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Cassani: Giro equilibrato - «E chi c'è saprà dare spettacolo»

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A cinque giorni dall'inizio della corsa rosa, c'è qualcuno che il Giro d'Italia se lo è già fatto. Si tratta di Davide Cassani, famoso ormai non solo come voce del commento tecnico delle telecronache al fianco di Auro Bulbarelli, ma anche come ricognitore ufficiale per la Rai delle tappe della corsa italiana più attesa. Sabato 29 aprile Davide ha terminato il suo Giro d'Italia, visionando come sempre tutte le tappe in programma: siamo andati a sentire le sue impressioni, in modo particolare su quelle frazioni che possono risultare decisive ai fini della classifica finale.
Partiamo dall'ottava tappa, quella con arrivo sul Passo Lanciano.
«Secondo me già lì avremo qualche risposta, perché la salita è lunga quasi 11 km ed è molto impegnativa. Di solito il primo arrivo in salita di un Giro d'Italia fa sempre male a qualcuno. Inoltre se andiamo a vedere le passate edizioni vediamo che chi ha fatto bene sul primo arrivo in salita poi ha vinto il Giro: l'anno scorso ha vinto Savoldelli, due anni fa Simoni con Cunego secondo, tre anni fa Garzelli con Simoni secondo, e Simoni, Cunego e Savoldelli poi quei giri li vinsero. Quest'anno il favorito è Di Luca, perché quella è la sua salita, lì fa i suoi test e la conosce al centimetro. Insomma, già qui si avrà un bell'esame: non è una salita micidiale come percentuali di pendenza, ma è un arrivo in salita vero».
Qualche giorno dopo si arriva a La Thuile, con il San Carlo subito prima dell'arrivo.
«Quella è una salita proprio brutta. Brutta nel senso che è molto dura. Sono 10 km al 10% dal primo all'ultimo, e negli ultimi tre km c'è anche un bel drittone. Essendo a 6,5 km dall'arrivo tempo di recuperare non ce n'è, e tante volte una salita secca posta alla fine di una tappa fa più male di tante salite messe insieme. Questa sarà una tappa molto molto pericolosa, soprattutto per la classifica, perché in una salita di 10 km le differenze si fanno sentire. Secondo me quel giorno gli uomini di classifica non arriveranno insieme».
Tre giorni dopo la Rovato-Monte Bondone, con un altro arrivo in salita.
«Lì praticamente c'è solo il Bondone da scalare perché il Lodrino e il Passo d'Ampola non sono duri. Potrebbe essere una tappa da fughe, ma fughe di corridori di secondo piano, quindi i migliori arriveranno all'inizio del Bondone tutti insieme. Questa è una salita lunga, ma non mi sembra che possa creare selezione, perciò i migliori potrebbero arrivare tutti insieme fino all'ultimo chilometro e sfilacciarsi un po' sulla volata. Quindi sì, il Bondone è un arrivo in salita, a cui comunque bisogna prestare attenzione, ma per quanto riguarda la classifica secondo me cambierà poco... a meno che non succeda quel che successe 50 anni fa. Poi sono d'accordo sul fatto che abbiano tolto il Maniva, perché una salita così dura e così lontana dal traguardo, visto anche tutto quello che già c'è in questo Giro d'Italia, è stato meglio eliminarla».
E il giorno dopo si arriva su quello che è ormai il simbolo di questo Giro: il Plan de Corones. Sei andato a vederlo insieme a Cunego...
«Siamo saliti con i gatti delle nevi. Non si può dare un giudizio, perché è talmente fuori dal comune come salita che bisognerà solamente vedere come se la sbrigheranno i corridori. Noi abbiamo visto un sentiero, abbiamo visto una strada che si arrampica sulla montagna, ed è veramente fuori dal comune, io non ho mai visto una cosa del genere. Hanno assicurato che in questo mese la tratteranno, creando un fondo simile all'asfalto, solo un po' più ruvido. Penso che sarà davvero un problema questa salita, perché già prima faranno il Passo delle Erbe, che è lungo anche se non troppo duro, e già lì saliranno per un'ora e venti e si comincerà a consumare energie. Poi ci sarà il Furcia, che ha 3-4 km molto impegnativi, e dove tra l'altro due anni fa Cunego se ne andò. E infine, quando si arriva sul Furcia, ci sono questi 5,3 km con l'ultimo chilometro sinceramente impossibile, e a quel punto nessuno può prevedere cosa succederà. L'unica cosa che i corridori possono fare quando comincia questo tratto è salire ognuno del proprio passo, fregarsene altamente di quello che li circonda e salire senza reagire minimamente all'attacco di altri corridori, perché altrimenti in questo ultimo chilometro molti saranno costretti ad andare su a piedi».
Quindi questa tappa può essere davvero quella decisiva?
«Può esserlo come molte altre, perché questa corsa è davvero difficile e ricca di salite e trabocchetti; il Giro lo si può perdere anche, e soprattutto, in questa tappa, ma non solo».
Chi vedi bene su una salita così?
«Vedo bene uno come Simoni, o uno come Cunego: Simoni ha vinto sull'Angliru e sullo Zoncolan, che sono salite simili a questa, mentre Cunego è un corridore che va su molto agile e che su strade del genere, se è in giornata buona, può dire la sua. Corridori invece come Savoldelli e Basso qui dovranno soprattutto difendersi».
Secondo te mettere questa salita è stata un'esagerazione o una buona trovata?
