Di Luca sei un mito - Gran vittoria in salita e maglia oro
Che gusto, Danilo! Un Di Luca formato show domina la prima tappa di montagna della Vuelta a España, vince all'arrivo in salita di La Covatilla e, tanto per completare una giornata di festa totale, conquista la maglia oro del leader della classifica. Cosa chiedere di più ad una frazione in cui ci si aspettava che l'abruzzese di Spoltore - al limite - si difendesse?
Niente. Semmai il problema arriva ora, visto che a questo punto Danilo ci ha fatto venire l'acquolina in bocca: al Giro del 2005 partì così, un po' in sordina, e poi salita dopo salita giunse a un passo dal podio finale, frenato solo dai celebri crampi del Sestriere. Quali saranno i suoi limiti in questa Vuelta? Forse pecchiamo di troppo entusiasmo, ma da secoli non vedevamo un italiano mettere in riga tutti gli spagnoli in casa loro: e se qualcuno ci era riuscito negli ultimi anni, ciò era avvenuto quando quel qualcuno non aveva più niente da chiedere alla classifica. Invece Di Luca è qui e lotta tra noi.
I dietrologi diranno che la consueta strasuperiorità spagnola alla Vuelta viene meno proprio - guarda caso - nell'anno dell'Operación Puerto. Niente ritmi forsennati sull'ultima salita, niente clamorose sorprese (i Santi Pérez, tanto per intenderci), prove degne da parte di quelli da cui ci si attendevano prove degne (Valverde, Sastre, Gómez Marchante), presenze al momento non scandalose come Samuel Sánchez e Triki Beltrán in alta quota, prestazione così così di Mayo. Insomma, non ci sono stati motorini.
Benché tale interpretazione possa esercitare un fascino perverso, occorre essere onesti e dire che, quando ci si sbilancia su questi temi, si può dire tutto e il contrario di tutto, e ogni teoria ha pari diritto di cittadinanza. Quindi abbandoniamo subito questo terreno scosceso, e ci concentriamo sulla tappa.
La fuga che ha caratterizzato la giornata, per quanto interessante (con nomi come Rasmussen, Caucchioli, Gusev, Landaluze ad animarla, non potrebbe essere definita altrimenti), era destinata ad essere riassorbita sulla salita di La Covatilla, quando i big avrebbero deciso di fare sul serio. A poco è servito lo sbattersi solitario di Landaluze, dopo la penultima scalata (Lagunilla): il controllo a distanza del gruppo, esercitato senza tirare troppo il collo ai gregari della Csc, è stato sufficiente a permettere che la corsa - quella vera - partisse praticamente da zero al momento decisivo, a circa 10 km dal traguardo.
Col gruppo via via più scremato, il primo sussulto è venuto dalla difficoltà di Menchov: il vincitore uscente è stato il più veloce a farsi da parte, mollando ai 7 km. Un attimo dopo, Gómez Marchante (che ci pare un po' troppo sottovalutato in gruppo) è partito con decisione, mettendosi alle calcagna dei superstiti in fuga (a un paio di decine di secondi erano rimasti Gusev, che però si sarebbe staccato di lì a poco, Paulinho e Arroyo). A poco meno di 6 km dalla vetta, ecco l'altra debâcle eccellente: fuori Vinokourov, a quel punto è risultato chiaro che il vero capitano dei kazaki è ormai Kashechkin, che invece teneva in maniera serenissima le ruote dei migliori.
Gómez Marchante ha preso Paulinho e Arroyo e li ha rapidamente staccati, ma le cose migliori venivano dal gruppetto dei forti: ai 5 km l'attesissima accelerazione di Valverde dava uno scrollone niente male, e chi ne faceva le spese era Iban Mayo, che in precedenza aveva avuto qualche guaio meccanico che l'aveva frenato. Ma accanto al leader del Pro Tour, chi era l'uomo messo meglio? Proprio lui, Danilo.
