta quanto il ciclismo sia radicato, e resti nel tempo».
Inizia il can-can delle premiazioni, una lista infinita di nomi che vi risparmiamo, col momento cruciale della premiazione dei nove (assenti Rebellin e Bruseghin) professionisti di Salisburgo 2006. Dieci, in realtà, perché è premiato anche Ballerini.
La Ministro Melandri fugge via, Bulbarelli dapprima offre l'aiuto suo e del collega Fabretti per l'anno venturo, al fine di confezionare delle immagini da mandare in video durante la cerimonia, poi annuncia l'esistenza di un buffet e la sala quasi si svuota d'improvviso. Nel frattempo, altro che star!, arrivano anche Davide Rebellin e Marzio Bruseghin, e subito Ballerini s'adopera affinché vengano consegnati i premi anche ai due veneti ritardatari.
Nel frattempo Bettini è tartassato di domande dai (pochi, in verità) giornalisti presenti, con immancabili riferimenti alla querelle degli ultimi giorni con Basso; domande alle quali Bettini non vuole rispondere, così come sul DNA: «Io mi sono già esposto parecchio, cosa devo dirvi di più? Qui dentro ci sono almeno altre venti persone alle quali potreste chiedere un parere, ma venite sempre da me...». Anche quando gli si parla del mezzo ultimatum fatto alla Quick Step ("Se mi chiedono il DNA smetto", ha detto Paolino qualche tempo fa), Bettini sembra un po' infastidito: «Non dico che non l'ho detto, assolutamente, soltanto che quella frase è stata estrapolata da un contesto ben più ampio. Ma sicuramente così ha fatto molto più notizia».

Noi fermiamo Ballerini, col quale scendiamo più sul tecnico: «Avere il bilancio di un'annata con l'andamento di una corsa soltanto è il bello ed il brutto del mestiere del Commissario Tecnico. Col tempo ho imparato a gustarmi la corsa, e non solo il risultato. Se si corre bene e si danno emozioni, vincere diventa solo un gradino in più, non l'unico. Sappiamo tutti che la percentuale che si perda è molto più grande, ed il fatto che dal '27 ad oggi si siano vinti soltanto diciassette Campionati del Mondo è una statistica che ce lo ricorda». Proprio la tattica di gara è sembrata diversa a Salisburgo, soprattutto rispetto a Verona e Madrid: «Ogni percorso ha la sua squadra. L'Italia ha un grosso potenziale, ed ogni volta sceglierne nove è un dramma. Si cerca di sfruttare al massimo le caratteristiche dei corridori più forti e più in forma, fornendo un approccio diverso alla squadra per ogni percorso che si affronta. Però sia ad Atene che a Salisburgo abbiamo dimostrato che se ci mettiamo in testa di fare corsa dura, per gli altri diventa arduo batterci».
Il 2006 ha fornito due grandi certezze all'Italia che pedala. Una si chiama Alessandro Ballan, l'altra Vincenzo Nibali: «Ballan ha dote immense, sia umane sia come corridore. È un uomo squadra importantissimo, ed è un faro per il movimento italiano nelle corse nel Nord, settore in cui ultimamente abbiamo un po' zoppicato e che Ballan ci sta facendo riscoprire. Nibali è un giovane di grande talento, e quest'anno con Callari si è preparato per la cronometro. Ha tempo per crescere, ma sicuramente ha già fatto vedere grosse, e belle, cose. Per l'anno prossimo, invece – prosegue il tecnico fiorentino - spero vivamente che Di Luca torni ai livelli del 2005. È un corridore che merita per la classe e per la determinazione che ha sempre dimostrato di avere. Più in generale mi farebbe piacere che il gruppo azzurro di Salisburgo si riconfermasse ad alti livelli, anche chi ha cambiato squadra come Pozzato, Nocentini e Tonti. E poi mi aspetto di rivedere Basso ai livelli del Giro d'Italia».
Ultima battuta, inevitabile, su Stoccarda 2007: «Ancora non l'ho visto, ma prossimamente, credo a metà gennaio, si andrà con gli altri tecnici federali a visionare il percorso per iniziare a lavorarci su. Gli anni precedenti anticipavamo un po' i viaggi per questioni di logistica, per scegliere alberghi e quant'altro di simile, invece da questo punto di vista il lavoro è già stato svolto ed a noi tecnici spetterà soltanto la parte tecnica».

