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Tour, questo è Cunego - Sull'Alpe festa di Schleck e Landis

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Se Damiano Cunego non avesse vinto oggi all'Alpe d'Huez, saremmo stati costretti a continuare a parlare di Tour ampiamente deficitario per i colori italiani: partivamo per stradominare con Ivan Basso, e dopo due settimane e passa di Grande Boucle abbiamo raccolto bricioline (qualche piazzamento di tappa, nessun uomo in classifica) e niente più.
Se Cunego non avesse vinto all'Alpe d'Huez. Ma il fatto è che Cunego, per l'appunto, non ha vinto. E allora, come la mettiamo? La mettiamo comunque bene, perché Damiano ha disputato una tappa eccezionale, in fuga a più riprese dal mattino, sempre all'attacco, e ripreso due volte all'inizio, ma lui ancora più pervicace a cercare di (e a riuscire a) promuovere l'azione giusta.
Perciò, tutto sommato, il nostro Tour prende i connotati di una gara comunque positiva, perché lancia nel firmamento della corsa francese un ragazzo intorno a cui si erano mossi molti dubbi ultimamente: sarà adatto al Tour? Il Giro che vinse nel 2004 aveva un valore tecnico effettivamente degno? Perché da due anni manca nei momenti decisivi?
Tutte domande che hanno accompagnato l'esordio di Cunego alla Grande Boucle: andava in Francia per fare non classifica ma esperienza, assicurava il suo entourage. Ma in che modo «si fa esperienza»? Forse perdendo vagonate di minuti nelle cronometro? Andando all'attacco sui Pirenei ma poi, nel momento in cui non si tengono le ruote dei migliori, lasciandosi precipitare a 10' di distacco?
Ebbene, sì. Può essere che anche questo sia un metodo: si prendono le misure di un contesto nuovo, si pongono dei paletti, si capisce dove ci si trova, si entra in confidenza con l'ambiente, si studiano i tipi di avversari «da Tour», si cerca di intuire dove poter migliorare. E poi, quando c'è il giorno buono, si va all'attacco e si lascia un bel segno nella corsa.
E torniamo così a oggi, quando Cunego, al terzo tentativo, ha preso il largo all'interno di una maxifuga composta da 25 uomini tra cui Hincapie, Schleck, Voigt, Zabriskie (ben 3 Csc), Mazzoleni, De La Fuente, Garzelli, Vila (compagno di Damiano). Gli attaccanti avevano da fare Izoard, Lautaret e Alpe d'Huez. Il gruppo, controllato dalla Caisse d'Epargne della maglia gialla Pereiro (ma in realtà dai Phonak di Landis), ha visto il drappello di fuggitivi guadagnare fino a 5'. Sull'Izoard Garzelli dimostrava di esserci, se ne andava e scollinava da solo, mettendo fra sé e gli immediati inseguitori oltre 1', ma poi alla fine della discesa veniva ripreso.
Il Lautaret non spostava granché, e allora tutto era rinviato all'Alpe. E lì, com'era facilmente prevedibile, la corsa è esplosa: chi non ne aveva più è rimbalzato indietro, chi ne aveva si è fatto avanti, e tra questi Cunego c'era: lui e Schleck, e Mazzoleni, Lobato, Chavanel. Ma si capiva che erano Schleck e Cunego i più in palla. Mazzoleni si fermava per attendere il capitano Klöden, preso nel frattempo nella lotta di classifica con Landis (ottimo, nuova maglia gialla al posto di Pereiro), Sastre (buono), Leipheimer (discreto), Menchov ed Evans (così così). (Parentesi sugli uomini di classifica: nessuno in grado di far realmente il vuoto, tutti più o meno sullo stesso livello, certo Landis ha qualcosa in più, ma tutto potrà ancora succedere).
Ai 2 km, Schleck piazzava lo scatto definitivo: Cunego vedeva il lussemburghese sparire all'orizzonte, e con lui i sogni di vittoria. Ma il piazzamento c'è tutto, vale tanto e promette di più: e già domani, nella Bourg d'Oisans-La Toussuire, 182 km con Galibier, Croix de Fer, Mollard e arrivo in quota, ci sarebbe spazio per riprovarci.

Marco Grassi



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