«Precedenza a chi paga in Italia» - Intervista a Baldini, tm OTC-Lauretana
Versione stampabileIn mezzo a piccoli e grandi gruppi sportivi italiani, impegnati nella stagione iniziata da poco, fa capolino la OTC Doors-Lauretana, formazione esordiente nel panorama professionistico. Anche se ha più senso parlare di semiprofessionismo, vista la qualifica di Continental che la squadra toscana ha richiesto - e ottenuto - per questo suo primo anno. Ne parliamo con Pier Giovanni Baldini, team manager del sodalizio.
Con che progetti e prospettive vi avviate a questa nuova avventura?
«Abbiamo due buoni sponsor a livello nazionale: la Lauretana ha già sponsorizzato il Giro d'Italia 2005, la OTC si sta ben collocando nel suo settore; io personalmente vengo da 10 anni passati tra i dilettanti a buoni livelli (con Saeco e Pratesi). Non abbiamo - lo riconosco - atleti di livello eccelso, ma sono giovani che potranno far bene in futuro».
Come mai lei ha deciso di fare il grande salto verso i professionisti?
«È una questione di stimoli. Ci sono degli obiettivi che nella vita è importante perseguire, e io, dopo 10 anni tra i dilettanti, un po' di quegli stimoli li avevo persi. Così, con gli sponsor, abbiamo deciso di fare il salto di qualità, e tra l'altro bisogna dire che una squadra di dilettanti costa, se la si allestisce con grandi nomi; quei nomi che poi, in ogni caso, verranno strattonati per tutto l'anno dalle squadre che li vogliono ingaggiare tra i pro'. Quindi, tanto vale farlo noi, il passaggio».
Ci puo descrivere i suoi corridori?
«I più forti ed esperti sono Burrow, che aspetto nelle gare a tappe (non è mai andato oltre l'undicesima-dodicesima posizione in quelle che ha disputato e portato a termine), Borghesi, adatto ai percorsi misti, e Luhovyy, abbastanza veloce. Su di loro punto per avere qualche buon risultato».
E sugli altri, i più giovani?
«Per gli altri sarà dura emergere, almeno quest'anno. Ma ho voluto circondarmi di gente che già conoscevo, un po' perché tra le intenzioni c'era anche quella di radicare la formazione nel territorio, con corridori della zona dell'alta Toscana; e un po' perché preferisco lavorare con ragazzi con cui ho già un buon feeling, tecnico e soprattutto umano. Quest'anno sarà impegnativo anche per me, sarò preso da mille novità che potrebbero lasciarmi meno tempo per stare con la squadra, e per questo mi fa piacere essere protetto sul lato umano, dei rapporti nel team, cosa che mi è garantita, appunto, dal conoscere già bene questi atleti. I neopro' che passano con la OTC-Lauretana erano già con me tra i dilettanti: quindi con Bindi, Lasurdi, Ricciardi, Genovesi abbiamo già fatto un tratto di strada insieme. Signego l'ho preso appunto per il discorso "geografico", per creare un movimento nella zona. Lui è di queste parti, così come Borghesi, Lasurdi, Ricciardi e Genovesi».
E poi c'è Kiryienka. Che forse però si è un po' spremuto tra i dilettanti.
«No, no, non penso. Era molto conteso da squadre importanti, ha fatto grandi cose. Anche Bindi, che correva già con lui nella Grassi-Pantani, mi conferma che è un ragazzo in gamba. Certo, fa cose che non restano inosservate, va in fuga spesso, si dà tanto. In inverno ha fatto le 6 giorni, è stato con la nazionale della pista della Bielorussia. In un certo senso lo sto ancora studiando, ma posso sin da ora considerare che Vasil quest'anno compirà 25 anni, e il 2005 è stata la sua prima vera stagione da stradista. Per questo credo che non sia spremuto, che non abbia fatto un'attività esasperata prima di passare tra i pro'».
Avete solo 9 corridori, un organico ridotto all'osso.
«La mentalità a cui ci ispiriamo è quella di seguire questi giovani passo dopo passo, creare un gruppo unito, non lasciarli mai da soli. Io ho fatto il massaggiatore tra i professionisti dal 1986 al 1996, anche nella Mapei, e conosco bene questo mondo, anche perché i corridori si confidavano molto con me: tra i pro' ci si aspetta che l'atleta si gestisca da solo, che sappia in partenza tante cose del mestiere. I miei invece hanno bisogno di essere seguiti, consigliati, coperti di attenzioni, perché non vadano allo sbaraglio a causa della loro inesperienza. È esattamente quello che faremo: sono pochi, possiamo dedicarci completamente a loro».
Pensa che comunque tornerete sul mercato per ingaggiare qualche altro corridore?
«No, sicuramente no. La Fci ha equiparato noi Continental, a livello di stipendi minimi, di fidejussioni e garanzie da presentare, di contributi da pagare, alle squadre Professional. E per noi che siamo affiliati in Italia e che paghiamo per intero queste spese, diventa impossibile pensare di mettere sotto contratto quei tre o quattro corridori in più. Altri (7 squadre di matrice italiana su 16, per la precisione) hanno invece scelto di affiliarsi all'estero per pagare meno tasse, e possono così permettersi di allestire squadre più competitive. Noi, in ogni caso, bastiamo a noi stessi: faremo attività unica, quindi per ogni gara saranno impegnati 6-8 corridori, e averne due o tre in più significherebbe doverne lasciare sempre qualcuno a casa, e non è mai bello lasciare fuori dei ragazzi».