Deluso dal Giro, dove era arrivato tra (forse troppi) squilli di tromba; deluso dal Tour, dove ha scontato problemi fisici che l'hanno obbligato a un rapido ritiro; non era così ovvio che il pescarese decidesse di riconvertire sulla Vuelta le sue mire espansionistiche, lui che l'anno scorso aveva scelto il ben più morbido Giro della Polonia per incamerare qualche facile punticino Pro Tour.
Ma Di Luca è uomo di temperamento, e piace tanto proprio per questo: non poteva proprio contemplare, nella sua carriera, un buco nero proprio nella stagione successiva a quella della definitiva consacrazione. Questo 2006 doveva fruttare qualcosa di buono, e con tutto il rispetto per Varsavia e Stettino, questo qualcosa poteva venire, a questo punto, proprio dalla Vuelta. E Vuelta è stata. E che Vuelta, possiamo dire ora!
Il bilancio è già in attivo, con questo successo e con la maglia oro indossata: ma il romanzo è tutto da scrivere. Certo che vedere Danilo scattare ai 4 km, per testare le forze in campo, e poi, fatti due conti, piazzare un attacco strepitoso ai 3 km, è un viatico fantastico per superare le secche di due mesi da incubo.
Intelligente, Di Luca ha capito che poteva staccare un Valverde che non aveva le ali ai piedi: bisognava andare all'assalto, perché portarsi il murciano al traguardo significava perdere da lui in volata. E Danilo è partito all'arma bianca, ha fatto il vuoto, e il solo Brajkovic (prestazione eccellente) gli ha tenuto la ruota. Gli altri (del gruppetto erano rimasti solo Valverde, Sastre e Kashechkin) erano rimasti un po' piantati, a guardarsi negli occhi in attesa di capire cosa fare.
Ai 2 km Di Luca (con la zavorra slovena alle calcagna: complimenti Brajko, neanche un cambio!) ha ripreso Gómez Marchante. Quello, come se fosse la cosa più naturale del mondo, si è accodato e subito è ripartito in contropiede. Tattica bizzarra, anche se a quel punto non è che il ragazzone della Saunier avesse troppe alternative: restare a ruota per farsi battere in volata, se non proprio staccare nel finale? Così invece ha sparigliato, creando un bel pasticcio tattico, con Di Luca che, sorpreso al momento dello scatto di Gómez (era voltato dall'altra parte), si è dovuto rimettere sotto a inseguire (sempre col corvo Janez attaccato al mozzo).
Gómez ha comunque ballato per non più di 500 metri ancora, quindi Di Luca si è riportato su di lui, e a quel punto lo spagnolo ha mollato la presa. Brajkovic, sapendo di partire sconfitto in volata con l'italiano, ha provato a telefonare un allungo agli 800 metri, ma a questo Di Luca oggi non la si faceva. E mentre Kashechkin, con bel ritorno, quasi rinveniva sulla coppia di testa, Danilo chiudeva il buco ai 300 metri e passava senza neanche riflettere sul perché e il percome, andando dritto al traguardo dopo essersi tolto di ruota Brajkovic.
Tutto ciò nel giorno in cui Francesco Moser (presidente del sindacato corridori europeo) ha chiesto che il doping venga liberalizzato: la prima reazione a una tale presa di posizione è naturalmente l'indignazione. Ma poi uno ci riflette, e capisce che se il trentino non si è completamente rimbambito (insomma, uno col suo ruolo non può svegliarsi la mattina e sganciare una mina del genere), può essere che abbia deciso di fare una mossa coraggiosa, e dare voce a una corrente di pensiero che è sempre più presente nell'ambiente (e non solo): non c'è dubbio che una parte del gruppo pensi quello che Moser ha detto. Poi si può discutere sull'opportunità o meno di certe misure; ma in quest'occasione almeno qualcuno ci ha messo pesantemente la faccia. Per una volta, quindi, facciamo un plauso a Moser: la lotta all'attuale situazione del ciclismo passa anche dall'abbandono delle comode facciate ipocrite.