La corsa rosa racconta... - Le parole dei protagonisti del Giro
Vincitori e vinti, la storia dello sport è piena di casi così, e non potrebbe essere altrimenti: uno vince, gli altri perdono, magari vince una squadra, e le altre perdono. Nel ciclismo, poi, sono sempre più gli scontenti, a metà o totalmente, che i contenti, a metà o totalmente.
Il Giro 2006 ha avuto un padrone unico, riconoscibile, ma ogni ciclista di quelli che vi proponiamo ha saputo ritagliarsi le proprie soddisfazioni: tangibili, magari solo morali, ma di fatto tali.
Partiamo da Julio Alberto Pérez Cuapio, messicano di nascita, ma praticamente italiano d'adozione, che nel Giro 2006 ha riscoperto le qualità per poter lavorare coi migliori, ovviamente in salita: «Mi è mancata una vittoria - ci dice alla vigilia dell'ultima tappa - ma sono comunque contento della mia corsa. Mi fa piacere che anche la dirigenza della Ceramica Panaria-Navigare si siano detti soddisfatti delle mie prestazioni». Un unico rimpianto: «Nella tappa del San Pellegrino, a parte la caduta, sono stato frenato dalla presenza, nel gruppo dei fuggitivi, di Sella, Baliani e Laverde, tre miei compagni di squadra. In quella situazione tattica, non potevo di certo attaccare io».
Pérez Cuapio è sicuramente la stella del ciclismo messicano, e ne è consapevole: «Mi fa piacere essere tornato ad alti livelli anche per il mio paese, che mi segue sempre con passione. Certo, non è facile riuscire a diventare un ciclista professionista nascendo in Messico, ma fortunatamente qualcosa si sta muovendo. Adesso spero di continuare a far bene al Giro, nei prossimi anni, perché i percorsi montagnosi dell'Italia sono quelli che mi si addicono di più».
Di diverso tenore, anche se ugualmente soddisfatte, le parole di Juan Manuel Gárate Cepa, neocapitano della Quick Step per le corse a tappe ed autore del suo migliore Giro d'Italia: «Effettivamente ho avuto dei risultati nella classifica generale che sono migliori di quelli di quest'anno, ma contornare un 7° posto in classifica con la vittoria sul San Pellegrino e la conquista della maglia verde della classifica dei gran premi della montagna è qualcosa che mi rende completamente felice».
Non nasconde un filo di delusione, il campione spagnolo in linea, perché «sono tanti anni che faccio piazzamenti ottimi al Giro, ma per fare un articolo su Gárate si aspetta sempre il ventesimo giorno di corsa. Forse - continua - la maglia verde contribuirà a far distrarre meno persone, ma più realisticamente credo che tra qualche giorno la considerazione su di me tornerà ad essere come quella di prima, cioè quasi nulla».
Regole di personaggi, forse, sbagliate, certamente, ma la caccia al "divo" è pratica sempre più usuale, anche nel ciclismo: «Adesso correrò il Tour per cercare di vincere, anche in Francia, una tappa, mentre il nuovo acquisto Rujano cercherà di disputare una buona corsa per quanto riguarda il piazzamento finale. Abbiamo pure dimostrato, nella tappa del San Pellegrino, che anche una squadra creata e costruita per le corse in linea come la Quick Step, grazie a corridori come Bettini, Engels e Garrido, può effettuare delle bellissime prestazioni nelle grandi corse a tappe».
Ci fa piacere poi scoprire rilassato, sorridente e come sempre molto disponibile Damiano Cunego, sempre alla vigilia dell'ultima tappa. Lo troviamo, con Mazzanti della Panaria, nell'area ospitalità allestita per tutto il Giro, stranamente non attorniato da telecamere, microfoni e giornalisti. Allegoria totale della società applicata al ciclismo: una stagione e mezza sottotono, e luci dei riflettori puntate altrove. Ci sta anche, per carità, ma lascia un po' delusi: «Mi ha fatto piacere aver finito un Giro così duro in crescendo, dimostra che qualcosa so ancora fare - ci dice sorridendo e scherzando - e che faccio bene, a differenza di quello che dice qualcuno, a voler vincere di nuovo una grande corsa a tappe».
È indubbio, però, che i 18 minuti e passa patiti da Basso siano tanti: «Non nascondo che, con l'avvento del Pro Tour, il livello medio di un Giro d'Italia o di una grande corsa a tappe sia aumentato in maniera tangibile. Difatti patisco molto la prima settimana e nella seconda ho degli alti e bassi che derivano dalla mancata tranquillità dei primi sette giorni. Infatti, in pianura, spendo tante energie sia con le gambe che con la testa, e per un motivo o per un altro, psicologico o fisico, in salita poi non riesco a fare ciò che vorrei e ciò di cui sono capace».
