La delusione di Plan de Corones - Quel che doveva essere e non è stato
Versione stampabileSono le sei del pomeriggio quando il sole decide di cominciare a risplendere su quella che era la montagna più attesa del Giro, e che si è rivelata invece una fantastica incompiuta.
È passata solo un'ora da quando le ruote dei corridori hanno terminato l'ennesima fatica della corsa rosa, un'altra tappa alpina privata stavolta però di molto del suo fascino originario.
È mattina quando il brusco risveglio di alcuni tifosi è segnato dall'avviso degli addetti dell'organizzazione di spostare camper, tende, macchine e ciò che li abbia portati sin lassù; qualcuno si muove, qualcuno resta, il buon senso - di cui abbiamo le prime apparizioni - tende a salvaguardare il posteggio dei camper, bestioni più ingombranti da spostare su e giù da pendenze niente affatto semplici, ed anche a preservare la pazienza che in qualcuno già veniva a mancare.
Molte di più, in cima, le ore di attesa di migliaia di tifosi che spinti dall'immensa passione erano riusciti a portarsi sul Plan. Fin dalle prime ore dell'alba, incuranti delle levatacce che un'impresa del genere avrebbe richiesto.
E così è stato: poco più di cinquemila metri da quando una brusca svolta a destra ci lasciava intendere che le fatiche del passo Furcia erano state solo un gustoso antipasto che conduceva alle porte dell'inferno. Proprio questa scritta ben visibile poche decine di metri dalla prima durissima rampa del Plan, verniciata sopra quello che era ancora un discreto fondo asfaltato, seppur talvolta ghiaioso, preoccupava ma affascinava chi ha nel sangue il sapore della sfida.
Subito un'impressionante serie di tornanti ribadivano il ricordo del ciclismo che fu, di quegli eroi che con le loro imprese hanno reso secolare l'immutato fascino di questo sport: Belloni, Girardengo, Brunero, Binda, Guerra, Valetti, Bartali, Koblet e poi ancora Coppi, Nencini, Gaul, Anquetil ed infine Pantani, in rigoroso ordine cronologico, segnavano il passo di una salita durissima e per metà effettivamente sterrata, nella metà più dolce, in quella parte centrale che permetteva, ma a fatica, di gustarsi un panorama mozzafiato.
Una fitta vegetazione lasciava poi spazio ad immense praterie, che però non riparavano più dalle gelide folate di vento che portavano nubi minacciose, e quindi la neve.
Ed ecco che nelle situazioni più estreme una solidale compagnia è capace di alleviare qualsiasi fatica, a maggior ragione quando ti accorgi subito di un naturale feeling, di quella sintonia di sensazioni ed emozioni che sanno spiegare i motivi di un'apparente follia.
Si chiacchiera, si mormora, e le voci, in vallate così ampie, fanno presto a prendere velocità e risonanza: "si parte", "si fa il Furcia", "non si fa l'Erbe", "tappa annullata", e si faceva presto a mutare repentinamente gli stati d'animo di chi da mesi aspetta un giorno come questo, di chi sogna una tappa, un evento così.
Musica, ottimo cibo ed improvvisazioni del momento rendevano l'attesa sempre più elettrizzante, una vera e propria festa che aspettava solo l'arrivo della torta, il passaggio della corsa rosa. E tanto aumentava la folla, altrettanto cresceva l'entusiasmo di ognuno, accompagnato da quell'ansioso desiderio di notizie certe che altro non faceva che diffondere confusione.
Incertezza che restava tale anche quando, sempre più spesso, si alzavano gli occhi speranzosi in un sensibile miglioramento delle condizioni climatiche: ma sempre più la ragione allontanava l'ottimismo e la speranza in qualche pietoso regalo degli dei o in una spettacolare ma incosciente decisione di chi per primo aveva puntato grosso sulla montagna di Brunico.
Ma il destino ha voluto che ad esser sconfitti fossero proprio loro, l'organizzazione di corsa, anche se il dolore più grande era nel cuore di tutti quelli che erano lì, sulla strada, apparentemente anonimi ma in realtà il vero motore di ogni spettacolo. Delusi sì ma non sconfitti, perché dopo lo smarrimento iniziale ci si è subito resi conto che il vero vincitore, ancora una volta, era stato il popolo del ciclismo, quelle anime che in un attimo si sono riversate cinque km più a valle, proprio su quel passo Furcia divenuto quindi il piatto forte della corsa, un piatto agrodolce reso però fantastico dagli applausi e dalle urla, sincere ed emozionate, di tutti gli appassionati.
E ripensandoci un pochino più a freddo, viene la certezza che quello stesso altruismo che ha da sempre spinto ad imprese del genere avrà portato un lieve sorriso per la consapevolezza che è la natura ad aver vinto per una volta sull'uomo, continuando il proprio corso come fatto fino ad allora.
Giuseppe Matranga