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Dal Trentino con furore - Cunego, Simoni, Sella, Rujano: ok!

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Che cosa ci restituisce questo Giro del Trentino 2006? A prima vista si direbbe principalmente luci; ma qualche ombra, a voler fare i pignoli, si trova.
Partiamo proprio da queste ultime, così ci togliamo il dente: il posizionamento della corsa delle mele in calendario è veramente pessimo. Schiacciato tra l'Amstel Gold Race e la Liegi-Bastogne-Liegi, e in concomitanza con la Freccia Vallone e con altre corse a tappe minori (Bassa Sassonia in Germania, La Rioja in Spagna, per non dire del Giro della Georgia, che comunque, essendo dall'altra parte del globo, non confligge con la gara italiana).
E pensare che appena una settimana prima, subito dopo la Parigi-Roubaix, non c'è praticamente niente nel menu dei professionisti (la Settimana Lombarda è corsa che possiamo definire - senza tema di offesa - semipro'). È proprio impossibile anticipare il Trentino di 7 giorni? Agli organizzatori giova proprio tanto quella sistemazione in calendario? In effetti le corse italiane declinano per una serie di problemi strutturali, per la natura matrigna del Pro Tour, ma anche perché non vengono presi questi piccoli accorgimenti. Per dire e per restare in tema: perché il Giro dell'Appennino è stato piazzato nel giorno della Liegi? Non sapevano, i bravi organizzatori di Pontedecimo, che così avrebbero depauperato la lista di partenti (e infatti Cunego, ma anche il vincitore uscente Simoni... ma ne parliamo dopo).
Quindi, per tirare le fila del discorso, la conclusione è: va benissimo vincere o ottenere buoni risultati in una corsa come il Giro del Trentino. Ma fatalmente, se il campo dei partecipanti è limitato a 2 o 3 grossi nomi e poi ad una serie sterminata di comprimari, il peso specifico di tali risultati viene depresso in maniera evidente.
Piccola postilla sui percorsi, poi: da un Giro del Trentino ci si aspetterebbe una tappa impegnativa in più; o perlomeno che una delle due che vengono affrontate (secondo lo schema "due frazioni difficili, una insidiosa, una facile") comprenda una salita dura vicino all'arrivo. Ormai si è capito che quanto più una corsa è caratterizzata, tanto più desta interesse e stimola chi la corre a fare bene. Viceversa, si avrebbe una serie infinita di giri e giretti uno fotocopia dell'altro, senza che il vincere qui o là significhi chissacché.
Detto ciò, passiamo alle liete novelle. Mazzanti la conferma e Bennati il ritorno: il Trentino si è aperto e chiuso nel segno di questi due ottimi atleti. Il primo lo attendiamo, oltre che nelle imminenti classiche italiane (dall'Appennino a Larciano al Toscana), nelle tappe miste del Giro, laddove potrà giocarsi le sue carte per vincere qualcosa (l'anno scorso ci riuscì in seguito alla squalifica di Bettini a Frosinone), nelle giornate in cui non dovrà consacrarsi al lavoro di gregariato per Sella.
Il secondo non sarà alla corsa rosa, ma proverà a prendersi il Giro di Toscana, prima di riproporsi più avanti nella stagione: guai fisici gli hanno fatto saltare tutte le classiche a cui teneva (dalla Sanremo al Fiandre, per cui si era preparato in maniera certosina), ora avrà voglia di riscatto sufficiente a vincere con una gamba almeno 10 corse da qui a ottobre.
Alla terza tappa, poi, intermezzo spagnolo con David Muñoz, primo al termina di una giornata da fughe. Bene anche questo, un esponente di una Professional iberica che interrompe il rosario italiano: intanto si internazionalizza un minimo la storia di questa edizione della corsa, e poi si dà visibilità alle formazioni di seconda fascia, tanto bistrattate dalla riforma Pro Tour. Era un vecchio progetto di Di Rocco, creare un circuito parallelo fondato sul libero scambio di partecipazioni nelle corse minori: le squadre spagnole corrono in Italia, quelle italiane in Spagna.
E poi, per venire ai big, alla lotta vera, quella per la classifica (che comunque ha coinvolto anche il già citato Mazzanti, secondo alla fine), ecco Cunego, in discreto spolvero. Presente davanti nella prima frazione, vittorioso nella seconda, impegnato a controllare nelle altre due. Damiano ha scoperto - parole sue - di avere una squadra fortissima, in questi giorni Szmyd, per fare un nome, è stato protagonista di prestazioni superlative. Ma anche il resto della Lampre gira bene, e si vede che siamo dalle parti del tutti per uno, visto che i gregari non possono più fare confusione tra due D'Artagnan.
Il separato in casa del 2005 (non per colpa sua, sia chiaro), Gilberto Simoni, si è trovato su un percorso non proprio adatto a sé (morbido, morbido), ma non si è tirato indietro, e ha conteso fino all'ultimo metro quell'unica vittoria proprio a Cunego. Inutile sottolineare che se non fosse stato Damiano a dirigersi verso la vittoria, Simoni non avrebbe estratto dal cilindro una volata tanto convinta. E va bene così, va benissimo, perché quante più rivalità ci sono, e quanto più sono incrociate, tanto più il Giro d'Italia sarà una corsa memorabile, con mille temi tecnici, tattici, polemici, soprattutto spettacolari.
