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«Pieri è la nostra scommessa» - Intervista a Piscina, tm L.P.R.

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Omar Piscina, Team Manager del Team L.P.R., fin da ragazzo legato al ciclismo, sport e passione trasmessigli dal padre. Per lui e il suo team la stagione 2005 è senz'altro da incorniciare. Spiccano l'esplosione di Danilo Napolitano, il secondo velocista italiano in quanto a numero di successi ottenuti, nella scorsa stagione, dopo Petacchi, ma anche molte altre vittorie ottenute da tutta la squadra. Il Team L.P.R. si appresta a gareggiare per il terzo anno nei professionisti con rinnovate ambizioni ma con lo stesso spirito che fin qui l'ha contraddistinto: scommettere su giovani promettenti e su corridori maturi ancora desiderosi di far bene.
18 Vittorie nel 2005, un bel biglietto da visita.
«La stagione della squadra è stata ottima, perché i risultati, oltre che numerosi, sono stati di qualità. Quando abbiamo cominciato a vincere all'inizio dell'anno, speravamo di centrare qualche bel risultato in Italia, anche se le prime vittorie arrivavano dall'estero. Questo per far conoscere la società, considerando che siamo solo al secondo anno di attività, e per imporre all'attenzione pubblica i ragazzi, alcuni dei quali molto giovani. Era importante vincere qualcosa di bello in Italia e i risultati sono arrivati. Le splendide vittorie di Aggiano alla Coppi & Bartali e di Muraglia in una bellissima tappa del Giro del Trentino a cui sono seguite poi le perle di Napolitano. Insomma, i risultati sono arrivati numerosi, ma soprattutto con quella qualità che sinceramente non ci aspettavamo. Quindi la stagione è stata senza ombra di dubbio splendida e al tempo stesso sarà difficile da ripetere».
Qual è stata la nota più positiva del suo team?
«Sicuramente Danilo Napolitano, della cui esplosione un pochettino rivendico anche la paternità. Nel senso che molte volte io e lui, trovandoci in macchina alle corse, si chiacchierava del fatto che avesse centrato 7 vittorie e numerosi piazzamenti, però mi diceva anche che se non fossi stato io a metà del 2004 a dargli la chance di passare, non sa se avrebbe continuato a correre in bicicletta».
Come mai questa sfiducia nei propri mezzi?
«Danilo ha vinto tanto in tutte le categorie in cui ha cors, però purtroppo si è sempre portato dietro l'etichetta del corridore grasso, che avrebbe avuto delle difficoltà a reggere sui percorsi un po' più impegnativi e sulle lunghe distanze, inoltre qualcuno diceva che era anche un po' lazzarone. Sono cose per un certo verso vere, però lui ha dimostrato, nel momento in cui gli è stata offerta la possibilità, di non sprecarla, anzi si è messo di buona lena, cercando di limare i suoi difettucci. Alla fine ha saputo sfruttare la grande qualità che madre natura gli ha dato, per cui la nota migliore è senz'altro stata Danilo».
La nota stonata invece?
«È sempre difficile rispondere a queste domande un po' cattivelle, ma forse chi ha un poco deluso è stato Mauro Santambrogio, perché pensiamo che abbia le qualità per emergere e ci si aspettava grandi cose da lui».
Per quale motivo?
«Perché è etichettato per essere un predestinato, uno di quei corridori a cui, quando vinceva già da allievo e junior, veniva preannunciato un grande futuro. Aveva dimostrato nel 2004 di poter emergere in questo ambiente, facendo delle ottime corse e ottenendo dei buoni risultati. Nel 2005 ci si aspettava qualcosa in più, magari in corse di seconda fascia. Invece è un po' mancato, infatti alla fine dell'estate abbiamo concordato assieme a lui e a Giuseppe Martinelli, col quale comunque si era già discusso di un eventuale passaggio alla Lampre, di farlo passare con loro già da quest'anno, cercando di dargli nuovi stimoli col cambiamento di ambiente».
Ha comunque vinto una corsa.
«Sì, ma il livello qualitativo era quel che era... i successi bisogna saperli anche pesare. Per me la corsa migliore che ha fatto è il Trofeo Laigueglia, dove è arrivato 9°. A questo punto mi aspettavo da lui un bel mondiale Under 23, in quanto doveva avere un'esperienza superiore, essendo al secondo anno fra i professionisti. Inoltre le caratteristiche del percorso si addicevano magnificamente alle sue qualità. Purtroppo per lui, ma anche per noi, il suo trend stagionale è stato quello di alternare alti e bassi, senza una certa continuità, ma soprattutto, aveva programmato bene con Fusi e con la nazionale l'appuntamento di Madrid dove però ha fallito».