Si pranza al circolo del tennis, ci si arriva a piedi passando sotto lo stadio Olimpico. Buffet in piedi, sala calda, grande ed accogliente. Gli atleti la fanno ovviamente da padroni, e tra loro c'è anche Marco Pinotti, invitato in qualità di rappresentante dei corridori italiani: «Vengo da poco dal primo ritiro con la T-Mobile, mio nuovo team, e devo dire che sono rimasto impressionato dall'organizzazione. È la prima volta che in dicembre ho già tutto il vestiario, anche quello meno importante. Per il 2007 partirò dalla Challenge Mallorca per fare poi la Parigi-Nizza. Sicuramente farò il Giro d'Italia in appoggio ad Honchar, ma avendo comunque i miei spazi. Mia moglie è stata contenta della mia scelta soprattutto per la maglia: le piace da impazzire».
Tocca poi a Davide Rebellin: «Sarò sicuramente al Giro d'Italia, e penso che la mia prima parte di stagione si chiuderà con i Campionati italiani su strada. Inizierò a correre già da febbraio, ma punto a pedalare mediamente forte soltanto dalla Tirreno-Adriatico, correndo la Milano-Sanremo in appoggio a qualche compagno. Il focus è sui Paesi Baschi e sulle Ardenne, senza tralasciare la prima settimana del Giro d'Italia. Poi per il finale di stagione probabilmente rifarò la Vuelta, anche se non tutta». Beh, se il metro di paragone è la gamba che la Vuelta gli ha lasciato per il Giro dell'Emilia non facciamo fatica a capire perché ci riprova: «Al Giro dell'Emilia ero proprio in forma, ed anche a Zurigo stavo bene. Invece al Lombardia mi è mancato qualcosina, ho avvertito anche un po' di crampi, e poi quando c'era Wegmann davanti è stato giusto lasciare al mio compagno le proprie chance». Holczer, team manager della Gerolsteiner, quest'anno non ha mai fatto mancare la propria voce sulle polemiche sulla Spagna ed il DNA: «La rivalità con la T-Mobile è comunque molto sentita, ed il fatto che Ullrich sia stato coinvolto in questa storia rischiava di affossare tutto il ciclismo tedesco. La presa di posizione però è stata solamente di immagine, il rapporto con noi non è cambiato, e neanche c'è stata questa grande pressione per fare il test obbligatorio. Il fatto è che molte volte s'è fatta una campagna pubblicitaria collegando la purezza dell'acqua [Gerolsteiner è difatti una marca di acqua] con la purezza del ciclismo». Da bravo saggio, Rebellin conclude con un serafico: «A me comunque quest'anno basterebbe avere sempre una buona salute. Per il resto, è tutto di guadagnato».
Altro giro, altra corsa, si dice nei luna park. Incrociamo lo sguardo vispo e sorridente di Alessandro Ballan, che ci chiede innanzitutto notizie sui disoccupati: «Che peccato, e che strano. Probabilmente passano troppi neoprofessionisti ogni anno». Discorso già affrontato da "vecchi" come Petito e Baldato l'anno scorso. Baldato che dal 2007 sarà compagno di squadra di Ballan: «Spiace per le partenze di Carrara e Marzoli, ma la squadra rimane comunque ottima. E per l'anno prossimo speriamo di avere anche Bennati a pieno regime per le classiche del Nord. Sarebbe una pedina importantissima». Sul lunghissimo programma della stagione 2006: «Il programma sarà più o meno lo stesso. Ho aggiunto il Giro del Mediterraneo ed ho tolto la Gand-Wevelgem e la Liegi. Sull'Amstel c'è il punto interrogativo, decideremo strada facendo». Ancora niente Giro, però: «Rifarò il Tour per cercare una tappa e poi chissà». Sull'allenamento: «È già tanto che pedalo – e nel frattempo passa Di Luca che gli dice: "Mangia un pezzo di pandoro, è dicembre, te lo puoi permettere" - praticamente sono già stanco», mordicchia la fetta di pandoro sorridendo il "cigno di Castelfranco".
Qualche battuta finale con Di Luca, Pozzato e Bettini, gli auguri di buone feste e per l'anno che verrà, chi prende la via verso Fiumicino, chi verso Ciampino, chi semplicemente verso la macchina per muoversi dentro Roma, e la mattinata finisce così, tra le vettovaglie che fanno da sottofondo all'uscita di scena.

Mario Casaldi    

 

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