Cunego quest'anno è tutta un'altra pasta rispetto a dodici mesi fa. Ha scelto un approccio morbido alla stagione, esattamente come nel 2004 dei miracoli; e ha vinto presto, togliendosi il pensiero e correndo senza troppi assilli; senza nemmeno l'assillo di dover fare meglio - giova ricordarlo - di un co-capitano. Tutti per lui. E lui ci va a nozze, si impone alla Coppi & Bartali, al Giro d'Oro, al Trentino. Affronta avversari più docili rispetto a quelli che incontrò nel 2005 tra Paesi Baschi, Ardenne e Romandia. E acquista, o meglio RIacquista fiducia nei propri mezzi, messi in dubbio per tutta la stagione scorsa e per l'inizio di quella in corso da troppi malfidati.
Dopodiché, ciliegina, andrà a fare la Liegi. Si è accorto di star bene, e allora perché non provarci? Lì in Belgio c'è Basso che aspetta, e che (percezione diffusissima nell'ambiente) domenica vuol lasciare un segno di quelli pesanti. A livello di immagine, Cunego (e la Lampre) non possono permettere che Ivan faccia il diavolo a quattro in una delle corse più importanti del calendario, mentre Damiano sverna in Liguria (nel pur nobile Giro dell'Appennino). E così si parte e si va, a contrastare il rivale nel primo faccia a faccia stagionale.
E certo che, Basso o non Basso, la stagione di Cunego ha molto più senso quest'anno di quanto non lo avesse nel 2005, quando davvero - lo diciamo a posteriori - si pretese un po' troppo dal veronese: un giovane, giovanissimo, che si doveva confermare al Giro, doveva esordire col botto nelle Ardenne, doveva fare esperienza al Tour, doveva gestire una rivalità interna con Simoni. Eddai, troppa roba per uno con due gambe sole e una testa presa tra l'altro in problemi più grandi del ciclismo, come ad esempio la nascita (inattesa e felicissima) di una bimba.
Stavolta invece profilo più basso, certo reso preferibile e necessario dall'annata nera appena alle spalle. Cunego ha potuto ripartire con calma, facendo i ritiri e non le feste, allenandosi e non vivendo da globetrotter. I frutti si stanno vedendo: ha vinto il Trentino, come nel 2004. Il segnale è forte.
Dietro di lui, tra i monti della regione più a nord d'Italia, Simoni. Nella seconda tappa, e - più staccato - in classifica. Ma Gibo c'è e lotta con noi, sta venendo fuori bene, per ora si fa un viaggetto a Liegi pure lui, e sarà quel che sarà; ma di certo c'è che tra un mese sarà veramente uno dei fari della corsa rosa. Così come potrebbe esserlo quell'Emanuele Sella che ha attaccato diverse volte, nella breve corsa finita oggi, e che pur non lasciando segni sul podio ha dimostrato di esserci, e di tenere le ruote di due dei favoriti d'oro del Giro. E anche per lui vale quanto detto per Simoni: non erano, queste del Trentino, le tappe dure in cui Sella possa emergere.
Un bravo ovviamente anche a Ratti (bentornato!) e Tonti, visti veramente bene, rappresentanti di squadre Professional che arderebbero dal desiderio di correrlo, il Giro, ma non potranno; e - segnatamente per Tonti - professionisti con la P maiuscola, che si allenano bene anche quando restano senza squadra, e dimostrano tutto il loro valore non appena trovano una nuova sistemazione. Menzione anche per Degasperi, che nel suo piccolo ha onorato con una bella fuga il fresco ingaggio nella Flaminia.
E poi, per finire, non si può non parlare di quel matto di Rujano. Non sapremo mai, forse (o lo sapremo: stiamo a vedere), perché mai si è reso protagonista di quel patetico tira e molla con Savio: un tira e molla che lo porta alla vigilia del Giro più duro che memoria ricordi (e quindi il più adatto alle doti del venezuelano) in ritardo di condizione. Accidentaccio, quel ritmo gara che non ha, quel fondo ancora da costruire, a chi li dobbiamo imputare? A lui e al suo procuratore? Al diesse e alla squadra? Fatto sta che Rujano, con un giorno di gara nelle gambe, ha saputo tenere le ruote dei migliori nella prima frazione, limitando successivamente i danni.
È facile dire: se avesse fatto il bravo, ora il Giro avrebbe un ulteriore favoritissimo; così non è andata. Ma le prossime tre settimane (ci comprendiamo anche la prima di corsa rosa) ci diranno se Rujano avrà recuperato il gap dagli altri (e se succedesse, davvero non ci saranno più dubbi sulla sua natura di fuoriclasse), e potrà quindi giocarsi il Giro sulle montagne; o se dovrà rinviare a data da destinarsi le sue mire su una grande corsa a tappe. Certo, nel piccolo rimpianto, c'è una grande consolazione: alla fine Rujano c'è, farà il Giro, darà - si spera - spettacolo. Tutto è bene quel che finisce bene, o no?

Marco Grassi



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