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Figueras dice stop alla iella - «Lampre, grazie per la fiducia»

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Che stagioni, le ultime due, per Giuliano Figueras: l'ultima con la Ceramica Panaria, anno 2004, brillante fino al primo riposo del Giro d'Italia, riposo affrontato da 5° in Classifica Generale e che, invece di relax, gli fornì soltanto i presupposti per una cotta clamorosa l'indomani, nella prima tappa al ritorno in corsa; quella dell'anno scorso, la prima in maglia Lampre, nel 2005, iniziata benino col 2° posto al GP di Chiasso e rovinatasi nella corsa dove, l'anno prima, il napoletano aveva conquistato la sua ultima vittoria: la Settimana Internazionale Coppi & Bartali. Prima tappa, volatone di gruppo, e forse per non incappare in una caduta nelle retrovie Figueras si ritrova in testa al plotone... ma ugualmente a terra.
Patirà la frattura del bacino e l'allontanamento dalle corse: neanche il 2° posto al Trofeo Città di Castelfidardo, dietro a Murilo Fischer, è riuscito a ridargli il colpo di pedale. Un anno e mezzo quasi da cancellare, motivazioni tutte nuove e, per dare un segnale fisico, anche rasatura a zero a testimoniare che nel 2006, insomma, si inizierà da capo.
Crediamo che per Giuliano Figueras l'importante sia vivere la stagione 2006 senza intoppi né interruzioni. Come hai passato l'inverno tra l'anno passato e quello che verrà?
«Il 2005 è stato sfortunato, e sicuramente da dimenticare. Poi è subentrata una situazione psicologica negativa dipesa dal fatto che tutto andava storto. Soprattutto l'ultimo mese non era tanto la condizione atletica a mancare, ma la voglia: insistevo, ma i risultati non venivano. Il riposo mi è servito per metterci una pietra sopra; quando le cose si inceppano è inutile insisterci. Tanto vale voltare pagina e ricominciare. Sono stato un periodo alle Canarie e sono certo di aver ritrovato, soprattutto moralmente, la voglia di tornare ad essere protagonista».
Chi ti ha aiutato nel sorpassare l'impedimento psicologico? Ti sei affidato alla famiglia o hai chiesto aiuto allo staff del team?
«Prettamente mi sono affidato alla famiglia. Nei momenti bui credo che le persone che ti possono aiutare di più siano quelle che hai maggiormente a stretto contatto e quelle che conosci meglio: la moglie, i genitori, le persone con cui vivi. Certo che esistono anche altri tipi di aiuti, ma credo che non avrebbero portato più benefici di quanti ce ne sono stati, almeno nel mio caso. In particolare ringrazio mia moglie, che soprattutto nel mese di dicembre, con l'aiuto dei miei suoceri, mi ha aiutato moltissimo».
Nel computo di un numero esiguo di corridori meridionali nel professionismo, la Lampre ha formato una piccola colonia con due siciliani come Napolitano e Tiralongo e due campani come Commesso e Figueras. È davvero più difficile diventare un professionista, al Sud?
«Sicuramente ci sono dei problemi di viabilità, ma questi credo che colpiscano anche il nord. Anzi, credo che nel "profondo" sud ci sia molto meno traffico che a Bologna, che è il posto dove vivo e che cito come esempio. La situazione a Napoli è differente da tutte le altre e la tralascio. Verso Caserta e Benevento, però, ci sono belle zone dove ci si può allenare davvero bene. Credo piuttosto che il problema derivi da un'informazione non adeguata presso i giovani e dal fatto che i ragazzi difficilmente possano provare a coltivare questa passione, qualora ci fosse».
Tu come iniziasti?
«Mi mise su una bicicletta mio padre, e di solito si inizia così. Il papà ti tramanda le passioni che ha, e magari uno si ritrova calciatore o avvocato perché il papà gli ha trasmesso tali passioni. Per un giovane andare in bici è stupendo e poi se consideriamo qualche piccola vittoria, come succedeva a me, allora le soddisfazioni ti ripagano anche degli sforzi. Ho corso in Campania fino al primo anno di Allievi, mentre già al secondo mi dovetti trasferire in Lombardia, e poi in Veneto, per continuare a correre seriamente. Vicino a casa mia non c'erano squadre, io volevo fare il ciclista al 100%, e per ottenere questo ho dovuto vivere molto poco il Sud».
