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C'è un asino che vola - La prima vittoria pro' di Bruseghin | Cicloweb

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C'è un asino che vola - La prima vittoria pro' di Bruseghin

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Ha compiuto 32 anni da cinque giorni, Marzio Bruseghin di Vittorio Veneto, il 20 giugno 2006, e se uno passa distrattamente a curiosare nel suo palmares e nel suo carniere, di vittorie ne trova ben poche. Anzi, per dirla come la si deve dire, di vittorie ne trova zero. Zero.
Così uno pensa magari ad un corridore mediocre, ad uno di quelli che - essendo passato professionista nel 1997 con la Brescialat - vivacchiano pesantemente nel ciclismo, magari un raccomandato, magari uno che non sa fare altro se non spingere su due pedali. Certo, chi il ciclismo lo guarda e un pochino lo rispetta esula da tali considerazioni, ne è lontano anni luce. Perché chi il ciclismo lo ama ha sofferto con Marzio a L'Aquila, lo scorso Giro d'Italia, quando Di Luca lo andò a riprendere e sorpassare a poche decine di metri dalla linea d'arrivo abruzzese. Oppure quando Pinotti, nella cronometro tricolore di Tortoreto Lido, dodici mesi fa, se lo lasciò dietro per soli otto secondi. O ancora Stefan Schumacher, giovane tedesco che a Gemona del Friuli, all'ultimo Giro, si è preso ciò che era nei suoi canoni, e cioè una volata di un gruppo di fuggitivi, davanti al prode Marzio.
"Che disdetta - si disse allora - per Marzio le occasioni di successo saranno sempre meno".
Marzio è uno che parla poco e pedala forte, e chi parla poco e vince ancora meno è un gregario. Sì, diciamo pure che se si volesse dipingere il volto, la personalità e la forza del gregario ideale, più di qualche tratto lo si prenderebbe dal veneto Bruseghin, uno che tira in pianura per cinquanta chilometri, se serve, uno che ti spiana le salite, se ce n'è il bisogno, uno che si lancia all'attacco per fungere da testa di ponte, magari, uno che ti fa anche classifica al Giro d'Italia, se proprio si trova lì e se la mente ti suggerisce di lasciarlo battitore libero, seppure sempre all'erta per lo "sporco" lavoro dietro le quinte dei capitani designati.
Marzio è uno che ha corso per quattro anni in Spagna, nella Banesto poi diventata iBanesto.com, l'anno scorso Illes Balears ed ora Caisse d'Epargne: la squadra di Echavarri ed Unzue, insomma, due che difficilmente scelgono dei corridori a caso, soprattutto se stranieri. Due italiani: Bruseghin - appunto - e Piepoli. Eppure neanche in Spagna s'è mai vinto anche se, nel frattempo, magari ci scappava un 8° posto al Criterium del Delfinato. Gregario, lo chiamano.
L'anno dopo torna in Italia, da Giancarlo Ferretti, e s'inserisce subito nel "meccanismo-Petacchi". Tra le altre cose, attacchi in montagna che gli conferiscono la partecipazione al Tour e il 2° posto, 19" da Honchar, nella cronometro conclusiva di Milano.
Perde anche un po' di chili, Marzio, ma non gli basta per vincere: il 2004 gli regala due sesti posti da incorniciare, per un gregario: Campionato del Mondo a cronometro, nel "suo" Veneto, in quel di Bardolino, ed il Giro di Lombardia. Nei 10 a Mondiale e Lombardia: e continuano a chiamarlo gregario.
Nel 2005 un livello medio altissimo tenuto per tutta la stagione: i due secondi posti già riportati (L'Aquila e Tortoreto Lido), i piazzamenti (8°) al Criterium del Delfinato ed al Giro di Germania, il 9° posto al Giro d'Italia, il 14° posto al Campionato del Mondo a cronometro ed il 23° al Giro di Lombardia: roba che alcuni corridori, con l'annata 2005 di Marzio, ci hanno fatto poi i capitani per tutta una vita.
E invece Marzio non si monta la testa, lui che nell'immaginario comune - anche un po' per luogo comune (ci perdonerete il gioco di parole) - è il contadino saggio, è il rurale esperto e posato, è l'uomo che fatica nella vita e sulla bici. È uno che non ha mai vinto, ed alleva somari. Asini, se vogliamo, e di battute e doppi sensi se ne trovano a bizzeffe per uno che - da professionista - non ha mai levato le braccia al cielo.
E invece il destino, che a volte beffa, a volte anche parecchio, ma che qualche volta si ricorda che donare un sorriso fa sentire meglio, il 20 giugno (ieri, per i "soliti" distratti), cinque giorni dopo aver compiuto 32 anni, di sorrisi ne ha regalati a centinaia, perché tanti saranno stati coloro che - dal vivo, o a casa, o solo per sentito dire - avranno fatto spazio al bianco dei denti tra il rosa scuro delle labbra ed avranno detto qualcosa come: "Oh, era ora", oppure: "Meno male, ci voleva", oppure semplicemente: "Grande Marzio".
15 secondi su Pinotti, mica tanti. Ma quel che basta per accompagnare, o far precedere, il nome Marzio Bruseghin dall'appellativo che merita: campione. Campione d'Italia. Anche se lui, consapevole che non si può raccogliere in un giorno ciò che si è seminato per una vita, continuerà ad essere umile e furbo, e quindi non si smetterà di farsi definire "gregario", come se fosse un dispregiativo, ma pretenderà che continuino a chiamarlo così, sorridendo e conferendo a quel termine l'importanza, e la poesia, che merita: «Piacere, Marzio Bruseghin, gregario di...»

Mario Casaldi



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