E al Tour? «Prenderò la migliore decisione, quella che servirà al mio bene, dopo aver parlato con la squadra. Se riterremo che il Tour possa farmi bene, per la crescita, allora ci andrò, altrimenti salteremo l'appuntamento senza fare drammi». Cunego ha vinto, da queste parti, il Giro di Lombardia, ed il discorso classiche non lo lascia indifferente: «Cercando di migliorare sempre un pochino di più nelle grandi corse a tappe, è naturale che le classiche potranno essere il mio banco di prova più importante per le stagioni che seguiranno. Però, lo ripeto, i grandi giri mi piacciono troppo, ed è lì che voglio vincere. Certo, correndo Giro e Tour nello stesso anno poi le gambe per le classiche mancheranno, inevitabilmente, e quindi è ragionevole pensare ad una grande corsa a tappe per stagione, col resto del tempo da dedicare alle corse in linea».
Cunego fa una bellissima impressione, dà l'idea di consapevolezza dei propri mezzi e di una serenità raggiunta, anche se attraverso passaggi dolorosi: «Che Gutiérrez mi passasse, a Pontedera, potevo anche immaginarlo, ma Basso, ragazzi... proprio non credevo...», ed abbozza un sorriso di quasi vergogna che intenerisce. Questo Giro non l'ha visto esultare praticamente mai, neanche parzialmente, ma ci ha regalato la grande voglia di lottare, di far fatica e di battersi, sempre, di Damiano Cunego.
Più radioso, anche se non di troppo, il viso di Ivan Basso in conferenza stampa a Milano, dove ovviamente il primo punto toccato riguarda Simoni, e l'Aprica, e la querelle nata: «Ho già detto tutto sull'argomento, e non mi va di rovinare un momento per me così bello rivangando la questione». In sala stampa si annuisce, e si prosegue oltre. Il futuro, in primis: «Il Tour è vicino, è vero, ma per qualche giorno mi concentrerò sulla mia famiglia e su questa grande vittoria al Giro d'Italia. I francesi mi adotteranno? Non lo so - prosegue Basso - anche dagli altri anni hanno sempre dimostrato molto rispetto per me, così come per tutti gli altri».
Si parla anche di tifosi, e di disponibilità nel concedere gli autografi. Basso risponde così: «Sapete, quando ero bambino mi si riempiva il cuore di gioia quando Bugno, o Indurain, o Chiappucci, si fermavano a firmare il mio pezzo di carta. Ecco, mi piace rendere felici soprattutto i più piccoli che mi chiedono una foto, o un autografo. Pensate che a Pontedera, nel tratto di strada compreso tra il parcheggio dei pullman e la partenza della crono, ero sulla bici ed ho sorpassato due cicloamatori non proprio giovanissimi. Gli ho chiesto: "Come va?", e loro hanno fatto un sorriso che neanche vi so raccontare. A me non è costato nulla, ed a loro avrà fatto senz'altro piacere». Lo crediamo anche noi.
Per il più classico rovescio della medaglia, però, a fine Giro, nei dintorni di Corso Venezia, a Milano, troviamo Gilberto Simoni che chiacchiera amabilmente con alcune persone. Non possiamo non avvicinarlo. Si avvicina anche un signore anziano, che si fa autografare la maglia e poi gli fa: "In confidenza, ti dico un detto: le persone del varesotto, come il Basso, son false". In realtà non c'è un briciolo di "detto" tra le parole del signore in questione, né tantomeno di proverbio, e difatti Simoni sorride e conclude il siparietto con un laconico: «Eh, a saperlo prima».
Si chiacchiera un po', Gibo ci fa molte domande sul diario di Lobato («Ecco chi è che scriveva "Lobato" sulle salite, non poteva essere vero», dice ridendo) e ci regala una constatazione sulla giovane età: «Ma siete una redazione o un villaggio vacanze?». Non lo punzecchiamo sull'affaire-Mortirolo, ma un po' di voglia la avremmo. Tutto questo è interrotto dalla considerazione di una giovane ragazza: "Nonostante tutto, comunque, Gilberto Simoni rimane un grande scalatore". Gibo ride divertito, e risponde: «Nonostante tutto, però, attenzione...», e si fa notare alla giovane ragazza, in maniera molto pacata, di averla sparata un po' grossa.
Gibo continua a scherzare con noi in maniera molto gioviale, ci dice delle kermesse post-Giro attorno alla zona lombardo-piemontese, e poi si fa una digressione sul futuro: Simoni continuerà a correre, o no, nel 2007? «Ora è un po' presto per dirlo - ci risponde con un sorriso che sta a significare "Certo che continuo, che faccio, smetto nell'anno in cui non vinco neanche una tappa al Giro?" - ma sicuramente gli anni passano e io faccio sempre più fatica. Mi diverto ancora, però, e quindi chissà...». Se tanto ci dà tanto, la nostra interpretazione è più che corretta. Arriva un'auto, Gibo ci saluta e ci chiede se ci saremmo visti la sera, in un locale milanese, per la festa del Giro: «Non stiamo mica in Spagna, qui ci provano a far feste, vedremo che esce fuori quest'anno».
Già, quest'anno, è finito un altro Giro d'Italia. Vincitori e vinti, si è già detto, ma tutti più o meno sorridenti. In fondo, hanno concluso una nuova - difficile ed estenuante - avventura, roba mica da lasciare indifferenti. E se qualcosa è andato di traverso, c'è tutto il tempo per berci su e ributtarsi in una nuova corsa, in una nuova avventura.
Magari l'anno prossimo. Già, quando inizierà un nuovo Giro d'Italia.
Mario Casaldi