«Lo saprò dire solo dopo che sarà stata fatta, perché a guardarla ora direi che è stata un'esagerazione, ma visto che hanno assicurato che faranno di tutto per renderla spettacolare potrebbe anche essere una buona idea. Però lo si può dire solo dopo. Lo Zoncolan fu una buona trovata; poi se il Plan andrà oltre a ciò che è il Giro d'Italia e a ciò che è il ciclismo lo scopriremo solo poi, ma senza dubbio è stata una buona scommessa da parte degli organizzatori e da parte del comitato del Plan de Corones che ha proposto una salita simile».
Il giorno dopo si arriva a Gemona dopo l'inedita salita del Cuel di Forchia.
«È una tappa dove non dovrebbe succedere niente, però è una tappa difficile, una di quelle in cui se uno non ha niente da perdere potrebbe anche azzardare qualche cosa. Il Cuel di Forchia è una salita di 8 km con tratti al 18%, e ripeto: 18%, però è lontana dal traguardo. Ma dopo c'è un altro strappo a 24 km dall'arrivo che ha punte al 15%, a 11 km dall'arrivo ancora uno strappo al 13%, ed è una tappa lunga, che viene dopo il Plan de Corones e prima di altri due tapponi dolomitici. Quindi potrebbe essere la classica tappa in cui non succede niente, con una fuga da lontano da parte di uomini fuori classifica, come potrebbe darsi invece che qualcuno ormai tagliato fuori dai giochi possa azzardare qualcosa per rientrare in classifica: percorso e terreno ci sono. Anche questa insomma è una tappa da prendere con le pinze».
All'indomani poi c'è l'ultimo arrivo in salita, con la Pordenone-San Pellegrino.
«È una delle tappe più difficili, ci sono quasi 5.000 metri di dislivello, c'è la Marmolada, c'è il Pordoi e il San Pellegrino. Qui la teoria mi dice che ai piedi del San Pellegrino arriveranno una cinquantina di corridori tutti insieme, perché il Fedaia a 80 km dall'arrivo non dovrebbe creare grande confusione; però se la corsa dovesse infiammarsi già sulla Marmolada anche qui potrà succedere l'imprevedibile, perché alcuni corridori possono rimanere senza squadra e la corsa può diventare ingestibile. Potrebbe succedere di tutto. E poi il Pordoi non è durissimo: in confronto a tutte queste difficoltà è una salita quasi normalissima, visto che ha 700 metri di dislivello in 12 km. Però succede che dopo sei ore e tre quarti in bici c'è da fare il Passo San Pellegrino, e anche quello ha 3 km al 15%: qualcuno rischia di rimanere senza benzina, e se rimani senza benzina lì prendi un minuto al chilometro...».
E infine, il tappone Trento-Aprica...
«E lì facciamo bingo. Perché abbiamo il Tonale, il Gavia e il Mortirolo, che a differenza di due anni fa è alla fine e non all'inizio. E un Mortirolo a 30 km dall'arrivo, dopo tutto quello che hanno scalato i corridori, si può solo immaginare. Inoltre, un'altra differenza rispetto a due anni fa è che allora la tappa misurava 130 km, questa volta è molto lunga, oltre i 200, quindi ci saranno altre sette ore di bicicletta. Se saranno tutti stanchi, cercheranno di portare la bicicletta all'arrivo e nessuno azzarderà niente; però penso che essendo l'ultima tappa qualcuno tenterà anche qui l'impossibile. La classifica qui sarà già più o meno definita, però se ci sarà qualcuno che avrà qualcosa in più degli altri nelle gambe e nella testa avrà terreno per poter sconvolgere la classifica generale. Non sarà facile, perché le forze saranno equilibrate, dal momento che quando si è tutti stanchi è molto più difficile fare la differenza. Anche questa è una di quelle tappe in cui potrebbe non succedere niente come potrebbe uscire rivoluzionato il Giro».
Riguardo alle crono: le hai provate tutte, quanto pensi che possano pesare sulla classifica?
«Possono contare molto perché sono crono per passisti, sia quella di
Pontedera che la cronosquadre sono completamente pianeggianti, senza curve, non si toccano mai i freni, bisogna usare sempre il massimo rapporto e sempre stare in posizione aerodinamica, e quindi qui uno scalatore paga dazio. E anche tanto. Uno scalatore munito di una squadra debole per le crono, da uno come Basso, che è forte in salita ed è ha una squadra forte a cronometro, può prendere anche 4-5 minuti, e sono tanti».
Questo Giro ti sembra equilibrato?
«Lo è abbastanza, mi sembra che favorisca chi va forte in salita; poi se va forte anche a cronometro tanto di guadagnato. Ci sono 94 km contro il tempo, però di salita ce n'è molta di più. Quindi mi sembra un Giro per fondisti, per gente che ha tanta tanta energia da spendere. E soprattutto un Giro in cui bisogna usare la testa».
Un Giro troppo duro?
«Se devo dare un giudizio a priori mi sembra un Giro molto bello. Perché ci sono i personaggi che ci possono dare la possibilità di gustarci un grande spettacolo, un grande Giro d'Italia. Io non ero d'accordo su quei Giri in cui c'erano undici o dodici tappe per velocisti, mi sembravano esagerati. Quindi un Giro con sei-sette tappe per velocisti, poi un po' di tappe intermedie, e tante salite potrebbe essere molto più interessante. Però, come ho detto prima, guardiamo prima come i corridori lo affronteranno: un giudizio lo potremo dare soltanto alla fine».

Elisa Marchesan



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