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«Resistere al Pro Tour» - Baldato e Petito guidano la Tenax

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Si respira un ottimo clima all'interno del Team Tenax-Salmilano, squadra Professional che nel 2006 ha deciso di aumentare sensibilmente il proprio impegno nel ciclismo, e mentre aspettiamo i corridori è Emilio Garanzini, meccanico "storico" del gruppo, a fare da padrone di casa ed introdurci sulla linea d'onda del team: ci racconta di Bordonali, e ce lo descrive come «il più calmo team manager con cui abbia mai lavorato».
Tra gli elementi di maggior spicco nella squadra di Bordonali e Miozzo risaltano senz'altro i nuovi acquisti provenienti dall'ex-Fassa Bortolo: Fabio Baldato, Paolo Bossoni e Roberto Petito (in rigoroso ordine alfabetico) ai quali, proprio all'ultimo momento, si è aggiunto Massimo Codol, altro ex corridore sotto contratto con Giancarlo Ferretti che ha trovato una sistemazione (per fortuna, vista la proverbiale serietà del corridore) proprio tra i "verdi" del presidente Paolo Olmo, che avrà sicuramente allargato i cordoni del budget per permettersi simili investimenti.
Un ritrovarsi che è nato per caso, anche se Baldato-Miozzo-Bordonali hanno fatto parecchie pressioni al patron affinché facesse lo "sforzo" economico per Petito. Già questo basterebbe per far capire qual è il tipo di rapporto che si è instaurato tra i due "leoni del Nord".
Ci fermiamo a discutere della Tenax-Salmilano, ma non solo (anzi, diremmo soprattutto "non solo"), proprio con Fabio Baldato e Roberto Petito, due tra i professionisti più esperti e navigati del gruppo. Si parla del gruppo sportivo Tenax, ovviamente, Baldato soprattutto (visto che è più tempo che conosce i compagni) elogia lo spirito di allenamento dei ragazzi e ne parla quasi da "zio", facendo riferimento ad alcune squadre e corridori Pro Tour che non sono assolutamente più o meno meritevoli dei giovani talenti che la squadra veneta ha in organico per il 2006: «È bello vedere come i tanti ragazzi, soprattutto a me e a Roberto, chiedano consigli, ci guardino in allenamento, ci stiano vicino. Gratifica molto noi, e credo sia contento anche il team manager, visto che suppongo siano anche queste le prospettive per cui ha deciso di metterci sotto contratto».
«Dopo la caduta di Donoratico», prosegue Baldato, «ho avuto un piccolo dubbio se fosse il caso di continuare o meno; mi ero domandato, in poche parole, perché fossi ancora in gruppo, cosa volessi e cosa significasse per me. Fortunatamente la squadra, i compagni ed il ritiro sulla costa pontina mi hanno fatto tornare il sorriso e la voglia, e chissà che anche quest'anno non si riesca a piazzare una zampata».
Stiamo parlando con Petito e Baldato, e la mente non può non rivolgersi alla Fassa Bortolo, a Giancarlo Ferretti, a ciò che il Pro Tour ha significato per taluni corridori e per taluni sponsor; il veneto di Brendola ed il laziale di Civitavecchia hanno voglia di parlarne, cercando un po' di sviscerare la situazione e cercare di capire alcuni perché: «Sin dall'inizio della stagione 2005 lo staff marketing della Fassa Bortolo ci aveva fatto capire che il tempo dello sponsor, all'interno del ciclismo, era giunto al termine. Non è detto che non rientrino, questo no, ma comunque l'avvento del Pro Tour ha influito parecchio su questa scelta. Ormai, visti i risultati, Fassa aveva ottenuto un ottimo riscontro d'immagine durante i 5 anni già trascorsi, e gli investimenti che il Pro Tour richiedeva, e richiede tuttora, non erano giustificabili con la sola passione. Sarebbe rimasto, sì, ma come secondo sponsor, nel caso in cui qualche azienda importante si fosse fatta avanti. Ed invece niente».
