Il direttore vede rosa - Zomegnan: «È un Giro di qualità»
Versione stampabileÈ lui l'uomo a cui i corridori del Giro 2006, sul Plan de Corones o sul Mortirolo, indirizzeranno le loro benedizioni. Dietro al disegno e all'organizzazione della corsa rosa c'è Angelo Zomegnan, direttore di Rcs Sport, colui che ci ha confezionato questo Giro che per alcuni è troppo duro, ma che in linea di massima piace, e molto, a tutti quelli che da sabato seguiranno, fino al 28 di maggio, col fiato sospeso le vicende della corsa più amata dagli italiani.
Lo sentiamo mentre, in automobile, si sta dirigendo proprio in Belgio, dove il 6 maggio tutto avrà inizio.
Allora, fra 4 giorni si parte. Cosa si aspetta da questo Giro 2006?
«Mi aspetto una corsa più internazionale rispetto alle ultime edizioni, e con la partecipazione di grandi campioni. Mi pare che, rispetto al passato, ci siano aspettative migliori per questo Giro».
Come mai?
«Per una miglior qualità dei partecipanti, per merito di qualche accorgimento organizzativo, per il fatto di partire in Belgio, dove il ciclismo è una religione, e anche per la nostra attenzione ad alcuni aspetti sociali e sportivi che abbiamo scelto di curare, come la celebrazione di alcune ricorrenze importanti lungo il percorso del Giro».
Lei deve aver sofferto tanto per i Giri disegnati ai tempi di Moser e Saronni, con poche salite e gli arrivi in discesa, ed ora si vendica.
«No no, mi divertivo molto a quell'epoca, perché gli uomini che c'erano erano adatti a quei percorsi. Ma io trovo che il Giro, così come il Tour e la Vuelta, le grandi gare a tappe insomma, siano l'essenza del ciclismo; e per questo devono essere equilibrate, avere la giusta misura di cronometro, salite e percorsi che premino la resistenza. Negli anni '80 e dopo, semmai, c'è stata un'indebita preponderanza della cronometro: coi progressi fatti dagli specialisti ai tempi di Moser, un cronoman poteva arrivare a dare 9" al chilometro ad uno scalatore. Moltiplicato per i 100 chilometri a cronometro, fa 900 secondi».
Un quarto d'ora.
«E così i corridori alla Indurain avevano la possibilità di gestire la corsa come volevano; se c'è la crono, ci dev'essere la giusta proporzione di salite, per dar modo a tutti di avere le stesse possibilità di successo. A me una cosa che ha sempre dato fastidio è stata la crono piazzata prima delle salite: è un vantaggio grosso per i cronoman, che poi possono correre in difesa».
Ma anche al Giro c'è una crono prima delle salite.
«E no, Pontedera viene dopo un fine settimana di montagna: non sottovalutate la tappa di Saltara, che è davvero impegnativa, e quella di Passo Lanciano, un vero arrivo in salita».
E la cronosquadre, allora?
«Ma quello è un discorso particolare: non l'abbiamo inserita solo per compiacere gli sponsor, ma anche per un motivo ben preciso: per spingere i direttori sportivi ad allestire formazioni di alto livello, in modo che i loro capitani non perdano troppo terreno in quella tappa. Se nel 2005 ci fosse stata una cronosquadre, Savoldelli avrebbe tribolato di più, e non gli sarebbe bastato un gregario per arrivare a Milano in rosa, perché le altre squadre, più competitive, avrebbero reso la corsa più dura».
Questo della cronosquadre è quindi uno degli accorgimenti a cui faceva riferimento prima. E gli altri?
«Per esempio abbiamo messo le salite importanti tutte alla fine delle frazioni. Non voglio più vedere una montagna dura e storica in cui passano primo, secondo e terzo tre velocisti in fuga a inizio tappa».
Andate a cercare percorsi inediti e salite in sterrato: nel 2005 il Finestre, quest'anno il Plan. Quanto c'è di voglia di stupire e quanto, invece, di bisogno di differenziarsi dal Tour?