Al Giro d'Italia 2004, durante l'ultimo anno alla Ceramica Panaria, ti abbiamo visto fino al giorno di riposo molto pimpante in salita. C'è il rischio che per far fronte alle esigenze di uno sponsor che aveva la vetrina più importante in una corsa a tappe l'allora capitano del team, più portato alle classiche, sia stato un pochino snaturato?
«Per i risultati avuti anche da giovane, io sono sempre stato un corridore portato a far bene nelle corse di un giorno, nelle cosiddette "classiche". Magari c'è stata anche qualche vittoria in alcune brevi corse a tappe, ma è certo che le mie qualità non sono da uomo di classifica in un Grande Giro. D'altra parte la Ceramica Panaria viveva il suo appuntamento più importante con il Giro d'Italia, io ero il capitano della squadra e, non avendo l'opportunità di partecipare alle classiche a me più congeniali, a parte il Giro di Lombardia, anche per me il Giro era una vetrina importante, e far bene nella corsa rosa mi avrebbe portato comunque visibilità e prestigio. Nella Lampre ho la possibilità di esprimermi su quelli che sono i terreni migliori per me, anche se nel 2005 tutto ciò non è stato possibile per gli infortuni patiti alla Coppi & Bartali prima e quelli successivi a catena. Sinceramente non so bene collocarmi neanche in questo tipo di corse a dire la verità, perché le classiche delle Ardenne le ho disputate soltanto con la Mapei durante il secondo anno da professionista, mentre per quelle italiane come la Sanremo ed il Lombardia, anche con la Panaria, nelle poche occasioni che ho avuto, sono stato in grado di dire la mia. Sicuramente non ho avuto i risultati che tutti, me per primo, si aspettavano; ma so che il tempo a mia disposizione non è ancora finito e di occasioni per cercare di ottenere qualche bel risultato ne avrò ancora qualcuna».
Quale tra le classiche ti affascina di più?
«Per noi italiani la Milano-Sanremo è la corsa più sentita e quella più affascinante, però devo confessare che ho, ed ho sempre avuto, un debole per la Liegi-Bastogne-Liegi. In terza battuta c'è quel Giro di Lombardia che sono andato vicinissimo a conquistare e in cui mi piacerebbe riscattare quella sconfitta».
Hai riportato alla mente la spettacolare, quanto dolorosa, caduta patita in volata nella prima tappa della Settimana Internazionale Coppi & Bartali. In quell'occasione riportasti la frattura del bacino. Da lì iniziò il calvario.
«Sono stato parecchio fermo, quasi due mesi senza toccare la bicicletta. Vi lascio immaginare il rientro, molto, ma molto difficoltoso e doloroso. Tornato in bici, dopo dieci giorni di allenamenti sono caduto e mi sono fratturato la spalla. Fortunatamente la frattura non era grave e mi ha permesso di allenarmi, anche se ha rallentato il tutto. Il rientro all'agonismo verso luglio, qualche piazzamentino, ma la forma non arrivava mai definitivamente ed anche andando alla Vuelta le cose non sono migliorate. Sicuramente un anno nero, ma la squadra mi ha dimostrato fiducia e mi ha rinnovato il contratto per altri due anni. Spero di ripagare questa loro fiducia con prestazioni all'altezza e con qualche buon risultato. Per me, e per loro».
Venire da un paio di annate non proprio eccelse potrebbe darti il ruolo di "outsider", e non di favorito, in parecchie corse. Te lo auguri?
«Assolutamente sì, ma non aggiungo altro per pura scaramanzia..».
Riformuliamo: l'arrivo di Ruggero Marzoli potrebbe fornire alla Lampre due ottime carte da giocare alle spalle dei favoriti "classici". Anche sotto il profilo psicologico, vedere la squadra riconfermarti e farti affiancare da un corridore di valore, è uno stimolo importante?