Baldato è amareggiato, e parla con tenerezza di Ferretti e della "gaffe" patita da Ferròn all'epoca dei pre-contratti con la "fantomatica Sony Ericsson" e di quello che ne è scaturito, da questa leggerezza («commessa con tutto l'amore possibile per i suoi dipendenti», dice Baldato) dell'ex team manager dei bianco-blu capitanati da AleJet Petacchi.
«Il Pro Tour è anche un'idea che, sistemata, può essere un input positivo per il ciclismo, ma così no, non può andare, visto che Italia e Spagna stanno subendo dei danni importanti al loro movimento», è questo l'incipit di Baldato. «Abbiamo due squadre e mezza nel Pro Tour, e la Francia, trainata dal fenomeno Tour de France, ci ha letteralmente sfilato sotto il naso a suon di milioni di euro la licenza della Fassa Bortolo. Così l'Italia, il movimento ciclistico con i ciclisti più forti (se le classifiche valgono ancora qualcosa) sia individualmente che per nazione, si ritrova con un numero bassissimo di squadre Pro Tour, perché ahinoi le piccole formazioni non investono più dato che non corrono il Giro d'Italia e così ci si disaffeziona».
Il Giro d'Italia, già, questa "chimera" per molte squadre, ma per tutte le squadre italiane: «Spero che la lotta intrapresa dagli organizzatori dai Grandi Giri vada in porto, magari non dal 2006, visto che è giusto tutelare gli investimenti delle squadre che hanno già sborsato parecchi quattrini, ma negli anni a venire. Nel 2005 si è avuto qualche miglioramento tecnico con 4/5 squadre, ma le altre son venute al Giro proprio in vacanza, come successo per altre formazioni "non spagnole" alla Vuelta oppure team poco propensi alle classiche del Nord in Belgio e Olanda. Il plus del Giro è sempre stata la lotta tra i corridori italiani, quando magari hai il corridore "di casa" che lotta con i migliori, anche perché - ripeto - il ciclismo italiano è nettamente il migliore per livello dei corridori. Questo non è da sottovalutare».
Baldato è professionista dal 1991, quando c'erano 10 o 11 squadre professionistiche di livello alto che avevano come obiettivo principale il Giro d'Italia. In un determinato periodo si era esagerato, forse, avendo troppe squadre e corridori italiani, ma nel 2005 si è forse esagerato in maniera uguale e contraria, toccando probabilmente il minimo storico di corridori italiani presenti nella corsa rosa: «Non tutti gli sponsor hanno la possibilità di investire 10 milioni di euro; il ciclismo è sempre vissuto con squadre medio-grandi che con 2-3 milioni di euro facevano ottime cose, in Italia soprattutto. Mi viene in mente la Ballan, con Gibo Simoni, o l'Alessio dell'ultimo periodo. Ottime squadre di 14-15 corridori che riuscivano a gestirsi ottimamente e che avevano in organico uomini importanti. Ora i corridori italiani come Basso, Bettini, Caucchioli, Bertagnolli, Scarponi, ed altri vanno a correre all'estero, mentre prima i grossi calibri venivano a correre da noi. È anche vero che all'estero gli sponsor che investono sono gruppi solidi come banche ed affini, ma è tutto un circolo vizioso che è difficile da sbrogliare. Italia e Spagna stanno soffrendo molto questa situazione perché Giro e Vuelta non possono invitare le tante squadre medio-piccole (di budget). Sicuramente l'unica grande corsa che non risente di Pro Tour, o altro, è il Tour de France, ma il Giro e la Vuelta hanno bisogno di un passo indietro, e spero che tutti possano rendersene conto, sennò non sarà difficile immaginarsi uno scenario come già successo per il Giro della Liguria o il Trofeo Pantalica piuttosto che il Trofeo Luis Puig e la Settimana Catalana».
È un momento difficile, Baldato e Petito non lo nascondono, e nonostante abbiano già fatto la loro onestissima carriera si preoccupano per i corridori giovani e per il futuro dello sport che amano e che li ha visti in prima linea: «Io e Petito, per una sorta di contrappasso, abbiamo praticamente tolto il posto a qualcuno che ha dovuto smettere. E non è bello. Per me potrebbe essere l'ultimo anno, e non mi cambia molto. Sono felicissimo della mia carriera, ma chi ha 26-27 anni vive costantemente di fronte ad un bivio: vogliono emergere, ma come? Le squadre di vertice son poche, e se cambiano qualcuno nell'organico puntano magari a prendere giovani di ottime prospettive. Non è semplice, e si scatena anche una sorta di disputa interna in gruppo. Un fattore che non porta, e non porterà, niente di positivo».
