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Bettini, è già show - Vince da velocista. Hushovd in oro | Cicloweb

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Bettini, è già show - Vince da velocista. Hushovd in oro

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Ora noi tutto faremo meno che parlare di quel che il naturale evolversi degli eventi ciclistici vorrebbe che esaminassimo. Caro Paolo non ci caschiamo. È inutile che ti metti lì a fare il matto, proprio non attacca. Dice: "ma ha vinto una tappa da velocisti, battendo un mucchio di signori sprinter!". No, none, nicht, nisba, nada de nada.
Dice: "ma se a inizio Vuelta sta così, figurarsi come ne uscirà!". Aridaje! Se Bettini si è messo in testa, col suo operato a Córdoba (città di una bellezza magica, di un candore stordente, di vasi di fiori rosa e ciclamino appesi sulle pareti esterne delle case del borgo vecchio), di spingerci a scrivere quello che da seri professionisti dovremmo scrivere, stavolta ha sbagliato indirizzo: a quest'URL, caro Paolino del nostro cuor, cala una cortina di silenzio che non si alzerà più per un mesetto. Punto. Siamo scaramantici? Sì, siamo scaramantici. Abbiamo fatto tesoro delle esperienze degli anni scorsi? Sì, abbiamo fatto tesoro delle esperienze degli anni scorsi. Vogliamo evitare pressioni? Sì, vogliamo evitare pressioni. Ci piace gigioneggiare? Sì, ci piace gigioneggiare.
E ci piace anche raccontare questa Vuelta senza pensare a quel che sarà. Dopo lo show Csc (che poi sono anche le iniziali di Carlos Sastre Candil, tanto per dimostrare che tutto torna) della cronosquadre, l'inizio soft di una tappa per velocisti nella dolce Andalusia attendeva al varco, oltre ai consueti fuggitivi coraggiosi (nel caso, Mario De Sárraga, 140 km di azione solitaria sotto il sole), gente del calibro di Robbie McEwen, o di Thor Hushovd, o di Erik Zabel, per non parlare di Sandrino Petacchi che nella cronosquadre ci aveva fatto una bella impressione, col suo sforzo sincero, con il suo contributo valido, col suo impegno vero fino al traguardo per un terzo posto della Milram che lasciava presagire che la maglia oro oggi finisse in casa Stanga.
Però Petacchi non è ancora AleJet, evidentemente. Una frattura al ginocchio non la si lascia alle spalle come fosse un normale incidente di percorso, ci vuole tempo e noi eravamo stati troppo romantici a credere che oggi lo spezzino avrebbe potuto lottare all'altezza dei colleghi. Così non è stato, Alessandro si è rialzato ai 3 km e non ha disputato lo sprint, lasciando spazio al coéquipier Zabel.
Il quale ha messo la squadra alla catena di montaggio, Sacchi, Velo, Ongarato, per non dire dei Poitschke e dei Becke; e poi non ha trovato la grazia di fare uno sprint decente, accontentandosi di un decimo posto che è il classico topolino partorito dalla montagna (di lavoro). Una volta di più la Milram raccoglie meno di quanto semina, non può sempre essere un caso.
È un caso che invece quel diavolo di Robbie McEwen abbia sbagliato completamente il tempo del lancio: magari è anche colpa del compagno Rodriguez che si è spostato troppo presto e l'ha lasciato al vento, e a quel punto che fai, ti fermi?, certo che no, a quel punto ti butti sui pedali e che il cielo ti sorrida. Ma poi non sorride. E Magic ha la conferma (ma ne aveva bisogno?) che se fa da sé fa per tre, lui ha un gusto tutto particolare a fare il gioco del cuculo, gli altri si affannano a costruire il nido, e lui se lo frega sul più bello, Robbie è fatto così, ama vincere sulle ruote dei colleghi, se ne vede una amica a tagliargli l'aria si deconcentra.
Anche perché non doveva battere Guido Pancaldi e Gennaro Ulivieri, qui aveva un Hushovd in fortissima rimonta alla sua destra, e di certo il rinvenire dell'unno avrà giocato un ruolo rilevante nello sfiatamento di McEwen: che ai 50 metri già non ne aveva più, e si accingeva ad andare a fare i complimenti a Thor. Ma quando mai, ma quale Thor.
Perché stavolta Robbie subisce l'ingiuria di un trattamento uguale e contrario a quelli che lui riserva in genere agli altri: un uomo solo (e piccolo, ma scintillante nel Tricolore che lo avvolge), incurante dello sgomitare di un mestiere che non è il suo, si era acquattato alla sua ruota, e proprio lì, a un passo dallo striscione, ne è venuto fuori impetuoso.
E lì non c'è stato Hushovd che tenesse, il Grillo di Cecina ha piegato ogni resistenza e si è involato in volata (più allitterazione di questa non se ne trovava), trovando pure il tempo di esplodere in un'alzata di braccia che mostrasse meglio al mondo (o perlomeno a chi assistiva) il famoso Tricolore di cui sopra. Perché una maglia se la conquisti la devi pur esibire, se no che senso ha? Prima delle bacheche, va mostrata sulle strade, e Bettini è un sublime interprete di questo esercizio.
Secondo Hushovd, che se non altro si prende la maglia oro e quindi un senso alla giornata l'ha dato. Terzo Luca Paolini, grande condizione, grande contentezza per la vittoria dell'amico, grande gioia di tutti per motivi inerenti alla autoimposta cortina di silenzio.
Domani si lascia l'Andalusia (regione per la cui interezza varrebbe quanto recita un azulejo dalle parti dell'Alhambra, "No hay en la vida nada como la pena de ser ciego en Granada") per approdare alla ben più aspra Extremadura, altra frazione da ruote veloci: e se lo conosciamo un minimo, Magic uno smacco come quello di oggi non se lo tiene per più di 24 ore.

Marco Grassi    

 

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