CI MANCHI... ci manchi... - Pantani, due anni dopo...
Versione stampabile"Sono stato umiliato per nulla. Per quattro anni sono stato in tutti i
tribunali, perdendo così la mia voglia di essere come tanti altri sportivi. Il ciclismo ha pagato, ma molti ragazzi hanno perso la speranza della giustizia, ed io mi sto ferendo con la deposizione di una verità perché il mondo si renda conto che tutti i miei colleghi hanno subito umiliazioni di ogni genere.
So d'aver sbagliato, ma è quando la mia vita privata è stata violata, senza uno stralcio di prova, che ho perso molto. Non mi sono più sentito
sereno per la paura d'esser controllato anche in casa, in albergo, con telecamere nascoste, e sono finito per farmi male per non rinunciare alla mia intimità e degli altri colleghi, che hanno perso.
E la cosa più difficile da accettare che è stato lo stesso mondo per cui ho dato il cuore, per uno sport che mi ha visto ripartire dopo incidenti e infortuni, ma resta solo tanta tristezza e rabbia per le violenze che la giustizia è caduta nel credere.
Ma andate a vedere cos'è un ciclista, e quanti uomini vanno in mezzo alla torrida tristezza per cercare di ritornare con quei sogni di uomo che si infrangono con le droghe; ma solo dopo la mia vita di sportivo. Mi sento ferito, e tutti i ragazzi che credevano in me devono parlare.
Perché spero almeno che la mia storia sia d'esempio per gli altri, per uno sport con regole uguali per tutti. La mia speranza è che una persona vera leggendolo si ponga in difesa di chi vuole delle regole che siano finalmente uguali per tutti".
Queste le ultime parole scritte da Marco prima che la droga prendesse il sopravvento su di un animo ormai irreversibilmente ferito e deluso dall'assurdo epilogo di una delle più belle favole sportive di sempre.
Parole forti, crude, che hanno spinto le migliaia di persone segnate nel cuore dalle imprese di Marco verso una ricerca concreta della verità e non degli ipocriti racconti che per anni ci sono stati propinati dai mass media e dalla stampa.
Ed è in quell'analisi attenta e sgombra dalle influenze mediatiche che via via sono andate scemando, che un profondo senso d'ingiustizia ha accomunato l'animo di chi si è reso conto dell' incredibile accanimento che c'è stato nei confronti della persona Pantani, ancor prima che dell'atleta.
Rispetto è stata l'unica richiesta fatta dalla famiglia di Marco nei giorni immediatamente successivi alla sconvolgente sera di un S.Valentino che stava volgendo al termine nella quotidiana normalità di un giorno speciale, quel rispetto che da quel 5 Giugno 1999 troppe volte era stato calpestato per fare largo alla frenetica ansia "scoopistica" che lo vedeva ormai protagonista obbligato.
Ed ora, dopo due anni, è giusto chiederci se si è tentato di esaudire quest'ultimo desiderio che lo stesso Marco aveva lasciato intendere nelle sue ultime righe.
Abbiamo visto dare grande risalto ad alcuni aspetti degli ultimi anni di vita di Marco, in particolare al sempre più ossessivo bisogno di rifugiarsi nell'uso di sostanze stupefacenti, senza però che ci si sia chiesto il perché di quelle scelte apparentemente folli.
E ad esso accompagnato l'enfatico ricordo del Marco sportivo, di quello straordinario fuoriclasse che ha infiammato il cuore della gente come pochissimi altri hanno saputo fare: innumerevoli i gesti e le iniziative in memoria del Pantani campione, dimenticando però che a spegnersi in una modesta camera d'albergo di un residence di Rimini c'era un uomo solo, solo nonostante fossero ancora decine di migliaia le persone che, come e più di prima, erano ancora accanto a Marco, e non più solo all'atleta ma forse ancor più all'uomo.
Come spiegare quest'apparente controsenso?
Come mai non si è però dato altrettanto risalto alle parole del professor Fortuni che si rifanno all'integrità del midollo spinale di Marco, sconfessando quindi gran parte delle tesi accusatorie che lo hanno visto il maggior imputato nella crociata contro il doping nel ciclismo?