«Talvolta», aggiunge Petito, «un corridore buono entra a far parte di un gruppo sportivo ottimo anche per caso, o comunque per alcune vicissitudini che vanno colte al volo. Ed una volta all'interno, ognuno cerca di crearsi il proprio spazio, la propria identità ed ognuno cerca di essere insostituibile nell'ambito che si è creato».
Tutto questo, poi, sta creando altri problemi, tutti a cascata e tutti concatenati: «In Italia, ormai», dichiara con un ghigno di rassegnazione Baldato, «c'è un'inflazione di direttori sportivi che non ci si immagina neanche. Io ho il tesserino da ds già da 3 anni, ed una volta sceso dalla bici vorrei provare a continuare a stare nell'ambiente, visto che ho ricevuto molto dal ciclismo e qualcosa credo anche di aver dato. Ma dove potrei andare? È lo stesso discorso dei corridori. Ci son poche squadre e ds in esubero. Sono stati dati tesserini a tutti e nessuno senza alcuna regola e con pochissime selezioni».
«Mio fratello», parte in contropiede Petito, «è rimasto senza ammiraglia, ma ora non lo dico perché è mio fratello, perché come lui ce ne sono molti. Non è stato fatto alcun rapporto tra le squadre esistenti e i ds con tesserino, perché così la percentuale che può trovare occupazione è davvero molto bassa e molti tesserati si ritrovano senza lavoro, magari a vantaggio di qualcuno che non merita, così come con i corridori».
«Quasi tutti», proseguono in coppia, «pensano che sia il doping a far marcire il ciclismo, mentre sono tante le questioni lasciate alla mercé del destino. C'è ormai la cultura del "chi prima fa, fa", senza davvero capire, ed avere la possibilità di capire, se chi si ha intorno sappia o meno determinate regole, se possa essere o meno d'aiuto alla propria professione. Molto è lasciato alle conoscenze di vecchia data, e poco è regolamentato dalle istituzioni».
Non sanno di sfondare una porta aperta, Petito e Baldato, ma il corridore laziale propone anche, «a malincuore», una delle probabili soluzioni: «Per tornare ad un ciclismo di qualità, ahimè, credo che si debba ridurre il numero dei corridori professionisti in Italia. 200 professionisti son troppi, e bisognerebbe tornare a 130-140 corridori. Troppi ragazzi vengono illusi dal professionismo facile, magari con una squadra Continental o Professional di basso profilo, ma quanti di quelli che passano poi diventano veri professionisti? Quanti durano più di cinque anni tra i pro'? Anche la moda di prendere i ciclisti dell'Est, poi, è una cosa assolutamente deprecabile che tra i dilettanti toglie spazi ai corridori giovani italiani. Spiace dirlo, perché poi nel grande mucchio ci potrà essere qualche ottimo corridore e qualche ottimo ds sfortunato che per qualche motivo non riuscirà ad emergere, però il ridurre ed il selezionare con maggiore qualità i passaggi tra i professionisti e la crescita dei giovani professionisti stessi è un elemento prioritario».
«Potrò sembrare ripetitivo», subentra Baldato spostando un po' il mirino, «ma la centralità del discorso già fatto sul Giro d'Italia è secondo me fondamentale. Spero con tutto me stesso che si riesca a trovare il prima possibile un compromesso affinché si dia alle squadre italiane la possibilità di tornare a 7-8 gruppi solidi che riescano ad instaurare una continuità incentrata ovviamente sull'appuntamento del Giro d'Italia. Il Pro Tour, al di fuori del circuito, ha creato una sorta di "superdilettantismo", perché le corse fuori dal Pro Tour ormai sono HC, 1 e 2; e consideriamo che la categoria 2 le Professional non la possono correre, che nella categoria 1 gli organizzatori delle piccole corse, per dare lustro alla starting-list, si svenano per invitare 6-7 squadre Pro Tour e poi coi soldi rimasti preferiscono invitare le Continental, così con i soldi che spenderebbero per invitare 4 Professional invitano 6 Continental, rimpinzando il tutto con 2 Professional: una miseria. L'unico modo che ha una Professional per crescere è andare a correre le corse di categoria HC all'estero, ma è facilmente intuibile come i costi di gestione di un gruppo aumentino sensibilmente», e vagli a dare torto al vicentino.
