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È il nuovo che avanza? - Volpi guida dei ds dopo Martinelli

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Si sono ritrovati all'Hotel Boemia di Riccione, e hanno parlato, tanto. Giovedì 16 e venerdì 17, per ore, oltre 80 tecnici hanno dibattuto sul loro mestiere e sul futuro della propria professione, convivendo giorno e notte e parlando, parlando, parlando, dentro e fuori dalla sala dei convegni. Il nome dato al seminario, che valeva anche come corso di aggiornamento federale obbligatorio, è emblematico per molte, moltissime cose. "Il ciclismo con amore". Amore nel senso più lato, a seconda di come uno lo voglia intendere: amore appassionato di chi decide di dedicare la propria vita a questo sport, ma anche amore che fa male, quell'amore sbagliato, che ferisce e fa crollare sogni e ideali. L'«amore e vaselina» come lo ha definito senza troppe metafore Francesco Moser. Questo si è letto negli occhi di molti, e si è sentito nelle parole a volte dette, a volte lasciate a metà, a volte taciute proprio.
L'Adispro (Associazione Direttori Sportivi Professionisti) ha dato modo ai membri presenti di tratteggiare i connotati del cosiddetto "direttore sportivo del terzo millennio", quello che deve gestire cioè una squadra che ormai è un'impresa complessa, ma senza perdere di vista quell'umanità che da sempre caratterizza il rapporto tra il ds e i propri atleti.
Giovedì è stata la giornata dedicata a loro, ai direttori sportivi, alle loro proposte e richieste. Nella prima parte della giornata gli interventi del presidente uscente Martinelli, di Cenghialta, Reverberi e Amadio si sono focalizzati sulle figure professionali dell'allenatore e del team manager: è emersa una grande volontà di rafforzare il ruolo del ds all'interno della squadra, concentrandosi in modo particolare, come ha fatto nel corso del suo intervento Bruno Cenghialta, sulla diversa gestione che un team "moderno" richiede in confronto a quello di una volta: da qui il riferimento anche al numero spesse volte eccessivo di figure esterne che orbitano attorno a una squadra, propugnando un maggiore controllo su quest'ultima da parte del ds e dei suoi collaboratori. Hanno parlato anche due avvocati, Giuseppe Napoleone e Davide Goetz, per quanto riguarda contratti e previdenza, oltre a responsabilità penali per casi di doping, toccando anche il tasto della "inidoneità del Codice Etico Pro Tour, strumento sanzionatorio verso atleti e team in assenza dell'acquisizione di elementi di responsabilità certa a carico dei corridori". Si è anche discusso, con Dario Broccardo, della nuova gestione dei corsi per direttore sportivo che partiranno con il 2007, con la divisione netta tra i tre livelli di corso previsti dal regolamento, volta a distinguere i direttori sportivi professionali da coloro che svolgono tale attività sporadicamente in categorie inferiori.
A questo lungo dibattito, durato per gran parte della giornata, è seguita la fase più interessante, quella propositiva. I direttori sportivi presenti hanno avanzato delle proposte, che sono poi state dibattute punto per punto. È emersa la volontà di contare di più in un sistema che spesso tende a relegare a un ruolo solo marginale quelle che sarebbero le figure più importanti, quelle alla base di tutto. Cinque i punti in cui si sono articolate le proposte dei ds:

1) Il riconoscimento della figura professionale del direttore sportivo di ciclismo da parte di enti ed istituzioni competenti sui settori lavoro e previdenza;

2) La proposta, all'Uci e alla Fci, di creare due contratti, uno per il lavoro subordinato e uno per il lavoro autonomo con la fissazione dei minimi salariali;

3) La costituzione di un'associazione internazionale di ds professionisti, inserendone i rappresentanti nelle Commissioni tecniche istituite dall'Uci;

4) L'irrogazione di sanzioni disciplinari solo ed esclusivamente sulla base di prove certe acquisite dall'autorità giudiziaria;

5) La tutela del ds nello svolgimento delle gare, eliminando la presenza di personale non abilitato alla guida delle ammiraglie.

