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Menchov primo squillo - E Landis plana sulla maglia gialla

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Fermate le rotative! Il Tour ci ha regalato un po' di divertimento! La notizia è di quelle grosse, se consideriamo che non erano bastati dieci giorni di gara per appassionarci alle alterne vicende della Grande Boucle, e quindi aspettavamo questo tappone pirenaico come si aspetterebbe l'ossigeno dopo una lunga apnea.
Un tappone disegnato un po' così, a dire il vero, con la Montagna Sacra, il Tourmalet, buttata via all'inizio, e l'arrivo sul dolce declivio di Pla de Beret, in territorio spagnolo. Ma in mezzo le salite di Aspin, Peyresourde e Portillon garantivano comunque un dispendio energetico che avrebbe provocato la tanto attesa selezione. E così è stato.
Non fosse che l'esame dei Pirenei ha premiato un personaggio sui generis, un anonimo baciato dalla fortuna come Floyd Landis (americano di 30 anni con passato da gregario di Armstrong e presente da capitano miracolato), e che al contempo non ha visto italiani protagonisti (a parte un'azione bella quanto sventata di un Cunego voglioso di imparare e di mostrarsi), potremmo dire tranquillamente di aver vissuto una bella giornata di ciclismo.
L'azione più significativa della giornata è partita subito, al mattino, con De La Fuente, Wegmann, Camano e Flecha ad animarla. I quattro hanno preso il largo prima del Tourmalet, e hanno resistito insieme fino al Peyresourde. Poi sono sopravvissuti Wegmann e De La Fuente; poi, sul Portillon, solo quest'ultimo (a cui resterà in eredità e come parziale consolazione della sua giornata da protagonista la maglia a pois di miglior scalatore).
In gruppo si cincischiava: la AG2R a gestire la situazione, tenendo un'andatura che non offendesse il suo uomo in maglia gialla, quel Cyril Dessel che in Francia è diventato in men che non si dica un'istituzione, dopo l'impresa di ieri. Ma sul Portillon, a 50 km dalla conclusione, era l'ora che qualcuno dei big scendesse in campo: l'ha fatto la T-Mobile di Klöden, che si è messa in testa a fare un forcing che ha tagliato fuori proprio Dessel, e poi Savoldelli (già in precedenza poco brillante), e Honchar, e Hincapie, e Cunego.
La successiva discesa ha però rianimato il Piccolo Principe, che infatti è rientrato tra i migliori e, senza nemmeno batter ciglio, si è involato appresso ad Arroyo in un attacco bello e affascinante: via, ad avvantaggiarsi prima dell'abbrivio della salita finale di Pla de Beret, a 36 km dal traguardo.
Cunego e Arroyo, guadagnando 1'10" sul gruppo dei favoriti, si sono portati su De La Fuente rimasto solo al comando, a meno 28 dalla conclusione. A quel punto il tifoso italiano, in barba a dualismi (Basso-Cunego et similia) di sorta, ha ritrovato l'antico feeling con questa corsa matrigna, che solo nove volte abbiamo portato a casa. E invece l'entusiasmo era destinato a scemare in fretta, perché Cunego non trovava la giusta collaborazione, e si rialzava (per farsi riprendere e successivamente staccare).
Potremmo discutere fino all'alba di questo tema, se sia stato giusto spremersi e poi fare la fine del limone senza succo, ma in realtà quando si parla di fare esperienza al Tour, ci si riferisce proprio a questo: esplorare i propri limiti, confrontarli con un diverso modo di correre, con una diversa orografia, con un diverso clima, con un diverso parterre di avversari, con una diversa platea ad assistere ai propri sforzi. Non tutti nascono Pantani, c'è chi ha bisogno di risintonizzarsi su frequenze differenti, e Cunego questo sta facendo. Se dopo l'azione di oggi, sulle Alpi Damiano saprà essere realmente incisivo (ovvero: vincere o quantomeno chiudere bene nei primi 3) in almeno un'occasione, potremo parlare di Tour altamente positivo per lui. La classifica verrà, in futuro.
La lotta, in tutti i modi, non riguardava il Piccolo Principe, ma era fra altri uomini; nemmeno Simoni - ben altra esperienza - reggeva: sul forcing Rabobank di Boogerd, restavano davanti in 5: Menchov (capitano di Boogie), Leipheimer, Landis, Evans e Sastre. Ed era proprio il russo a selezionare, con la sua azione, il terzetto finale, regolato dallo stesso Menchov nello sprint a tre. Landis, terzo, è comunque in giallo (per soli 8" su un Dessel che ha dato vanamente l'anima per difendere il primato, confermando di essere realmente l'uomo che la Francia aspettava per illudersi di potersi giocare un podio nella Boucle: da qui all'Alpe, nell'Esagono non si parlerà d'altro che delle sue possibilità di andare un'altra volta all'attacco per far saltare il banco).
Landis resterà in giallo, a partire da domani (Luchon-Carcassonne, 211,5 km per velocisti o maxifughe), fino a martedì, sull'Alpe d'Huez: poi le montagne torneranno a indossare la toga dei giudici, e tutti noi capiremo se dovremo arrenderci a questo predominio sterile di un re minore, o se potremo sperare in qualche volenteroso e più fresco cavaliere di ventura.

Marco Grassi

 

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