«Corse come il Giro del Lazio e il Giro del Veneto, tanto per nominare le "nostre" corse di casa, nel 2005 sono decadute in modo vertiginoso, visto che tante squadre Pro Tour avevano addirittura una tripla attività ed ovviamente nelle corse fuori-Circuito mandavano squadre imbottite di giovanissimi, o addirittura di stagisti. Secondo noi questo non è il modo di far crescere il ciclismo», parlano in parallelo, «perché si poteva benissimo prendere il vecchio sistema e migliorarlo, senza stravolgerlo con tutti queste scelte cervellotiche che non si capisce bene chi debbano favorire».
S'è fatta quasi sera, ed è passata più di un'ora dall'inizio della chiacchierata. Scommettiamo che ci sarebbe da parlarne ancora tutta la sera, magari la notte e continuare fino a domani, tanta è l'esperienza di Roberto Petito, da Civitavecchia, e di Fabio Baldato, da Brendola.
La chiosa, firmata da Petito, è un po' nostalgica verso la vecchia Coppa del Mondo, esautorata proprio dal circuito Pro Tour: «Si era creato un equilibrio con i dieci anni della Coppa del Mondo, valutando il corridore su una giusta scala. Spesso non c'era una distinzione netta tra il vincente e il piazzato, e si tendeva a premiare sempre più quest'ultimo, ma probabilmente si poteva cercare di aggiustare il tiro in questa direzione, anche perché prima essere nei primi 200 del ranking Uci aveva un valore, anche di mercato, non indifferente, e soprattutto venivano valutati tutti, ma proprio tutti, i corridori all'interno di ogni corsa durante l'anno solare. Era un ottimo metodo di valutazione del lavoro, certamente non l'unico, ma poteva dare un'idea ad un tecnico o ad uno sponsor dell'effettivo valore della totalità della squadra. Ora, invece, basta avere il leader in maglia bianca, poi tutti gli altri possono avere anche 0 punti nel Pro Tour».
"Nostalgia canaglia", diceva una vecchia canzone, ma non ce la sentiamo di accodarci alle note di Al Bano e Romina. Preferiamo un'altra coppia, meno canterina e più "pedalatoria": siamo portati a preferire la schiettezza e l'esperienza (e le verità) di Fabio Baldato e Roberto Petito, e scusate se è poco.

Mario Casaldi




Bossoni: «L'importante è esserci»


Trascorsi azzurri, legati alla selezione italiana; e trascorsi bianco-azzurri, legati alla Fassa Bortolo, anche se Ferretti & C. non resteranno di certo impressi tra i ricordi felici di Paolo Bossoni, che a luglio compirà 30 anni e che non aspetta altro che tornare a correre senza sfortuna e senza i continui stop fisici che ne hanno minato il rendimento soprattutto nell'ultimo anno. Molto meglio il 2004 in maglia Lampre, ed ancora meglio il 2003 in maglia Vini Caldirola, quando nella Coppa Sabatini riuscì ad alzare per l'ultima volta - finora - le braccia in segno di vittoria, davanti a Paolini e Celestino. Non male, ma al nuovo acquisto Tenax non basta.
Paolo Bossoni nel 2006 è partito subito con il piglio dell'attaccante, con l'attacco a Donoratico sferrato col compagno di squadra Murro.
«Abbiam provato anche perché io non sono un velocista da un arrivo di gruppo. È stato bello averci provato, è stato un peccato che ci abbiano ripreso, ma poi è arrivato anche il piazzamento in volata in un finale quasi scontato. Speriamo di essere partiti con il piede giusto nel 2006».