«Nessuna voglia di stupire; e nessun bisogno di differenziarci dal Tour, visto che da tanto tempo siamo diversi e lo sanno tutti. Perché lo sterrato? Un ciclismo in cui si arriva in 80 al Poggio e in 60 ai piedi della salita decisiva di una tappa in un grande giro, è evidentemente un ciclismo livellato. E allora le differenze vanno cercate nella resistenza, e bisogna mettere i corridori nella condizione di farla, quella differenza. Per questo diamo salite vere agli scalatori (e al limite in sterrato), e crono vere ai cronoman: l'anno scorso sbagliammo concettualmente con le due crono, perché erano uguali: partenza, salita a metà percorso, discesa, arrivo. Non erano da specialisti. Quest'anno, sia la cronosquadre che la tappa di Pontedera sono da cronoman puri: che facciano lì, sul loro terreno, la differenza, e gli scalatori dovranno difendersi; ma poi sulle montagne, e parlo di montagne vere, dure, anche con lo sterrato, le parti si invertono. I corridori devono entrare in quest'ottica, devono provarci, tutti hanno il loro terreno. E mi si permetta una divagazione, io abolirei le radioline, che evitano al ciclista di studiare a fondo l'avversario. Un tempo Bartali studiava la vena ingrossata di Coppi e capiva che poteva attaccarlo, questo presuppone un certo sforzo intellettivo in corsa; oggi invece con questi auricolari sembrano tutti diretti dall'esterno, sembra di giocare alla playstation».
Il responsabile di questo tracciato è Mauro Vegni, oppure vi sedete a un tavolino e dite: "Questo Giro lo facciamo così e così"?
«Responsabile: Angelo Zomegnan. Referente per l'aspetto sportivo è Mauro Vegni. Aborro le situazioni in cui se le cose vanno bene il merito viene riconosciuto, ma se vanno male la colpa passa sotto silenzio. Sono responsabile, e per l'appunto mi assumo le mie responsabilità, nel bene e nel male».
Il fatto di aver piallato qualcosa dal punto di vista altimetrico rispetto al progetto iniziale - per esempio il Maniva nella tappa del Bondone - è un'ammissione di colpa nei confronti di chi dice che il Giro è troppo duro?
«No. È che dalle ispezioni sul percorso fatte da Molinari e Della Vedova sono emerse delle incongruenze, e dei rischi che non volevamo prenderci; e qualche salita era piazzata male lungo il percorso, magari troppo lontana dal traguardo».
Chi lo vince questo Giro?
«Di sicuro lo vince un duro, che abbia un passato e un presente, o un presente e un futuro. Certamente non ci sarà spazio per le meteore».
Niente nomi?
«No, per carità».
Ci faccia almeno il nome di uno che non lo vince, allora.
«McEwen! Anche perché poi si ritira strada facendo, anche se indossa maglie importanti, e ciò non è bello».
Farete qualcosa per trattenerlo?
«Non tratteniamo nessuno».
Quale sarà il giorno decisivo, di quell'ultima clamorosa settimana?
«L'anno scorso avemmo la fortuna di avere tre campioni come Savoldelli, Simoni e Rujano, che fecero in modo che a 4 chilometri e mezzo dal traguardo del Sestriere, alla penultima tappa, ancora non sapessimo chi avrebbe vinto il Giro. Per il bene della corsa, e per l'interesse che ne deriverebbe, spero ovviamente che la storia si ripeta quest'anno all'Aprica. Ma se devo essere più analitico, credo che la chiave di volta di tutto possa essere la tappa del San Pellegrino».
Quale tappa la guarda e dice: "Questa è un capolavoro"?
«Mi piace citare Maria Latella, nuova direttrice di "Anna", che oggi in un'intervista a chi le chiedeva una cosa simile ha detto: "Ho fatto un giornale, non ho mica affrescato la Cappella Sistina!"; per cui non parlerei di capolavori, abbiamo solo disegnato il Giro. Certo, se proprio dovessi sbilanciarmi, direi che, per il fatto di aver scoperto il "Piccolo Mortirolo" (le Cesane, nds), e anche per aver previsto un passaggio fondamentale in una parte d'Italia - la Romagna - che da sempre ha rappresentato solo una fase interlocutoria del Giro, sono affezionato alla tappa di Saltara».
Avverte il rischio che la troppa roba presente sul profilo altimetrico possa bagnare - per paura del dopo - le polveri a chi dovrebbe attaccare? E se ciò avverrà, invertirete la rotta nel 2007?