L.P.R.: team di giovani ma anche di "senatori" come Konyshev e Tonkov; cosa ha portato i due vostri corridori più longevi a intraprendere due strade diverse?
«Pavel è stato un professionista impeccabile fino al periodo del Giro d'Italia, nutrendo, fino all'ultimo minuto, la speranza che la squadra potesse essere invitata. Tant'è che proprio in prossimità della corsa rosa ha vinto la classifica finale e il tappone della Clasica a Alcobendas in Spagna, segno che era in una buona condizione fisica. Poi da lì in avanti, essendogli mancato lo stimolo agonistico del grande appuntamento, ha incominciato a tirare i remi in barca e, con molta onestà, ha detto allo staff di non avere più gli stimoli e di sentirsi più degli altri gli anni addosso. Chi fa corse a tappe con l'obbiettivo di fare classifica prende delle belle "tirate di collo", a differenza magari di altri atleti, più adatti alle corse di un giorno, come Konyshev, che credo abbia trovato l'elisir di lunga vita nel fatto che magari non si è mai spremuto al massimo. Bastava guardarli da vicino. Era impressionante soffermarsi a notare le gambe di Pavel, piene di vene, gambe che avevano fatto una marea di fatica e di chilometri. Invece Dimitri sembra ancora un ragazzino di 25 anni! Anche dal punto di vista caratteriale è completamente diverso da Pavel, che assomiglia più al classico russo introverso e taciturno, mentre Dimitri in questo è molto più italiano, sa stare allo scherzo e alla battuta. Penso che fondamentalmente lui abbia deciso di continuare a correre perché, oltre ad avere la possibilità di dare ancora la zampata del campione, in questa squadra lui si diverte. Tonkov, nelle ultime corse, eravamo indecisi se schierarlo o meno. Continuava ad inanellare ritiri su ritiri, questo anche dopo pochi chilometri, d'altronde quando ti mancano gli stimoli c'è poco da fare. Però lui si è comportato da professionista sino alla fine, dicendo che se a noi e agli organizzatori faceva piacere avere Tonkov nelle griglie di partenza e al via delle gare, lui avrebbe onorato fino alla fine il suo contratto e in questo si è dimostrato un signore. Io credo anche che abbia smesso da campione, senza farsi penare come invece qualcuno fa...».
Le vostre campagne acquisti hanno sempre puntato sulle scommesse e sui rilanci.
«Credo che la fortuna della nostra squadra sia stata, soprattutto lo scorso anno, ma anche nel 2004, quella di avere mixato bene l'esperienza di corridori più maturi all'esuberanza di giovani atleti di qualità».
Come proseguirete con questa filosofia?
«Per sopperire alla perdita di Tonkov è stato ingaggiato Valoti, sono poi rimasti comunque Aggiano, Contrini e lo stesso Konishev, che già avevano svolto il loro ruolo predefinito in squadra. Sono arrivati ragazzi di talento, che hanno già dimostrato di esserci in determinate competizioni, come Ermeti, molto sfortunato lo scorso anno, e Iannetti, che è uno scalatore di valore, rimasto un po' chiuso nella sua precedente squadra, a causa di alcune divergenze. E poi, soprattutto, abbiamo scommesso su due velocisti, uno neoprofessionista e l'altro molto giovane, che però, guarda caso, erano gli unici due che davano del filo da torcere a Napolitano in ambito dilettantistico».
Come fa ad essere così convinto dei loro mezzi?
«Io vengo dai dilettanti, ho fatto il ds per 4 anni alla Maserati-Synclean, per cui spesso e volentieri assistevo ai duelli fra Marzoli e Napolitano o fra lo stesso Napolitano e Gavazzi. Credo che se qualcuno aveva le possibilità per batterlo negli Under 23, avrà queste possibilità anche tra i professionisti. Peraltro stiamo parlando di atleti entrambi più giovani di Danilo, perché Marzoli è dell'84 e Gavazzi è dell'83, mentre Danilo è dell'81. Per cui la campagna acquisti sui velocisti è stata fatta in quest'ottica. Tra l'altro credo che abbiano qualità anche differenti: Marzoli è un velocista puro, che credo potrà diventare l'erede dell'Ivan Quaranta di qualche anno fa, perché possiede proprio la zampata negli ultimi metri, mentre Gavazzi è un velocista più completo, in grado di tenere sui percorsi un pochino più impegnativi ed è in possesso di una volata più lunga e potente. Credo che si possano completare bene, anche se siamo consci del fatto che stiamo investendo in due scommesse, seppur giovani».