In una intervista di fine stagione, lo scorso anno, dichiarasti che la delusione del 2005 era stata Paolo Bossoni. Eccessiva autocritica?
«L'anno scorso mi ero preparato bene per affrontare una stagione da protagonista, ma una serie interminabile di problemi fisici mi hanno frenato. Quest'anno vorrei dimostrare che il 2005 è stato soltanto una parentesi e che il Bossoni visto l'anno scorso non era assolutamente quello vero».
Hai un feeling particolare con il Campionato Italiano: è il tuo obiettivo principale?
«A parte il Campionato Italiano, in tutte le corse che farò vorrò far bene. Il gruppo sportivo Tenax-Salmilano è un gruppo giovane, ma assolutamente in grado di ben figurare. Ogni volta che avrò la gamba e potrò provare qualche sortita tenterò in ogni modo di dire la mia».
Hai trovato molte differenze tra l'organizzazione - anche sportiva - della Fassa Bortolo e quella della Tenax-Salmilano?
«In alcuni particolari si capisce perché alcune squadre sono catalogate come "grandi" ed altre come "medie", ovviamente con tutto il rispetto per queste ultime. C'è un ottimo rapporto con tutti, a partire dai meccanici fino a finire coi massaggiatori, ed il gruppo sportivo è ottimo e l'esempio si è avuto a Donoratico, dove abbiamo dimostrato di avere una filosofia di attacco e comunque volta a dei discreti risultati finali. L'attacco di Pietropolli prima, di Murro e del sottoscritto poi, e i piazzamenti nei 10 di Bosisio e ancora del sottoscritto credo possano essere un bel biglietto da visita su ciò che sarà il nostro modo di correre durante la stagione. Speriamo che si continui così, anche personalmente».
Con Petito e Baldato vi sentite un po' le chiocce di questo gruppo di giovani?
«Io sono un po' in mezzo (ride), perché con Petito e Baldato non reggo proprio il paragone. Ciononostante, anch'io posso mettere al servizio di questo giovane e motivato gruppo un minimo di esperienza. Noi "vecchietti" cercheremo di aiutare i giovani promettenti cercando di dare un contributo alla loro crescita, ed attenzione perché di giovani di valore la Tenax ne ha».
Ti senti di fare qualche citazione particolare?
«Ci sono dei giovani interessanti che hanno dimostrato, anche in allenamento, di saperci fare. È ovvio che l'allenamento è differente dalla corsa, e quindi per fare qualche "profezia" aspetto di vederli in gara. Però l'impressione è che la Tenax sia provvista di talenti veri».
Che impressione ti hanno fatto i nuovi direttori sportivi e Bordonali stesso?
«Si parlava di programmi qualche tempo fa, ma purtroppo una squadra Professional come la nostra non si può permettere di stilare programmi troppo in là con il tempo e questo è un grosso handicap. Speravamo con tutti noi stessi di disputare la Tirreno-Adriatico perché sarebbe stata una vetrina importante e perché la condizione del gruppo Tenax è assolutamente buona e saremmo potuti essere competitivi. Conoscevo già Miozzo, ma anche con gli altri ci si sta imparando a conoscere, e lo stesso Bordonali - nonostante sia il team manager - è stato molto presente durante i vari ritiri e questo non è molto usuale. Evidentemente anche lui ci tiene al team e ce l'ha dimostrato in un discorso in cui non ci ha messo assolutamente pressioni di risultati: dobbiamo far bene, ma non c'è l'assillo della vittoria. Dobbiamo dare tutto e farci trovare sempre pronti, ma questo per un professionista dovrebbe essere normale».
Il rischio è di essere partiti con il piede sull'acceleratore e vanificare queste intenzioni col mancato invito alla corsa dei due mari.
«In parte è vero, ma si è pensato un po' a tutte le possibilità e ci sono corridori in grado di far bene in ogni periodo della stagione. Certo, aver saltato la Tirreno è stato un brutto colpo».
Nonostante sia impossibile stilare un programma di corse per il gruppo sportivo, sai più o meno in quali periodi della stagione avrai i tuoi picchi di condizione?