«Se avviene una cosa del genere, credo che potrà dipendere da un deficit dei corridori, e non del percorso. Faccio un esempio: nel 1993 Ugrumov attaccò e staccò Indurain solo all'ultima salita del Giro, a Oropa, e quello non era un Giro duro come questo. Semplicemente il lettone non aveva la forza di attaccare, altrimenti si sarebbe mosso prima. Detto ciò, bisogna dire che nel 2005 avevamo un dislivello totale di 29.300 metri, quest'anno è di 26.600. Meno salita quindi, ma contano i versanti che vengono affrontati: la Marmolada la si può prendere da una parte o dall'altra, e il dislivello è sempre quello. Ma noi abbiamo scelto il versante più duro, e così abbiamo fatto per tutte le salite su cui si transiterà. Credo che il bello di questo Giro sia che ogni giorno può venir fuori una sopresa, anche nelle tappe all'apparenza non fondamentali».
Si capisce piazzare un giorno di riposo dopo 4 giorni: motivi pratici, il grande trasferimento dal Belgio all'Italia. Ma il secondo, non si poteva posticipare di qualche giorno?
«Sì, si poteva. Ma io pensavo (e mi auguravo) che il 17 maggio una squadra italiana, la Juve, il Milan o l'Inter, arrivasse a disputare la finale di Champions League di calcio. Ho fatto comunicazione per 25 anni, certe cose le capisco, e so che la concorrenza con un'italiana in finale di Champions sarebbe stata molto pesante per il Giro. E dovendo scegliere tra riposare di giovedì o mercoledì, visto che non cambiava poi molto, ho preferito evitare la scomoda concomitanza, anche se poi non si sta verificando».
Voltiamo pagina: i Nas stanno indagando. Se potessero, i bookmakers nemmeno quoterebbero un blitz al Giro, tanto è scontato. Che fate, avete avvisato le squadre, specie quelle straniere, di non portarsi appresso niente di compromettente?
«Punto primo: i Nas fanno il loro lavoro, lo rispettiamo, anche se a volte sbavano, e io sono contro ogni spettacolarizzazione delle operazioni di polizia. Se servono perché si faccia pulizia, ben vengano. Punto secondo: non sta a noi fare i poliziotti, credo che un minimo di intelligenza dovrebbe suggerire ai team di non tenere niente di illecito; anzi, avrebbe già dovuto suggerirglielo tanto tempo fa».
Ma perché sempre durante il Giro?
«Ovvio: il Giro dà la massima visibilità. I Nas sono stati a Montecatini al Giro di Toscana qualche giorno fa, ma non se n'è accorto nessuno. In ogni caso, è dal 1998, l'anno dell'affaire-Festina al Tour, che non è passato anno senza che i Nas visitassero la corsa rosa. Ma io dico: se la loro presenza è discreta, perché no? Sposo ciò che scrisse una volta Cannavò: "Invitiamoli", che vengano al Giro e ci si fermino, così siamo tutti più sereni».
Quest'ingombrante presenza poliziesca è uno dei motivi per cui negli anni passati tante squadre straniere hanno girato al largo dal Giro?
«Immagino di sì, alcuni avevano e forse hanno ancora dei debiti con la giustizia italiana, e ciò mi conferma che la mamma degli imbecilli è sempre incinta».
Poi però è venuto il Pro Tour e le cose sono un po' cambiate: tralasciando i danni che provoca a corse e squadre di seconda fascia, non si può negare che la riforma Uci abbia elevato di molto il livello medio delle starting list del Giro rispetto al 2004.
«Si sa come la penso sul Pro Tour, è una riforma non piramidale che non fa che dividere, creando un cartello su cui alcuni possono permettersi di vivere di rendita. Di certo il Pro Tour ha modificato l'atteggiamento in corsa, ma non direi che il livello sia migliorato tanto: i big italiani ci sarebbero comunque stati, e per il resto l'anno scorso la cosa migliore che alcune squadre hanno portato è stata l'autobus... e noi non siamo tour operator».
Sì, ma si parlava di livello medio: i big quelli sono, ma sono migliorati gli schieramenti intorno a loro, e oltre alla vostra moral suasion e alla cronosquadre, il Pro Tour avrà avuto un ruolo.
«Ribadisco: abbiamo operato squadra per squadra sui management, per spingere i diesse a portare formazioni all'altezza. E nonostante ciò, anche quest'anno ho visto delle formazioni allarmanti tra quelle che prenderanno il via. Certo, ammetto che magari una Quick Step con Bettini non sarebbe venuta se non ci fosse il Pro Tour».
Dei tanti stranieri che mancano, chi avrebbe voluto?
