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La Francia adotta Dessel - Tour facile, oltralpe si può sognare

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La lunga bolla interlocutoria che sta imprigionando il Tour de France continua a vivere e vegetare, e nemmeno il primo assaggio di montagne ha provveduto a sgonfiarla. I sette-otto favoriti o pseudotali sono sempre lì, si guardano, si studiano, faticano insieme sui contrafforti pirenaici ma non si attaccano e decidono di non farsi male. Stanno talmente coperti che è, così, difficile addirittura identificarli: chi può dire che si tratti di Tizio piuttosto che di Caio? Il Tour, insomma, è ancora un mistero, e il fatto che lo sia ancora al dodicesimo giorno, ne fa un mistero buffo.
Lunga vita, così, alle seconde linee. Parte la fuga, parte al mattino quando mancano 150 km al traguardo, e prospera nell'assenza di controllo: la T-Mobile ha la maglia gialla, con Honchar, ma non se la sente di correre a riprendere tutti, e così lascia spazio al lavoro della Phonak, che ha in Landis un uomo sin troppo temuto in gruppo. Ma la squadra svizzera non ci pensa nemmeno di sacrificarsi all'inseguimento, e così i 15 attaccanti prendono il volo. Tra loro ci sono anche Hushovd e Steegmans, protagonisti di volate, che però si staccano subito. Restano in 13, e coi nostri Bennati, Moreni e Quinziato, ci sono il tedesco Voigt, l'olandese Posthuma, i francesi Dessel, Vasseur, Rinero, DaCruz e Sprick, e gli spagnoli Isasi, Landaluze e Mercado.
Proprio quest'ultimo va all'assalto sul Col de Soudet, vetta a 90 km dall'arrivo. Con lui resiste Dessel, ma in discesa rientrano Landaluze, Rinero e Isasi, e poco dopo anche Moreni e Vasseur. Il gruppo è a oltre 10', Honchar prima ha dato una mano in testa a Kessler e Sinkewitz, tanto per chiarire che in questa T-Mobile non sarà certo lui il capitano, giallo o non giallo; poi vive momenti di appannamento, lui come Simoni, Cunego, Leipheimer. Ma il ritmo è talmente blando, in quel gruppo, che tutti si riprendono agevolmente dopo lo scollinamento. Tutti meno Mayo, che, in crisi nera, esce completamente di scena.
Sul Col de Marie-Blanque, meno 42 dal traguardo, la storia si ripete tra gli uomini di testa: Mercado se ne va, Dessel lo segue, ma stavolta nessuno riesce a rientrare, nemmeno Landaluze che pure arriva a soli 10" dai primi e poi rimbalza indietro, in maniera financo commovente.
Mercado vince la tappa, Dessel se la gioca, è secondo e si consola con la maglia gialla. Ha 31 anni, questo francese che non ha praticamente mai fatto parlare di sé, e che si ritrova catapultato in un sogno più grande di lui. Potrebbe non risultare propriamente un parvenu, visto che si difende a cronometro e, come abbiamo visto oggi, in salita.
Saremmo quasi tentati di dire che non sarà troppo facile scrollarselo di dosso, tantopiù che ora l'intera Francia orfana di Zidane lo spingerà sulle strade del Tour: un francese in maglia gialla, in una Grande Boucle senza padroni; e non stiamo parlando di un francese à la Voeckler, un coraggioso un po' naif che grazie a una fuga bidone vive 10 giorni in Paradiso. No, Dessel è senza dubbio più solido di T-Blanc e di tanti altri colleghi. Insomma, la storia è tutta da scrivere.
Tra l'altro siamo grati a Cyril perché finalmente ci ha aperto gli occhi sul perché il Tour fa tanta pena. Non riuscivamo a comprendere i motivi di questo inizio del tutto pleonastico, con tappe inutili in serie; delle frazioni di montagna con le salite (specie se difficili) lontane dal traguardo (insomma: chiamano pirenaica una tappa in cui sesto si piazza Isasi, ottavo Bennati, nono Zabel: c'è o non c'è qualcosa che non va?); della presenza delle crono, sì, ma non in maniera preponderante: in fondo avremo poco più di 100 km contro il tempo, non peggio di altre recenti edizioni.
E allora, qual è la spiegazione? Ce l'avevamo davanti agli occhi, e non la vedevamo. Ora, grazie a Dessel e alla sua azione odierna, l'abbiamo trovata.
La Francia non vince il Tour dal 1988. 18 anni, un'eternità. Quest'anno, per la prima volta dopo troppo tempo, non si partiva con un dominatore annunciato. Fatto 2+2, gli organizzatori hanno pensato: non essendoci in attività un corridore francese realmente in grado di fare la differenza (un Basso, diciamo), quale può essere l'unico modo per - eventualmente - far sì che un galletto possa lottare ad alto livello? Semplice: bisogna fare un Tour facile. E hanno fatto un Tour facile. Un Tour in cui con l'ultima salita a 42 km dal traguardo, nessuno dei favoriti si muove, e allora magari parte il fugone, e uno dei "nostri" ci si infila dentro.
Un Tour in cui si finge di fare i tapponi, ma poi si mette il Tourmalet al mattino e l'arrivo sul facile Pla de Beret; il Galibier in partenza, e La Toussuire, pedalabile, al traguardo.
Ecco, il Tour è facile, e allora un Dessel - che se la Boucle fosse stata troppo difficile non ce l'avrebbe fatta - potrà lottare per la Top 10, forse la Top 5. Poi scoppia lo scandalo Puerto, e Basso, Ullrich, Mancebo, Vinokourov, se ne vanno via: la Top 5 è assicurata, allora! E se la fortuna fa sì che Valverde si schianti sull'asfalto, che Leipheimer vada fuori fase, e chissà che altro, ecco che il nostro Cirillone fila dritto dritto sul podio.
È un'ipotesi, sia chiaro, non una verità rivelata. Ma chissà perché, da qualche ora quest'ipotesi non ci esce più dalla testa. E ha pure il pregio di non poter essere smentita se domani Dessel salta: perché in ogni caso la sconfitta era preventivata, ma l'unica possibilità di vittoria fracese passava comunque da un ragionamento di questo tenore.

Marco Grassi



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