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«Continua il "Progetto giovani"» - Intervista a Boifava, tm Androni-3C

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Buon corridore dal '69 al '78, ma l'anno di svolta è il 1979, in cui scende di sella per salire in ammiraglia e guidare Battaglin in splendide vittorie, a cui seguiranno, sempre sotto la sua direzione, le gesta di atleti del calibro di Bontempi, Visentini, Ghirotto, Perini, Roche, Pantani, Chiappucci, Pantani e Bartoli.
Stiamo parlando del bresciano di Nuvolento Davide Boifava, che nel 2005, in qualità di team manager del Team Androni Giocattoli-3C Casalinghi, ha deciso di lanciarsi in una nuova avventura: il "Progetto giovani". Coadiuvato in ammiraglia dal neodiesse Mario Manzoni, ha fatto esordire nel professionismo ben nove giovani in un team composto da dieci atleti. Chiuso il 2005 con una vittoria e molti piazzamenti all'attivo, ha iscritto la sua squadra per la stagione 2006, da poco iniziata, alla categoria Professional, segno evidente della voglia del team di crescere e di mettersi in mostra. In attesa dell'esordio a Donoratico al GP Costa degli Etruschi il 4 febbraio, abbiamo chiesto al diretto interessato le impressioni sulla stagione scorsa e le ambizioni per quella che, a breve, vedrà impegnati lui e il suo team.
Come avete archiviato il 2005?
«È andato tutto bene, in quanto era l'anno di esordio per nove decimi dei componenti della squadra, speso da molti per fare esperienza, senza che si mettesse loro fretta. Sono ragazzi molto giovani, perciò non c'è da pretendere chissà cosa. Per quel che ci riguarda è stato un anno comunque positivo».
In che modo giudica in generale l'operato del suo team?
«Si sono comportati tutti molto bene, tanto che, assieme agli attuali sponsor, abbiamo pensato di fare un salto e diventare Professional, aumentando l'organico a 14 uomini con l'inserimento di altri ragazzi promettenti, con i quali intendiamo andare avanti nel "Progetto giovani"».
Mario Manzoni ha debuttato nelle vesti di diesse; quanto è stato importante per i suoi ragazzi?
«Mario ha fatto un ottimo lavoro e si è calato subito nel difficile ruolo del direttore sportivo. Ma nella nostra squadra sono tutti importanti, dai meccanici ai massaggiatori, ai medici, nessuno più nessuno meno, ogni uomo è fondamentale per il raggiungimento dei traguardi comuni».
Come "chioccia" avete scelto Raffaele Ferrara, come mai?
«Raffaele veniva da un'annata molto sfortunata, complici alcuni seri problemi fisici. Secondo noi era l'uomo giusto da affiancare ai nostri giovani e ha svolto bene il suo ruolo».
Gli è mancata solo la vittoria?
«Direi di sì. È stato sfortunatissimo per la caduta a Larciano in maggio, che gli ha precluso un po' tutte le possibilità di vincere nelle gare estive e nella seconda parte di stagione, però alla fine è stato un anno positivo anche per lui, che si è ritrovato come atleta, rilanciandosi».
Sperate di fare altrettanto con Bonfanti e Kvachuk, seppur più giovani?
«L'ucraino è un ragazzo proveniente da una squadra Pro Tour; secondo me in un contesto come il nostro si troverà con più responsabilità, mettendo magari in mostra tutte le buone doti che ha dimostrato di possedere nelle categorie giovanili. Anche Bonfanti ha bisogno di trovare la giusta dimensione e noi cercheremo di metterlo nelle migliori condizioni per dimostrare tutto il suo valore».
Che cosa ci può dire riguardo ai suoi tre nuovi neoprofessionisti?
«Ho visto i risultati che hanno ottenuto fra i dilettanti, sono tutti ragazzi che hanno avuto un rendimento molto buono e soprattutto costante, durante tutta l'annata, perciò meritavano di passare».
Bellin: «Un ottimo passista, ha vinto la Freccia dei Vini e si è fatto notare anche in una impegnativa gara a tappe in Spagna».