Vedremo ancora Marzoli in pista, sulle orme di Ivan Quaranta?
«No, pista assolutamente no, perché credo che il discorso dell'inseguimento, dell'individuale e dell'americana possa essere compatibile con la strada, ma a livello di velocità, cioè quello che finora lui ha sempre fatto, è richiesta una specializzazione tale, che non va d'accordo con quello che è l'ambito della strada».
Perché?
«I velocisti che vincono le Olimpiadi o i Campionati del Mondo di velocità sono atleti da 100-110 Kg, tutti muscoli, con delle grosse capacità anaerobiche ma con pochissime capacità aerobiche. Samuele invece se vuole fare carriera su strada deve cercare di migliorare un po' in salita e sulla distanza. Se poi vuole comunque partecipare allo show della Sei Giorni di Fiorenzuola, dove corre in casa, la società è ben felice di accontentarlo. Però un'attività su pista di alto livello non rientra nei programmi».
Valoti per Tonkov, altra scommessa paragonando le carriere?
«Ci piacciono le scommesse, cosa possiamo farci? Scherzi a parte, Paolo ha avuto una carriera condizionata da molti infortuni e da tanta sfortuna, ma è anche vero, nonostante non sia più un ragazzino, che nelle gambe non ha tanti anni completi di attività. A me è piaciuta molto l'umiltà che lui ha dimostrato dopo l'affare Ferretti finito disgraziatamente. Umiltà con cui si è riproposto e rimesso in discussione, in una struttura più piccola, con un tipo di attività minore. Lui ha accettato con entusiasmo la nostra proposta e di questo sono contento. Da quest'anno, cercherà di fare un buon inizio di stagione. Lui ha delle doti spiccate col caldo, ed è sempre andato forte nei mesi estivi, però ora che ha una certa età, spera di essere competitivo già per la Milano-Sanremo».
A proposito di scommesse, una bella grossa fa di nome Dario.
«Il nome Pieri, in una squadra come L.P.R., è importante e ancora abbastanza prestigioso. Purtroppo in questi ultimi anni Dario può recitare soltanto il "mea culpa", perché da un predestinato per vincere le corse del nord a un ciccione in bicicletta ne passa di differenza (ride)».
Per quale motivo ha corso lo scorso finale di stagione con voi?
«Quando abbiamo trovato l'accordo, allungandogli per l'ennesima volta la mano, ci siamo detti che forse non aveva senso per lui rimanere ancora due mesi alla Lampre, dove non lo facevano gareggiare perché era indecente da portare alle corse. Abbiamo quindi pensato che fosse meglio ingaggiarlo subito, utilizzando quei due mesi che rimanevano per incominciare a conoscerlo, seguirlo e programmare un regime alimentare adatto alle sue caratteristiche, in modo da trovarsi più avanti con il lavoro in questa stagione. Per questo motivo dal Giro di Romagna l'avete visto ai nastri di partenza con la nostra divisa».
Ne è valsa la pena?
«Abbiamo avuto inizialmente un ottimo riscontro, perché effettivamente alle corse presentatosi in maglia L.P.R. era più magro rispetto alle sue ultime uscite. Poi dopo c'è stato un momento di stasi, coinciso con la fine della stagione, quando magari si è rilassato un attimo. Invece in questi ultimi due mesi posso garantire che si è messo a lavorare sodo e, ad oggi, i dati che stiamo raccogliendo sono confortanti, non credo che sarà pimpante per le primissime corse, però se riusciamo a tirarlo a lucido già per la metà di marzo non sarebbe male».
La buona cucina sembra essere sempre il suo tallone d'Achille, come fate a contenerlo?
«Tutti noi abbiamo i nostri vizi, il problema è che il suo fa a pugni con il mestiere che svolge e purtroppo se gli si dà carta bianca sul mangiare fa veramente paura!».
Che soluzione avete adottato?
