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Crollo Landis, riecco Pereiro - Rasmussen, impresa di giornata

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Siamo in pieno luglio, con oltre 30 gradi centigradi sulla strada, l'asfalto che si scioglie sotto le ruote, l'aria calda e irrespirabile, eppure al Tour de France si sta come d'autunno sugli alberi le foglie: tutti al limite delle loro possibilità, tutti sul filo di lama («felicità raggiunta, si cammina per te su fil di lama»), e, giacché ci siamo messi a saccheggiare gli Ermetici, si può dire che ognuno sta solo nel cuor della corsa, trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera. Altro che sera: notte, fonda, buia, cupa.
Floyd Landis è scoppiato.
Ha fatto un botto fragoroso, eccola la sua notte, dal giallo della maglia (indossata negli ultimi giorni) a quello del suo viso, prosciugato di energie ed emozioni, inerte, abbandonato al destino di Icaro, troppo in alto, troppo vicino al sole, poi si bruciano le ali e si precipita. In questo Tour di pochi personaggi, Floyd il mormone stava iniziando a scrivere una storia tutta sua, si era imposto come il più continuo e affidabile del raccogliticcio lotto di quasi-capitani, ex-gregari, medi-mediocri-corridori che si stanno giocando la Grande Boucle 2006 dopo la vigilia dei lunghi coltelli che ha spogliato il cartellone di tutti i big.
E invece, oggi, anche per Landis è finita la commedia. Rimasto senza squadra sin dal Galibier, prima salita del secondo tappone alpino consecutivo, l'americano ha galleggiato tra i più forti (meglio: tra i meno deboli) sulla durissima Croix-de-Fer, Croce di Ferro, nome epico stampato nelle memorie di mille crisi in bici, e poi sul più abbordabile Col de Mollard; infine, sulla salita di La Toussuire, sede d'arrivo, non ha retto che per 8 km: ma ne mancavano 11 al traguardo, troppi per non capire subito che il suo sogno giallo era al capolinea. 10'04" dal vincitore, ha assommato Floyd in quegli 11 km, addio patria, la festa appena cominciata è già finita.
Il vincitore, allora: Michael Rasmussen, sacrificato(si) sui Pirenei in nome di quel capitano Menchov che sta dimostrando di non meritare tale abnegazione, visto che è molto al di sotto delle attese e non riesce a dare una stoccata che lo proietti in cima al Tour. Rasmussen, settimo un anno fa (ma era quarto fino alla crono finale), ha puntato tutto sulla maglia a pois di miglior scalatore e su un successo di tappa. Per centrare la vittoria, oggi è partito dopo appena 6 km di gara, con Casar e Valjavec, che poi alla lunga ha abbandonato al loro destino per compiere il proprio in solitaria, lui e le Alpi, lui e il Tour, lui e la felicità.
Alle sue spalle, la lotta per la classifica: risoltasi in un nulla di fatto fino a quei meno 11 dal traguardo, quando Landis ha ceduto. In quel momento c'era in avanscoperta Leipheimer all'inseguimento di Rasmussen, ma si trattava di un attacco che non aveva sconvolto troppi equilibri. È stato Sastre ad assestare il colpo gobbo, scattando e frantumando il gruppetto dei meno deboli, e volando al secondo posto di giornata (e di classifica).
Landis, come detto e ripetuto, ha sbracato; Menchov ha perso altro terreno prezioso, caro ragazzo, così il Tour te lo sogni; coi volitivi Evans e Klöden restavano Moreau, il regolarissimo Caucchioli, sulle prime anche Cunego (che però ha mollato, ma guadagna comunque altri 4' su Fothen nella battaglia per la maglia bianca) e poi, sorpresona, Pereiro e Dessel, due ex maglie gialle di questa Boucle che occupano ancora le zone alte della graduatoria. Ai 5 km l'allungo di Klöden ha staccato Caucchioli, Dessel e Moreau (mentre Leipheimer veniva ripreso e staccato), e da lì le posizioni non sono più cambiate: risultato, Pereiro in maglia gialla con 1'50" su Sastre. Pereiro, rinato grazie a una fuga bidone, rischia di vincere il Tour: un esito beffardo che domani, nella Saint Jean de Maurienne-Morzine, altra abbuffata di montagne alpine, qualcuno dovrà per forza provare a scongiurare.

Marco Grassi



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