Calligarin: «Un passista con un buono spunto veloce, potrà essere molto utile nel pilotare le volate, o anche giocarsi le proprie carte in un arrivo ristretto».
Chiarini: «Tecnicamente è un bel passista/finisseur, molto regolare durante tutta la stagione chiusa molto bene e in crescendo».
Quali sono i vostri obbiettivi per questo 2006?
«Che questi ragazzi possano maturare e dimostrare in 2-3 anni il loro valore, la loro dimensione, per poter realizzare i loro sogni».
Siete stati invitati alla presentazione del Giro d'Italia; ambite a partecipare?
«Noi pensiamo sempre in positivo, se dopo ci meriteremo la convocazione al Giro d'Italia ben venga, altrimenti lavoreremo su altre corse. Aspettiamo e ragioniamo in positivo».
Che opinione si è fatto sul percorso della prossima edizione?
«Il percorso appare molto, molto difficile, con 2-3 tappe veramente impegnative. Mi sembra un percorso che ripercorre i vecchi Giri d'Italia, dove primeggiavano i corridori che andavano forte in salita».
Secondo lei quali sono i favoriti per la vittoria finale?
«C'è ancora Simoni che mi sembra quello più quotato con gli arrivi in salita che ci sono. Savoldelli ha la maglia da difendere, ma bisognerà vedere quale squadra lo affiancherà, Basso vorrà ritentare l'assalto alla maglia rosa. Inoltre staremo a vedere la dimensione di Cunego: scopriremo se, essendo leader unico, saprà riscattare l'annata storta vissuta nel 2005».
Nella sua squadra ha lanciato 9 giovani su 10; secondo lei chi è stato il miglior giovane del 2005?
«Sono passati tanti bravi ragazzi, ma nessuno mi ha impressionato in modo particolare, anche perché alcuni sono molto giovani e bisogna aspettare almeno un paio d'anni per capire chi può dare di più o di meno».
Chi auspica come sorpresa per il 2006?
«Mi farebbe molto piacere vedere Ivan Basso, passato al professionismo con me alla Riso Scotti, che vince un Giro d'Italia o un Tour de France».
Lo scorso anno è stato introdotto il Pro Tour, vi sentite penalizzati?
«In questo momento a risentirne maggiormente è il ciclismo italiano, che è quello più ricco di squadre Professional e Continental».
Che modifiche apporterebbe, per renderlo più equo?
«Basterebbe un po' di umiltà sia da parte degli organizzatori che da parte dell'Uci, invece di dare il "diritto/dovere" di partecipazione alle gare a 20 squadre, 18 o 16 sarebbero più che sufficienti, e con l'introduzione di più wild card penso che il problema principale verrebbe risolto. Ora come ora mi sembra una lotta, in cui nessuno vuole fare un passo indietro, per ridurre i team».
Un'altra idea potrebbe anche considerare un meccanismo di retrocessione e promozione, per permettere alle squadre che se lo meritano di salire o di tornare indietro, a seconda dei risultati ottenuti.
«Io non riesco proprio a capire, tra le righe di ciò che si legge, il perché di questa insistenza nel tenere obbligatoriamente 20 team, senza lasciare spazio ad eventuali squadre che possano subentrare. In questo momento ricordiamoci che noi italiani abbiamo solo due squadre e mezza nel Pro Tour, perché quella di Stanga ha 10 corridori tedeschi più lo sponsor proveniente dalla Germania e quindi non so fino a che punto possa essere considerata italiana. Perciò, come nazione siamo quelli che ne stanno soffrendo più di tutti».
Il brutto momento che sta attraversando il ciclismo coincide con la mancanza di grossi sponsor; che effetto le ha fatto il caso Ferretti?
«È molto difficile dare un giudizio leggendo i giornali. Io personalmente reputo "Ferron", anche se non ne ha bisogno, una persona molto seria, molto concreta e sinceramente non riesco a capire cosa possa essere successo. Se ne sono dette e sentite di tutti i colori in merito a questa triste vicenda e non riesco a dare dei giudizi: visto che è una cosa molto seria non sarebbe giusto e non voglio entrare nei particolari».