«Io non posso pranzare e cenare assieme a lui per controllarlo, e non possono farlo nemmeno Maini e Damiani. Certo qualche volta lo facciamo volentieri, però poi deve essere bravo lui a controllarsi. La società, ad oggi, sta compiendo degli sforzi umani ed economici notevoli, perché due volte alla settimana, a turno, Maini e Damiani scendono in Toscana a San Vincenzo, dove l'abbiamo portato ad allenarsi, per seguire esclusivamente lui. Per fargli compagnia gli affianchiamo sempre un suo compagno, spesso Aggiano o qualche giovane. Questo è ciò che stiamo facendo, proprio per cercare di portarlo ad un livello atletico buono, in modo tale che lui possa riscoprire il piacere di allenarsi e di fare fatica. Sulla carta il progetto è bello, è difficile, però è una scommessa su cui abbiamo puntato molto e solitamente ci piace vincere!».
Avete da poco ricevuto, con la wild card, la certezza della partecipazione alla Parigi-Roubaix. Merito della presenza di Pieri in squadra?
«Noi abbiamo fatto le richieste di invito alle gare del nord, dove abbiamo riscontrato, anche da parte degli organizzatori di gare come la 3 Giorni di La Panne e la Het Volk, un grande interesse nell'avere al via un corridore come Pieri in forma. Sono convinti che sia uno dei pochi corridori italiani capace di entusiasmare in quel tipo di corsa. Il fatto che sia finito in una squadra di seconda fascia non dà loro fastidio, l'importante è che presentiamo alla partenza un Pieri atleticamente a posto».
Quali saranno i vostri obbiettivi per il 2006?
«Quando siamo ripartiti lo scorso anno il nostro obbiettivo era ottenere una vittoria in più del 2004 in cui ne avevamo centrate due, quindi portandone a casa tre eravamo già soddisfatti. Direi che per questa stagione il nostro obbiettivo sarà quello di vincere una corsa in più del 2005, non sarà facile, perché 19 corse sono veramente tante, però credo anche che abbiamo in squadra corridori vincenti che se messi nella giusta condizione possono fare bene».
Ambite ad una wild card per il Giro d'Italia?
«Non nascondo che stiamo guardando con molto interesse la disputa fra Pro Tour e organizzatori dei tre grandi giri, con la speranza, credo condivisa da molti, che tutto salti e che il ciclismo torni ad essere un poco più democratico, dove ci sia la possibilità un po' per tutti di essere invitati. Credo che il nostro organico sia all'altezza di disputare un discreto Giro d'Italia».
Cosa ne pensa del percorso 2006?
«Sono un po' masochista e perciò mi piace tantissimo! E immagino che anche per gli spettatori sia bello vedere il corridore che fa fatica in salita».
I velocisti si sono lamentati della durezza del tracciato.
«Effettivamente è un po' troppo sbilanciato in favore degli scalatori, ci sono meno chance per i velocisti e i chilometri a cronometro sono quel che sono. Comunque l'Italia per conformazione è questa, per cui preferisco una tappa alpina in più che non una monotona dalle parti di Cremona, Piacenza o Parma con arrivo a ranghi compatti. Per questo c'è già il Tour che ci fa dormire ogni anno per le prime 10 tappe! (ride)».
Annullata la cronoscalata al Ghisallo rimangono comunque 94 chilometri a cronometro.
«Credo che nella cronosquadre di 38 chilometri i distacchi non saranno elevatissimi».
Nella cronosquadre non ci saranno gli "sbarramenti"; non pensa che una Csc potrebbe dare molti minuti ad una Selle Italia?
«Se non portano le biciclette da cronometro come nel 2005 credo di sì! (ride)».
Quindi pur con questo handicap, Rujano è andato molto forte anche a cronometro lo scorso anno?
«Vi posso dire che quest'anno abbiamo ingaggiato un venezuelano (Carlos Ochoa, ndr), consigliatoci proprio da José, un '80 molto interessante con all'attivo delle buone prestazioni alla Vuelta al Táchira, ma che soprattutto è l'eterno piazzato alle spalle proprio di Rujano. Ochoa mi diceva che tutti catalogano Rujano come uno scalatore, che è vero, però fa impressione quanto vada forte anche a cronometro. Perciò se non ha i classici colpi di testa dei sudamericani, continuando a lavorare e ad applicarsi, mantenendo uno stile di vita consono ad un'atleta, penso possa veramente imporsi in importanti gare nei prossimi anni».
Secondo lei non rischia di "bruciarsi", con la rottura con Savio e l'eventuale passaggio alla Quick Step?
«La gestione è sempre importante, ma penso sia in possesso del talento per sfondare. A me piace tantissimo e per certi versi mi ricorda Pantani».
