Concentrato di saggezza - Pista, Giro, Piscina: parola a Napo
Versione stampabileAscolta tutta l'intervista di Ballan, interviene anche, quando si parla di Accpi; nel frattempo sfoglia il calendario e ci ricorda di segnare il 31 gennaio: «Dovete farmi gli auguri!». Si intravede nella foto di Sanremo, è in bellissima vista in novembre, sull'anello della pista di Bordeaux, Mondiali su pista svolti lo scorso marzo che hanno fatto innamorare Danilo Napolitano dei velodromi.
Se non abbiamo capito male, il 2007 dovrebbe portarti al Giro d'Italia.
«Al 99% correrò il Giro d'Italia, è vero. Un esordio che mi suscita un sacco di curiosità».
Quale sarà la marcia di avvicinamento alla corsa rosa?
«L'esordio avverrà a Donoratico, poi correrò la Ruta del Sol, la Vuelta a Murcia, la Tirreno-Adriatico e la Milano-Sanremo. La prima parte di stagione dovrebbe terminare in via Roma. Poi spero di prendere parte ai Mondiali su pista anche quest'anno, anche se vorrebbe dire saltare qualche bella corsa come la Coppi&Bartali. Ma un Mondiale è un Mondiale».
L'anno scorso corresti il Giro del Mediterraneo e la Parigi-Nizza. Quest'anno farai invece corsa parallela con Bennati?
«No, ci hanno semplicemente invertito il programma, quindi sarà lui, nel 2007, a correre in Francia. La squadra ha deciso di farci correre spesso corse diverse per questa stagione, una scelta effettuata per avere più possibilità di successo in gare diverse, anche se dal mio punto di vista è più semplice vincere, per me o per lui, quando corriamo insieme».
L'anno scorso ti abbiamo visto nei primi 10 sia alla Sanremo, sia ad Amburgo, sia alla Parigi-Tours. Che impressioni ti hanno dato queste tre classiche?
«Sono tre corse molto difficili, e se davvero la Sanremo non la scopro io, devo dire che anche Amburgo e Tours sono due classiche niente affatto semplici, né come lettura né come difficoltà vere e proprie riguardanti i percorsi. La Sanremo è stata una piacevole scoperta, non avevo mai corso gare così lunghe e devo ammettere che quando c'era da alzarsi sui pedali per lanciare la volata mi son dovuto risedere quasi subito, ché la stanchezza che sino ad allora s'era nascosta è uscita fuori tutta insieme. Ad Amburgo mi sono trovato davanti dopo il ricongiungimento dello strappo causato dallo scatto di Ballan, ma in volata son rimasto chiuso e sono arrivato dietro a Figueras, praticamente nella stessa posizione di lancio di 150 metri prima. Alla Parigi-Tours, poi, è venuto veramente tutto per caso: non dovevo neanche fare la corsa, poi mi sono lanciato in fuga ed alla fine mi sono ritrovato tra i primi. Una classica che mi piacerebbe scoprire, però, è il Giro delle Fiandre (ne parla ammirando la foto di Boonen sul Koppenberg, nda)».
Per quella c'è tempo, visto che quest'anno le hanno tolto anche il Koppenberg.
«Praticamente hanno tolto il punto dove si decide la corsa. Mah...».
E alla Vuelta?
«Alla Vuelta ero leggermente scarico, ed affrontare il primo GT della carriera un po' scarico è una cosa che non consiglierei a nessuno. Certamente nei GT le volate sono diverse da quelle delle brevi corse a tappe che avevo disputato sino ad allora. Ad esempio alla Vuelta Valenciana dello scorso anno la Milram, con noi della Lampre, riusciva a mettere tutto il gruppo in fila, mentre alla Vuelta non ci riusciva nessuno, sembravano le volate del Tour».
Qualche avversario che non avevi mai incontrato e che ti ha particolarmente impressionato?
«Su tutti faccio il nome di Thor Hushovd. Su certi percorsi è impressionante, soprattutto per la mole. È enorme, e sprigiona una potenza incredibile».
E il discorso pista? A che punto lo hai lasciato? Lo riprenderai?
«Mi piace la pista, mi piace tanto. Ai Mondiali di Bordeaux ho provato delle emozioni mai provate prima: l'emozione dello stadio, l'emozione dei cori, degli ultrà, della presenza fissa della gente sugli spalti, che è così diversa da quella sporadica sulla strada che ti mette i brividi addosso. Non finisce tutto con un passaggio, la gente può vederti alla tornata successiva».
Sei stato anche maglia rosa al Giro d'Italia delle piste. È un'iniziativa che reputi buona per il rilancio della pista in Italia?