Che budget avete a disposizione?
«All'inizio avevamo predisposto 750mila euro per l'intera stagione. Poi, con la nostra equiparazione alle Professional decisa dalla Federciclismo, le spese sono cresciute e siamo arrivati a un milione di euro. A noi un corridore costa 42-43mila euro all'anno, poi ci sono gli stipendi allo staff, le spese di gestione, spostamenti, alberghi, e in più, essendo nuovi, abbiamo dovuto dotarci di tutta una serie di attrezzature e mezzi, a partire dal camion del team».
Le pare più una giungla il mondo dei dilettanti o quello delle Continental?
«Penso che i team Continental abbiano già un loro peso nel panorama ciclistico. È chiaro che non siamo squadre Pro Tour, che non circolino grossi ingaggi, ma per i giovani approdare in una Continental è un modo per avvicinarsi al professionismo vero, gradualmente. Non dobbiamo scimmiottare il Pro Tour, dobbiamo solo aiutare questi giovani».
Anche se poi c'è chi sceglie di passare praticamente dagli juniores al Pro Tour, con appena pochi mesi di apprendistato tra i dilettanti: è il caso di Capecchi, tanto per fare un nome.
«Sì, succede, ma di rado. Io credo che una crescita graduale sia fondamentale per non bruciare le tappe».
Che ci dice del Pro Tour? Rende tutto più difficile per le piccole realtà?
«Così com'è strutturato, sarà un problema grosso. Ma a me, sinceramente, più che il Pro Tour, interessa il mio ambito, che non è esente da problemi».
Ce ne parli pure.
«Noi abbiamo sponsor italiani, puntiamo a farci vedere nel nostro paese, anche se non possiamo nemmeno sognare, ovviamente, il Giro, la Sanremo, la Tirreno, il Lombardia; ma alle altre corse vogliamo esserci, a partire dalla Milano-Torino e dal Provincia di Lucca. Noi, lo ripeto, siamo affiliati in Italia, la legge 91 ci impone certi rapporti contrattuali, paghiamo i contributi in Italia, eppure rischiamo di non essere invitati a certe corse: noi siamo in regola, ma gli organizzatori sono autonomi, e può capitare che decidano di non invitarci. Poi, si capisce bene che noi nasciamo ora, e se non ci facciamo vedere, se non siamo presenti, andiamo in difficoltà, e gli sponsor possono anche decidere di andare via. Invece chi si affilia all'estero gioca sul velluto, risparmia centinaia di migliaia di euro di tasse e può investire quei soldi in altre maniere».
La lingua batte dove il dente duole.
«È facile risparmiare 200mila euro di tasse e poi sponsorizzare il Giro d'Italia, facendosi per questo invitare».
Ogni riferimento alla Selle Italia è puramente casuale...
«La Federciclismo ci convoca a inizio anno, ci chiede di affiliarci in Italia, e lo chiede anche a chi in passato era fuori. Ma poi i Savio, i Reverberi, sono forti, e vanno all'estero, tanto poi il Giro lo fanno lo stesso. Invece la Fci e la Accpi dovrebbero accordarsi con gli organizzatori perché venga data la precedenza a chi è affiliato in Italia».
Comunque, anche se qualcuno - la Panaria - emigra, qualcuno che torna in Italia c'è: la Miche, per esempio.
«Sì, ma restano troppe le squadre italiane che sono all'estero. Ma anche a livello politico: se la Fci si presenta all'Uci con un movimento in cui la metà delle squadre sono affiliate in altri paesi, che peso vuole avere? È chiaro che la dimostrazione che diamo è quella di una forza che scricchiola. Questa situazione non è visibile in nessun altro paese del mondo in cui il ciclismo è ad alti livelli. La Fci deve, e sottolineo deve, stimolare gli organizzatori in questo senso, bisogna dare più spazio a chi dà maggiori garanzie ai corridori per mezzo dell'affiliazione in Italia e del rispetto delle leggi del nostro paese. Anche se poi sarebbe bello che tutte queste spese che sopportiamo venissero alleviate: siamo svantaggiati anche a livello superiore, a livello Pro Tour, una Liquigas paga il 42% di tasse, all'estero non è così».
Tornando all'aspetto tecnico, per quante vittorie mette la firma quest'anno?
«Una, una vittoria. Sarei già contentissimo».
Internet: lo segue, le interessa, che ne pensa?
«Sì, guardo molto i siti internet, quando mi è possibile leggo tutto quello trovo. È uno strumento eccezionale per divulgare le notizie, è innovativo, è fondamentale, infatti abbiamo voluto creare un nostro sito molto completo e ricco di informazioni. E c'è da dire che il nostro lavoro è più snello grazie a voi».
Noi, noi di Cicloweb?
«Sì».