Non le pare un paragone un tantino rischioso oltre che azzardato?
«Si, è un accostamento da fare con cautela, ma ogni tanto, in qualche immagine televisiva, quando rilancia la bicicletta, così piccolo e minuto, se chiudo gli occhi i sembra di rivedere Marco...».
Chi è stato il miglior corridore del 2005?
«Non sono mai stato un suo tifoso, ma lo sono diventato, perciò dico Ivan Basso».
Come mai questo sbilanciamento?
«Perché l'ho sempre ammirato tantissimo come uomo, anche per una mia vicenda personale, per l'educazione che ha sempre avuto. Ma mi sembrava un po' troppo molle, aveva paura a fare proclami, era poco battagliero. Dal 2005 invece ha tolto un po' la maschera, incominciando a dire quello che pensa, come vede le corse e come le vuole interpretare. Soprattutto ha incominciato a dimostrare che ha veramente le possibilità per fare bene. In questo momento è in assoluto il corridore che più mi piace».
Se non siamo indiscreti, ci racconta della sua personale vicenda legata a Basso?
«È un episodio che ricordo con piacere anche se avvenuto in un momento molto triste per me. Nel 1997 è morto mio padre, che era direttore sportivo, e fra i telegrammi di condoglianze che mi sono pervenuti, conservo ancora a casa quello di un ragazzino di diciannove anni, firmato Ivan Basso. Secondo me, già allora dimostrava di avere una marcia in più rispetto agli altri, facendo le condoglianze ad un direttore sportivo conosciuto alle corse. Questo è l'Ivan Basso "uomo", che non tutti, ovviamente, possono conoscere».
Il giovane che più l'ha stupita nel 2005?
«In assoluto Danilo Napolitano».
Chi saranno le sorprese di questo 2006?
«Mi auguro Samuele Marzoli e Mattia Gavazzi (ride)».
2005: rivoluzione Pro Tour. Cosa non le va dell'attuale regolamento?
«Auspicherei un po' di democraticità in più, perché in questo momento è una lobby, un circolo chiuso e vizioso. Non voglio che il Pro Tour fallisca, perché comunque ha portato qualità in seno al movimento, però contesto l'alto numero delle squadre che va assolutamente ridotto portandolo a 14-15 team. Anche perché numericamente non c'è il materiale umano per fare 20 squadre Pro Tour. Si è giunti a fine anno con team iscritti alle corse con 6 atleti e imbottiti di stagisti di 20 anni, ingaggiati con la falsa illusione di un passaggio tra i professionisti. Inoltre ci dovrebbe essere la possibilità, per chi ne ha i meriti, di essere promosso nel Pro Tour e quindi anche per chi ha demeriti di venire retrocesso. Non è ammissibile che una squadra con lo sponsor facoltoso possa acquistare la licenza e tenerla per 4 anni. Se questo è sport devono esserci dei meriti in gioco».
Quali team avrebbero meritato la promozione e quali la retrocessione?
«Ad esempio la Panaria che nel 2005 ha vinto la classifica delle squadre non Pro Tour, doveva essere quanto meno interpellata, invece ci sono delle condizioni assurde. La squadra dei Reverberi ha fatto molto spesso una bellissima figura, anche al cospetto di team Pro Tour. Per farci un'idea basta che analizziamo il numero di vittorie, più 2 tappe al Giro d'Italia, 1 giorno in maglia rosa, le gare in cui ha anche solo lottato con le squadre Pro Tour, l'organico di buon livello in cui troviamo un Sella che non ha nessun problema a restare davanti con i migliori. Io credo che sia veramente una bella struttura, molto meglio di una Bouygues Telecom o di una Euskaltel Euskadi, che quest'anno non hanno combinato nulla».
I famosi casi Heras e Armstrong gettano ombre sul movimento ciclistico?