«Assolutamente sì. Fin quando ho potuto partecipare ero maglia rosa. Poi gli impegni su strada mi han fatto perdere qualche posizione. Però la presenza di Ermeti, di Baldato, di Quaranta, di Furlan, e ci metto anche la mia, è stata importante. Ho letto ultimamente che vorrebbero ripresentare la Sei Giorni di Milano, e credo che sarebbe bellissimo ed anche opportuno. Probabilmente questo rilancio è dovuto anche dalla voglia di Bettini di girare in pista: dimostrazione che se i campioni vogliono qualcosa, questo qualcosa spesso accade. Certo, ci vorrebbe forse più collaborazione tra selezioni nazionali e team, qualche discorso di visibilità maggiore per gli sponsor che ci pagano. Evitare, insomma, qualche spiacevole imprevisto come già capitato».
Ti riferisci al caso Curtolo (che ha perso il posto ai Mondiali perché la sua squadra, la Liquigas, voleva che li disputasse con la bici Bianchi, mentre la Federazione era legata a Pinarello, ndr)?
«Esatto. È un peccato che un corridore non possa partecipare ad una competizione soltanto per qualche litigata tra sponsor. Credo che gli sponsor del team dovrebbero essere più tutelati, mentre gli sponsor della Nazionale vanno benissimo per gli atleti senza contratto e così via. Siamo d'accordo che un Mondiale è importantissimo, ma se Napolitano vince e il marchio Lampre è poco visibile, a Galbusera può non importare tanto di rimandarmi in azzurro, in futuro. Non so se il discorso è chiaro».
Chiarissimo. Tornando al Giro d'Italia, sei più affascinato dalla sfida con Petacchi o più intimorito dalle pendenze di certe salite?
«L'emozione sarà tanta, in fondo il Giro per un italiano è la corsa di casa, la più importante. È anche giusto però confrontarsi, cercare nuove sfide, tentare di crescere sempre un pochino di più. Questo sarà il mio primo Giro, ma io non mi accontento. Vorrei diventare un corridore in grado di finire il Giro d'Italia ed il Tour de France».
Parlando di salite, come va il tuo rapporto con la bilancia? Hai trovato il tuo equilibrio?
«Non vorrei sembrare spavaldo, ma da dilettante vincevo delle corse pur pesando 90 kg. Non voglio dire che quello sia il mio peso forma o che è sbagliato dimagrire, per carità, anche perché negli ultimi tempi anche i percorsi degli Under non sono più piatti-piatti e presentano sempre qualche asperità. Certamente con quel peso ho trovato subito le mie prime "botte" nel mondo professionistico, però adesso sono qua: 82 kg in gennaio, spero 78 kg il giorno della Sanremo e 79 kg alla partenza del Giro».
Anche perché non sembra che, finora, questo presunto peso eccessivo ti abbia proibito di vincere, anche da pro'.
«Difatti è così, ma se Omar Piscina non m'avesse dato la possibilità di passare, probabilmente ora un ragazzo che vinceva le sue belle gare ogni anno starebbe a lavorare in qualche fabbrica, invece di rilasciare interviste. Sono passato pro' pur pesando 90 kg, ma mi ha cercato un solo team manager, e con questa persona è stato stilato un programma di allenamenti ed alimentazione che m'ha permesso di scendere di qualche chiletto un passo alla volta: così ho evitato di perdere potenza. Fossi dimagrito di colpo magari non mi sarei più staccato sulle salite sin dal 2005, ma magari poi in volata avrei fatto sempre 5°, invece di vincere qualche corsa. A volte coi giovani si cercano troppo i programmi a corta scadenza, oppure a lunghissima».
Non ti piacciono i passaggi professionistici dei giovanissimi?
«Non particolarmente, ma dipende: se il ragazzo è fatto crescere in maniera graduale da un bel team, con magari un periodo di svezzamento in una squadra dilettantistica "satellite", sì. Se invece il ragazzo è gettato nella mischia, magari lasciato un po' solo, messo nel calderone come tanti, allora tanto vale lasciarlo maturare un paio d'anni nel mondo dilettantistico. Trovo poco sensato offrire contratti a ragazzini di 17, 18 o 19 anni, così come far correre i juniores o i dilettanti come se fossero già professionisti. A 22 anni cosa vuoi chiedergli di più? Cosa non hanno già dato?»
In effetti l'esasperazione delle attività giovanili è un bel problema.
«Il problema è che tante società viziano i ragazzi. Alcuni dilettanti sono viziatissimi sin da piccolini, perché dopo ogni vittoria o buona prestazione vengono portati su piatti d'argento e fatti camminare a venti centimetri da terra. Poi arriva il brusco passaggio tra i pro', dove ovviamente si è trattati come tanti altri, e molti di questi ragazzi viziati si demoralizzano e danno le colpe dei cattivi risultati e della nostalgia dei "bei tempi" alla squadra in cui sono capitati; non si accorgono che il problema è in partenza. Il fatto è che il ciclismo da ragazzo va inteso come un divertimento, come un gioco, soltanto più in là può diventare un lavoro».