Ecco il desiderio di una maggior tutela nei confronti di una categoria spesso considerata molto meno di quanto dovrebbe, sebbene sia non importante, ma fondamentale per la crescita dell'atleta e per la sua sicurezza. La cosa che conta maggiormente è che i ds si rendono lucidamente conto sia del loro valore, sia di quanto poco questo valore sia attualmente riconosciuto a livello di istituzioni e organi internazionali. Vedremo se queste proposte avranno un futuro, cosa cambierà in tal senso, e soprattutto cosa riusciranno a concludere i direttori sportivi come categoria.
Alla cena sono seguite le elezioni del nuovo direttivo Adispro: la carica di presidente è passata da Giuseppe Martinelli (pure ricandidatosi) ad Alberto Volpi. Martino era dato come favorito, e il cospicuo numero di voti a favore ha lasciato per un attimo pensare che ce l'avrebbe nuovamente fatta, ma nel finale dello spoglio delle schede il ds Lampre ha dovuto cedere il passo all'avversario. Martinelli ci sperava nella rielezione, e probabilmente è rimasto anche lui sorpreso del passaggio di consegne decretato dall'assemblea dei membri iscritti; passaggio di consegne che comunque è stato affrontato con grande sportività dal presidente uscente, che ha anche avuto occasione di scherzare con il neoeletto in un vivace scambio di battute, culminato in un memorabile: «Alberto, dovremo trovarci al più presto per definire alcune cose... in primo luogo il fatto che la sede dell'Associazione è a casa mia!», per l'ilarità generale della sala.
44 anni, di Saronno, Volpi è dal 2006 in forza al Team Barloworld, dopo aver diretto fino al 2005 la Fassa Bortolo. Vice presidente sarà Luca Guercilena (Quickstep), mentre membri del consiglio saranno Mario Chiesa (Androni – Lpr), Matteo Algeri (Saunier Duval – Prodir), Bruno Cenghialta (Acqua & Sapone) e il segretario uscente Leonardo Levati. Un direttivo di età media piuttosto bassa (33 anni Guercilena, 30 Algeri, 44 Cenghialta e Volpi), che naturalmente, in un clima di desiderato e auspicato rinnovamento, non può che lasciar ben sperare.
Il convegno è poi proseguito il giorno successivo, occupando tutta la giornata. Alla mattina, dopo l'insediamento ufficiale del nuovo direttivo, è stato il turno dei medici sportivi: il dottor Claudio Simonetto e il dottor Mario Zorzoli (alla guida della Commissione medica Uci) hanno parlato delle nuove norme in tema di doping, scatenando una serie di interventi da parte di numerosi ds presenti in sala. In particolare al dottor Zorzoli sono stati manifestati molti dubbi nei confronti di pratiche in uso, o future: ad esempio il fatto che, qualora un corridore venga escluso da una competizione per controlli antidoping positivi su un campione di sangue/urine A, nessuna legge tuteli e risarcisca in alcun modo tale corridore nel caso in cui le controanalisi sul campione B risultino invece negative; oppure l'abitudine sempre più diffusa a consentire e "ufficializzare" l'utilizzo di medicinali cortisonici e antinfiammatori per casi certificati di asma, problemi allergici e simili (parole di Bruno Reverberi: «Qualsiasi lavoratore quando sta male se ne resta a casa, anche nel caso dei corridori dovrebbe essere così: se stai male non corri, altro che certificati che giustificano tutto»).
C'è anche chi ha provocatoriamente proposto soluzioni più radicali, esausto per il dilagare di "ri-ingaggi" di ciclisti coinvolti in scandali doping da parte di certe squadre: «Perché non avete mai pensato a una esclusione definitiva dalla corse per quei corridori condannati per doping, naturalmente in presenza di prove certe ed inconfutabili?» è stata la proposta avanzata del ds Sandro Lerici. Proposta che ha suscitato molte reazioni contrarie, e persino il paragone con la pena di morte in America, con la spiegazione che in quel paese, pur con cotanta pena in vigore, gli omicidi non sono affatto calati.