«Lo danneggiano assolutamente. Riguardo al caso Heras, credo che il corridore farebbe meglio a starsene zitto. Se l'hanno trovato positivo, è giusto che sconti la sua squalifica, perché in fondo credo che le regole in questo momento siano abbastanza chiare, per cui se le controanalisi hanno confermato la positività, che si prenda i suoi due anni, o quello che giustamente gli spetta e che sconti la sua squalifica. Io trovo assurdo che una squadra guidata da uno che ha fatto del Pro Tour una propria scommessa, sia incappato credo in 2-3 controlli antidoping. Dovrebbe farci riflettere sull'effettivo valore del tanto decantato "Codice Etico"! Per quel che concerne il caso Armstrong, indipendentemente dal fatto che dica di non avere mai assunto eritropoietina, che non so se sia vero, lo saprà lui, dico che se 6 anni fa l'Epo non veniva trovata, per cui in qualche modo era permesso usarla, non andrei a ripescare la questione dopo così tanto tempo. Armstrong di fatto ai controlli antidoping non è mai risultato positivo e questo secondo me deve essere il succo del discorso. Poi sul fatto che sia antipatico e che sia brutto vedere un campione che va forte solo 20 giorni all'anno, possiamo stare qui a scrivere un libro».
Agli occhi dello sportivo "medio" il ciclismo appare come lo sport "dopato" per eccellenza, come screditerebbe queste idee?
«Io ho frequentato il Liceo Scientifico e dai testi che ho letto sul mondo greco, risultava come già allora gli atleti usassero pozioni magiche per affrontare i combattimenti nelle arene. Il doping è sempre esistito e sempre esisterà, come è sempre esistita la speculazione fiscale e sempre esisterà, per questo noi italiani siamo dei maestri, autori del detto: "Fatta la legge, trovato l'inganno". Per cui voglio dire che la lotta al doping ci deve essere, ma bisogna anche equipararla in tutti gli sport. Perché non è possibile che un prodotto sia dopante per un ciclista e non lo sia per uno sciatore o per un calciatore. Quello che è considerato doping, lo deve essere per tutti e di conseguenza anche le pene devono essere uniformate. In modo tale che se i ciclisti si faranno beccare più volte, indicherà che sono più stupidi e inseriti in un ambiente marcio, però perlomeno subiranno gli stessi controlli, in cui vengono ricercate le stesse sostanze, e puniti con le stesse squalifiche degli altri sport. Sennò passeremo sempre per i cattivi. È assurdo che gli sciatori che fanno discese a 120 all'ora, con due cosce da far paura, vengano a dire che le hanno sviluppate con l'elettrostimolatore e poi non gli si fanno i controlli antidoping... finiamola di raccontarci le barzellette. Credo che debba essere ricercato un metodo uguale per tutti, in cui i disonesti ci saranno comunque, però a quel punto magari speriamo di averne qualcuno in meno noi e qualcuno in più gli altri».
Come mai il ciclismo trova poco spazio nel palinsesto televisivo?
«In mancanza di un buona copertura da parte dei media, il ciclismo è un prodotto difficilmente vendibile. Ad esempio un colosso come Mediaset, dovrebbe interessarsene un po' di più, mentre penso che la Rai qualcosa stia già provando ad abbozzare. Adesso purtroppo ci sono anche le TV a pagamento che portano via una bella fetta di gare e non tutti in Italia hanno ancora adottato questo sistema nelle case».
Che rapporto avete con internet?
«Come team ciclistico abbiamo da poco rinnovato il nostro sito internet (
www.teamlpr.it), arricchendolo nei contenuti e rendendo la grafica più gradevole e accattivante, tutto questo per avvicinarci con un altro prezioso strumento, quale è il Web, ai nostri appassionati. Personalmente lo uso molto, sia per lavoro che per reperire informazioni di vario genere, frequentando spesso anche la vostra community».
Si riferisce al nostro Forum?
«Certo! Lo conosco bene (ride), avete un forum che è senza pietà (ride ancora di più). No, battute a parte, diciamo che presentate anche la voce dei tifosi, in positivo e in negativo, a volte si leggono commenti buoni, a volte commenti un po' più pepati, insomma è giusto anche sapere cosa pensa la gente degli atleti e degli addetti ai lavori».
È iscritto sotto false sembianze?
«No, non sono iscritto, mi soffermo a leggerlo appena si parla di noi, invece i miei corridori sono degli assidui frequentatori e spesso se ne escono con frasi "colorite" tipo: "cacchio hai letto Cicloweb?" e a quel punto, se non l'ho già fatto vado a vedermi le notizie che ci riguardano. Complimenti, è un bel sito».
Fra i nostri 1000 utenti abbiamo anche alcuni professionisti vincenti, se ne è accorto?
«Se vi riferite a Danilo direi di sì (ride)! Gli avevo detto io di rispondere di persona ai commenti, peraltro alcuni molto positivi, per ringraziare i tifosi e, da quello che ho potuto vedere recentemente, ci deve aver preso gusto!

Andrea Sacconi



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