«In assoluto, ho due rammarichi: Boonen e Vinokourov».
In effetti guardi la cartina di alcune tappe e non puoi non pensare al kazako. Ma rammarichi perché c'era stata qualche possibilità di portarli al Giro?
«No, nessuna possibilità, purtroppo».
Meglio un Ullrich sempre staccato, o un Ullrich assente?
«Meglio presente. Lui ha sempre avuto un rapporto conflittuale col Giro, anche nel 2001 venne che era malaticcio, con la bronchite, ma poi uscì bene dalla corsa rosa e al Tour fu l'anno in cui diede maggiormente filo da torcere ad Armstrong. Io penso che fino alla fine possa far qualcosa di buono, e credo che nella crono di Pontedera potremmo vedere il vero Ullrich».
Quando avrà già dieci minuti di ritardo dai migliori...
«Lo so che non verrà al Giro per vincere, ma nel 2001 per esempio caratterizzò fortemente la tappa di Sanremo. Un Ullrich visibile, e bene, almeno in una frazione, spero e credo di poterlo vedere».
Capitolo wild card: l'anno scorso avevate la sfera magica, o pesò il marchio Selle Italia, che sponsorizza anche il Giro, a fronte di altre squadre sulla carta più meritevoli di quella di Savio?
«Macché sponsor, queste sono chiacchiere messe in giro dalle squadre escluse. No, avevamo valutato i risultati, e Rujano era il leader della classifica Uci Continental delle Americhe. I colombiani, poi, hanno sempre onorato il Giro, anche quando erano gli unici stranieri presenti. Poi devo dire che Rujano e Parra hanno confermato la bontà del loro invito; è che noi di ciclismo ne capiamo poco, ma ogni tanto abbiamo dei colpi di fortuna... In realtà ci informiamo, seguiamo tutto, e càpita che ci prendiamo nelle nostre scelte».
Anche stavolta le wild card saranno Panaria e Selle Italia; nulla da dire, meritevoli. Quel è però la prima delle non elette?
«La Navigators».
La Navigators?
«Ma no, è una provocazione! Non lo so, una vale l'altra, forse mi intrigava qualche vecchietto arzillo della L.P.R., ma in realtà il problema non me lo sono proprio posto, tanto è vero che avremmo avuto tempo per ufficializzare le wild card fino al 5 marzo, ma eravamo tanto convinti della scelta che ne abbiamo diffuso i nomi sin dal 26 febbraio».
A che punto è la questione col Pro Tour?
«C'è un progetto di accordo che è condiviso dalle squadre, dagli organizzatori e dai corridori, e credo alla fin fine anche dall'Uci. Le trattative sono in corso, e spero che quanto prima si giunga ad una conclusione».
Qual è la dirimente? Il numero delle squadre?
«Senz'altro le squadre devono scendere almeno a 18».
State lavorando per far vedere di più il Giro all'estero?
«Dopo molti anni il Giro tornerà in chiaro in Spagna, e copriremo tutti i continenti. Per la prima volta saremo anche in Cina, dove quotidianamente ChinaChannelTv diffonderà gli highlights delle tappe. Il Giro è l'evento sportivo italiano più visto nel mondo».
Più del campionato di calcio?
«No, beh, col calcio non mi metto nemmeno in competizione».
Nell'ottica di una maggiore visibilità nel mondo, pare però che non cogliate fino in fondo le potenzialità di internet: è come avere una Ferrari e guidarla sempre in seconda; solo a una settimana dal Giro il sito ufficiale è stato aggiornato, e c'è da dire che non ha un dominio suo ma dipende dalla Gazzetta, che non è stata seguita per nulla la marcia di avvicinamento dei big alla corsa rosa, che c'erano poche informazioni ai tifosi che avessero voluto organizzare una trasferta in Italia al seguito delle tappe.
«Io sono un grande fruitore di internet, e mi rendo conto che queste sono critiche che sgorgano dal cuore degli internauti. Riguardo al dominio, non ci costerebbe niente averne uno dedicato, ma è una scelta: il Giro è figlio della Gazzetta, e ci piace sottolinearlo. Di certo, però, presteremo maggior attenzione, faremo qualcosa per migliorare in futuro. In fondo io sono qui solo dal 1° settembre 2004, e mi pare che comunque qualche passo in avanti sia stato fatto. Siamo molto attenti alla comunicazione, in quest'ottica - mi ripeto - va letto lo sforzo che abbiamo fatto per mandare le immagini del Giro in Cina, e anche in Australia, o in Sudafrica, o in America e in Giappone. Certo, se mi è consentita una piccola battuta, speravamo anche noi che il vostro sito desse più spazio al Giro!».