«Sono sempre portato a far bene ad inizio stagione, ma in questa stagione - con questa precarietà - sono partito un po' più piano proprio al fine di mantenere una condizione di base buona e poter essere competitivo anche in caso di un invito in qualche corsa all'ultimo minuto. Sicuramente - e non lo dico per presunzione, ma solo per volontà - ai Campionati Italiani sarò presente e proverò a stare davanti, anche perché in quell'occasione mi seguiranno il mio Fans Club e la mia famiglia, un po' come è avvenuto durante tutte le ultime rassegne tricolori. Il mio desiderio è di riuscire a non deluderli per il secondo anno consecutivo. Non mi va proprio».
Il calendario agostano, con le tante classiche in Italia, ci sembra un po' lo snodo cruciale della stagione Tenax. Ci sbagliamo?
«No, direi di no. Agosto sarà un mese importante, ma direi che il problema è circoscritto maggiormente ad inizio stagione, dove tante squadre vengono dagli allenamenti invernali in buone condizioni ed auspicherebbero di correre un po' più appuntamenti importanti di quanti poi non ne corrano davvero. È un problema che il Pro Tour ha accentuato e non nascondo una certa preoccupazione riguardo la crisi che sta colpendo il ciclismo, soprattutto a livello medio».
Per fortuna non ci sono solo le corse italiane.
«Eh già, in Belgio correremo qualche corsa come la Tre Giorni di La Panne ed il Giro delle Fiandre. Però i maggiori interessi lo sponsor li ha in Italia e non esser stati invitati né alla Tirreno, né alla Sanremo non è assolutamente una cosa positiva».
A proposito di crisi, che ci dici sulle ultime battute del 2005 vissute da ciclista della Fassa Bortolo?
«Tutti sapevamo che Fassa si sarebbe allontanato dal ciclismo, ma ad essere sincero non avrei mai pensato che nessuno avrebbe voluto investire sul gruppo sportivo che poteva vantare il più forte velocista in attività, Alessandro Petacchi. Questo è un dato che deve far riflettere, in quanto nessuna azienda di grosso calibro investe nel ciclismo. Ok la crisi, ma secondo me questa è anche poca oculatezza: speriamo che il ciclismo possa risollevarsi».
Il Pro Tour è implicato nella vicenda, secondo te?
«Non lo so, ma sicuramente il Pro Tour ha complicato la vita soprattutto a noi corridori. C'è uno sproposito tra il campione e il buon corridore che prima non c'era. Qualcosa è già stato cambiato, qualcosa cambierà: anche perché in Italia ci sono 7/8 squadre Professional che non fanno il Pro Tour, come la Tenax, che rischiano seriamente di chiudere alla fine di ogni stagione. Se una squadra italiana non corre la Sanremo, non corre il Lombardia, addirittura non corre il Giro d'Italia, questa squadra che esiste a fare? Delle volte si vedono squadre invitate al Giro d'Italia che arrivano con due corridori a Milano. Invece di porre l'obbligatorietà si potrebbe dare la possibilità alle 20 squadre di scegliere 2 grandi giri su 3, oppure abbassare il numero delle squadre Pro Tour. I giovani che devono dimostrare qualcosa e maturare possono maturare anche al di fuori delle grandi corse a tappe. Sicuramente la Tenax, e la cito perché mi ci trovo all'interno, al Giro d'Italia manderebbe la squadra migliore».
Immagina di avere la bacchetta magica e scegli una corsa da vincere nel 2006.
«Già detto, e mi ripeto. Lavoro con tranquillità perché ho bisogno di dimostrare qualcosa e se non corro non posso farlo. Quest'anno un eventuale 2° posto al Laigueglia per me sarebbe valso come un altrettanto eventuale 6° posto alla Sanremo, perché è sì importante il palcoscenico, ma per me è quasi più importante sentirmi realmente competitivo e fissare un po' il mio nome nella parte alta degli ordini d'arrivo. Il piede di partenza è stato quello giusto, e speriamo di continuare così. L'ambiente - per fortuna - sembra l'ideale per riuscirci».


Mario Casaldi



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