Dopo i clamorosi epiloghi delle vicende di Heras e Armstrong, l'immagine del ciclismo ne esce danneggiata?
«Sicuramente. Per quanto riguarda Heras c'è la WADA che fa i controlli e lui si manifesta innocente, dichiarando che non ha usato nessuna sostanza; però se hanno fatto le analisi e le controanalisi, qualcosa ci deve essere di sbagliato. Anche in questo caso è difficile dare un giudizio, se non crediamo più nelle istituzioni, allora in cosa dobbiamo credere? Per quanto riguarda Armstrong, parlando da persona che vuole bene al ciclismo, e che da anni ci lavora, non riesco a capire perché abbiano fatto uscire questa notizia dopo 6 anni. Non riesco proprio a darmene una spiegazione».
Forse tutta la diffidenza che molti nutrono nei confronti dell'americano è generata dal fatto che lui preparasse solo il Tour de France?
«Su questo lo si può anche criticare, però ognuno, nella propria vita ha il diritto di gestirsi come meglio crede, vogliamo tutti essere i professori e insegnare agli altri come e dove devono correre. Se lui ha scelto determinati obbiettivi è perché gli andava bene; per quale motivo noi dovremo criticarlo?».
Non lo ricorderemo come un grande campione come è stato Merckx, o come è stato Hinault. Ma Indurain era molto diverso nella scelta degli obbiettivi?
«Se Armstrong ha deciso di fare questo sarà un suo problema, dovremo dire alla storia che è stato un grande solo al Tour. Però non dimentichiamoci che a 21 anni lui ha vinto il Mondiale su strada. Se poi ha deciso di prepararsi bene per il Tour, cosa dovremo dire? Possiamo criticarlo ma non sparargli addosso e dirgli che faceva questo perché era dopato».
È soddisfatto della visibilità televisiva del ciclismo in Italia?
«Secondo me la Rai trasmette abbastanza corse. Sono un po' criticabili le fasce in cui lo mostra, ma ricordiamoci che in Francia, al di fuori del Tour non fanno vedere nessuna competizione ciclistica».
Eppure molti appassionati si lamentano delle poche gare trasmesse.
«Non capisco il perché, le ore di ciclismo in Italia mi sembrano tante, che poi siano fatte in orari sballati o che non piaccia il telecronista e l'opinionista, questo é un altro discorso».
Non crede che i TG sportivi lo trattino poco?
«Sì, questa è una grave mancanza che c'è da tanto tempo, sia in tv che alla radio. È un grave vuoto che c'è sempre stato, non so per quale motivo. Per esempio Cassano che va al Real Madrid era in prima pagina su TG1, TG2 e TG5, apparendo come un grande divo, mentre Petacchi che vince 5 tappe alla Vuelta non viene nemmeno nominato non solo sui TG nazionali, ma nemmeno in quelli sportivi! Anche negli anni scorsi è sempre stato così, bisognerebbe chiederlo ai direttori di testata (ride). È proprio un tasto dolente ma fortunatamente il nostro movimento ha tanta gente che va a vedere le corse...».
Nel '78 ha appeso la bici al chiodo per salire in ammiraglia nel '79; oltre a questa attività ne svolge un'altra?
«Sì, ho fondato una azienda che da quasi un ventennio produce biciclette, le stesse che equipaggiano il nostro team ciclistico».
Che rapporto ha con le nuove tecnologie, in particolare con internet?
«Personalmente non amo molto il computer, però è divenuto sicuramente uno strumento indispensabile. Per quel che ci riguarda, come azienda abbiamo un ottimo sito internet che ci interfaccia con i nostri clienti; mentre per il team ciclistico stiamo provvedendo alla sua messa on-line, manca infatti soltanto la scelta del nome, che deve includere i nostri sponsor principali, ma risultare immediato e facilmente memorizzabile da parte dei nostri sostenitori e dei semplici appassionati delle due ruote».


Andrea Sacconi

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