«La fiducia del team fa assolutamente piacere, e la voglia di ripagarla mi farà pedalare più forte. Così come l'arrivo di un bravissimo corridore come Ruggero Marzoli: io e lui possiamo davvero fare "il bello ed il cattivo tempo" in molte delle corse a cui prenderemo parte. Sicuramente. Però, ecco, anche riformulando, un po' di scaramanzia... (sorride)».
Hai già stilato il programma per il 2006?
«Dovrei iniziare con la Vuelta Valenciana, ma c'è un punto interrogativo perché lo stesso team Lampre non è ancora certo di partecipare. Se salterà la corsa spagnola si inizierà dal Giro del Mediterraneo per poi proseguire con la Tirreno-Adriatico, la Milano-Sanremo, il Giro dei Paesi Baschi, il trittico delle Ardenne ed in programma c'è anche il Giro d'Italia, anche se per la corsa rosa la scelta definitiva sarà fatta tra qualche tempo».
Se Giuliano Figueras dovesse scegliere una corsa da vincere nel 2006, quale sceglierebbe?
«A me va bene qualsiasi corsa, ci mancherebbe. Non sono proprio nella condizione di permettermi di puntare ad una corsa piuttosto che ad un'altra. Per questioni di prestigio ed anche un po' più individuali è ovvio che vincere una classica tra quelle dell'ex-Coppa del Mondo o anche un'altra qualsiasi corsa del circuito Pro Tour sarebbe per me motivo d'immenso orgoglio e mi consentirebbe anche quel salto di qualità che auspico: la Sanremo, l'Amstel, la Liegi, una tappa al Giro, una tappa al Tour, il Lombardia, sono queste le corse che, soprattutto alla mia età, fanno fare il passo decisivo».
Perché la partecipazione al Giro d'Italia è in dubbio?
«Il dubbio riguarda la condizione, e la valutazione di ciò che si sarà fatto fino ad allora. Dovrei correrlo, ma vorrei correrlo al 100% e questa certezza non c'è».
Ti aspettavi l'anno scorso un Di Luca così forte al Giro d'Italia?
«Di Luca mi sorprende solo quando va piano, perché per un corridore come lui è proprio impensabile non andar forte. Lo conosco bene, e devo dire che sì, in realtà un pochino m'ha sorpreso, ma non più di tanto».
Anche lui veniva da un paio di annate non proprio al top...
«(ride) Speriamo...».
Nel 2005 hai avuto l'opportunità di osservare (dall'esterno, tuo malgrado) il nuovo circuito Pro Tour. Pensi che alla fine dell'anno i veri valori siano stati premiati?
«Dopo un anno è difficile dare un giudizio definitivo. Certo, io pensavo di essere molto più favorevole alla creazione di un circuito d'élite, ma devo ammettere che vedere emarginate, o quasi, dai giochi formazioni come la Panaria è stato brutto. Ho maturato quindi la convinzione di preferire il sistema "vecchio", soprattutto sulla classificazione delle squadre, ma secondo me ancora dovranno passare i quattro/cinque anni che potranno fornire indicazioni più veritiere su ciò che è stato, o sarà ancora, il Pro Tour. Ma aver già cambiato qualcosa dopo un anno è già per me un cattivo segnale».
Anche perché i corridori non-Pro Tour sono totalmente estromessi, loro sì, dalle classifiche che contano.
«Conosco corridori che, difatti, hanno cercato con i denti un contratto nei team Pro Tour proprio per questo discorso, per non venire tagliati fuori dal ciclismo "che conta". È un ciclismo strano, è diventato davvero un ciclismo particolare. Anche il corridore guarda diversamente i colleghi, a seconda se siano Professional o Continental, ed anche la squadra stessa. È strano dirlo, ma sembra di guardare corridori di "serie B", anche se poi io so per certo che non è così e loro stessi lo dimostrano continuamente nelle varie corse che si disputano al di fuori dal circuito Pro Tour, come ad esempio nelle classiche agostane in Italia dove un certo Szczawinski, allora corridore Continental con la Ceramica Flaminia, arrivò davanti al leader del Pro Tour Danilo Di Luca».
Il Pro Tour è divenuto, in pratica, una sorta di discriminante?
«Un professionista dev'essere un professionista, ed il Pro Tour questo particolare lo soddisfa a metà».


Mario Casaldi

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