È seguita poi la parte più "istituzionale" del convegno, con gli interventi di Amedeo Colombo (presidente dell'ACCPI, il sindacato nazionale dei corridori), Alcide Cerato (responsabile del Consiglio del Ciclismo Professionistico), Francesco Moser (leader del Cpa, il sindacato internazionale dei corridori), e Renato Di Rocco (presidente di Federciclismo). L'occasione è stata ottima per iniziare un dibattito molto attivo, che ha messo in luce un forte coinvolgimento dei direttori sportivi nelle dinamiche del ciclismo di oggi: doping, dna, preparatori, categorie giovanili, sono argomenti che spesso toccano sul vivo il direttore sportivo, che il più delle volte è un ex ciclista e ha visto cambiare l'ambiente sotto i propri occhi. A volte rendendosi conto di questo cambiamento e a volte no.
La due giorni si conclude come è giusto che sia con una bella cena, anche se la maggior parte dei presenti se ne sono già andati appena finito il seminario per tornare in anticipo dalle proprie famiglie. Non prima ovviamente di aver presenziato alla consegna del Premio "Il Timone" 2006 a Giorgio Vannucci, il direttore sportivo dei grandi successi di Francesco Moser.
Quello che è emerso, in conclusione, è che c'è un'insofferenza che vibra sotto la pelle della categoria, e cerca qua e là di schizzar fuori. A volte ce la fa, con qualche mezza parola di "troppo" (che in realtà è sempre troppo poco per chi vuole cambiare le cose), qualche parola che però suscita, inevitabilmente, sempre la stessa reazione: rumore di sottofondo, brusio di stupore, quasi che sia stato detto un qualcosa che doveva restare sepolto. Ma nell'aria sta tirando un vento nuovo. Una brezza a dire il vero, ancora una brezza: ma i direttori sportivi, che sono della stessa pasta dei propri corridori, devono far gruppo nel modo più assoluto, per rivendicare i propri sacrosanti diritti e soprattutto per tutelare nel modo più forte, più utile, e, soprattutto, più sano possibile, i propri atleti.
E in questo il nuovo direttivo dell'Adispro deve darsi da fare, facendo tesoro di quanto discusso dai propri membri, e cercando di concretizzare almeno un po', almeno in parte, le richieste che sono state formulate. Si è tanto parlato del rapporto umano e, possiamo dire, "paterno" che deve intercorrere tra ds e atleti, della squadra vista come una grande famiglia in cui non devono mettere il naso estranei pericolosi. Si è visto che anche i direttori sportivi non condividono molte, moltissime delle norme e delle innovazioni che l'Uci ha introdotto o intende introdurre nel prossimo futuro. Si è visto che il ds sta male quando si accorge che un proprio corridore subisce un torto e viene trattato come una cavia, e non solo in senso medico, ma anche e soprattutto in senso normativo. Bene, che si guardino in faccia, che si parta da qui per questo cambiamento di cui il ciclismo ha bisogno.
Che non si guardi a chi parla, a chi ha il coraggio di ribellarsi contro certe cose, come a un "traditore" a cui nessuno vuole credere. C'è, e si sente, la volontà di dare una svolta a questo mondo che sembra andare a rotoli, e che a rotoli ci andrà se si lascerà tutto nelle mani dei soliti "capi", che di ciclismo, quello vero, sanno troppo poco se non nulla. Infine, soprattutto, che si cerchi di togliere una volta per tutte quel velo di ipocrisia, di "si sa ma non si dice", di omertà, di, ovviamente, paura, che in maniera ancora troppo radicata serpeggia nell'ambiente. Anche tra i veri uomini di strada.

Elisa Marchesan

 

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