Avete in serbo qualcosa di nuovo, sul sito ufficiale, per l'edizione di quest'anno?
«Vedremo. Avremo le cronache in diretta, che sono il momento in cui il sito della Gazzetta ha in assoluto più visite, anche più di quante ne abbia durante Mondiali o Olimpiadi. Stiamo studiando dei siti ad hoc per la Milano-Sanremo e il Giro di Lombardia».
Non crede che l'informazione che si fa su internet sia un po' snobbata dai canali per così dire ufficiali?
«No, non credo; Rcs Media Group ha fatto forti acquisizioni in questo campo tra il 2005 e il 2006, segno che ci crede. Da parte mia vedo delle discrepanze, tipiche delle cose nate troppo in fretta. Esempio: è paradossale che si chieda ad una soubrette di dire la sua sull'ingresso dell'Italia nell'euro».
Ma queste cose succedono a "Porta a Porta", non certo da noi!
«Sì, ma è per dire che non si può chiedere opinioni a chiunque su qualunque cosa, e questo su internet invece càpita spesso: la competenza dovrebbe essere certificata; ecco, forse ci vorrebbe un'autocertificazione».
In questo senso possiamo dire di essere al limite sulla stessa barca con la tv.
«E non è detto che sia la barca giusta...».
Si dice che lei abbia un carattere ruvido. Che risponde?
«Rispondo di sì, lo ammetto. È come i genitori, uno se li trova, e così il carattere uno non se lo può scegliere. Ma poi in realtà non sono così ruvido, suvvia. Chi è che dice che lo sono? Lo trucidiamo subito...».
Qual è la tappa che le piacerebbe disegnare?
«Una tappa in cui ci sia la cultura sportiva di Goddet e la genialità di Torriani, entrambe inarrivabili. Torriani ha inventato tutto, la cronosquadre, la cronodiscesa, la Giroclinica, che resta da scoprire? Il parallelo?... Nel '46 l'Italia era in miseria, si moriva di fame dopo la guerra, ma lui riuscì a portare il Giro tra la gente, a regalare un sorriso; e nel '78 riuscì ad arrivare a Venezia, dove fino ad allora si andava al massimo a piedi o in barca».
Come vede il Giro del 2010?
«Diffuso in 140 paesi e 5 continenti, con tutti i più forti in gara».
È un obiettivo realizzabile?
«Ci lavoriamo 15 ore al giorno, domeniche comprese».
Ora che non fa più il giornalista di ciclismo ed è sopra le parti, ci dice chi legge con maggior piacere?
«Samuel Abt dell'International Herald Tribune. E poi mettiamoci anche Philippe Brunel e Pier Bergonzi».
E in tv? Secondo lei il Giro viene raccontato bene, o c'è qualcosa da limare?
«Credo che il ciclismo sia difficilissimo da raccontare in televisione: possono esserci pause infinite da riempire, o momenti di esaltazione difficili da rendere a parole. A me piaceva Chappaz, della televisione francese, e poi Albertini della Televisione Svizzera. Ma ammetto di essere un po' retrò in queste cose».
Si diverte? Il Giro in fondo, diciamocelo, è un bel giocattolo.
«È una macchina infernale, più che un giocattolo. Mi diverto quando parte, perché evidentemente tutto è a posto, e in Corso Venezia, a Milano, quando finisce. In mezzo ci sono troppi momenti di tensione, per godersi la corsa, anche se in qualche tappa di montagna, specie quando il telefonino non prende e sei tu in mezzo ai moloch, solo, si riescono a vivere degli attimi di straordinaria serenità: come si dice, la montagna mette tutti al loro posto».
Al di là dell'equidistanza richiesta dal ruolo, ha un corridore per cui tifa e che spera vinca?
«Sì, ma è un segreto, ve lo dico il 29!».
L'importante è che ci sia.
«In cambio però vi do una notizia: proprio oggi debutta al mio fianco Alessandro Giannelli, mio assistente, che è qui con me».
Ma Giannelli fu il primo a usare la radiolina, ad andare in giro con l'auricolare nell'orecchio. Proprio lei, glielo tiri un po', quell'orecchio.
«Sì, lo so. Difatti ha l'otite».