Perché non si è cercato, tranne rarissime eccezioni, puntualmente lasciate cadere nel dimenticatoio, di analizzare la vicenda che ha portato Marco ad autodistruggersi, come scrive nel suo documento, con una sincera intenzione di dare riscontro alle sue parole ed a quel disperato grido di giustizia che per anni si è limitato a lasciar intendere tra le righe ma che ha trovato la forza di ribadire ancora più forte anche negli ultimi tormentati giorni della sua vita?
Tante le domande ancora in attesa di risposte, risposte che sono ancora privilegio solo di pochi, di chi ha saputo guardare oltre una verità di massa, di facciata.
Ma se forse più passa il tempo e più ci sembra lontano il giorno in cui assaporare quella contrastante sensazione consolatrice di rendere giustizia alla parole di Marco, e soprattutto alla sua morte, è altresì evidente che né il trascorrere del tempo né tantomeno la perseveranza con cui si continuano a tralasciare le vere motivazioni che hanno portato ad una così grande tragedia, potranno mai oscurare il commosso ricordo di chi ha saputo dare un'anima alla sua bicicletta, e con le sue parole ti faceva battere forte il cuore.
Una sola speranza oggi alberga il mio cuore
rasserena il mio animo e mi fa ancora sperare
che laddove non v'e'tanta infamia e cinismo
potrai ancora tra i dei sublimare il ciclismo.
Nel pensier che la vita sia per tutti gioiosa
io non mi riconosco, troppe angosce e paure,
ma se è l'unica volta che la rende preziosa
beh la vivo e ringrazio chi mi sa far gioire.
Non è facile riempir il desidero d'amore,
l'affannosa ricerca di divine emozioni,
ancor più se a distanza, col linguaggio d'azioni
che conquistano il cuore e lo fanno vibrare.
Per dieci anni ho vissuto un mio mondo migliore,
grazie a Te mio campione e al tuo esser speciale
con il quale hai mostrato che si può ancor sognare,
insegnandomi a viver, per dei sogni da realizzare.
Come stelle cadenti che con quei brevi istanti
ci emozionan ben più dei restanti momenti,
Tu con scatti sublimi hai segnato il mio cuore
d'un ricordo indelebile ma un rimpianto maggiore,
per un mondo col mal che governa sul bene,
e che atroci guerre riesce ancor a partorire,
non poteva far altro che tagliare le vene
e ingoiare colui ch'era il suo più bel fiore
d'uno sport che è l'essenza del più alto valore
di una vita che vuol contrastar l'apparenza,
e a pedali c'invita a specchiar la coscienza,
innalzando al ciel l'uomo e rendendolo immortale.
Ed è il giorno che l'animo, tra discordi richiami,
spera e prega che incrociando valorosi campioni
altresì accomunati da beffardi destini,
incanterai l'aldilà, alla Marco Pantani!
Saint-Etienne - L'Alpe d'Huez
19 Luglio 1997
Sono passati più di otto lunghissimi anni da quello che è stato fino ad ora l'unico trionfo in giallo del Kaiser tedesco Ullrich, sicuramente un immagine un po'sbiadita nella memoria di tutti noi appassionati.
Ma nel ricordare le imprese di Marco, che in quel Tour tornò a dare spettacolo dopo le tante sfortune che gli si erano accanite contro nell'ultimo biennio, non serve armarsi di almanacchi elencanti freddi numeri e schematiche tabelle che non rendono merito ad imprese indimenticabili che si ricordano soltanto aprendo il cuore e mettendo su carta emozioni sopra incise in modo indelebile.
Era un Marco che, dopo che la malasorte gli si era manifestata per l'ennesima volta, stavolta nelle sembianze di un gatto nero nella discesa del Chiunzi al Giro d'Italia, si trovava davanti al primo vero banco di prova dopo il terribile infortunio della Milano-Torino '95; ed era atteso ad una rinascita nonostante partisse da Rouen, proprio a causa di quella beffarda caduta nella corsa rosa, con una condizione tutt'altro che ottimale, ma che tutti speravano di veder crescere durante la solita, noiosa, prima metà di Boucle dedicata ai rapportoni da volata.
Crescita che, nel tentativo di trovare la gamba vivacchiando in fondo al gruppo, gli costò sì qualche caduta e molti minuti persi in classifica ma diede magicamente i suoi frutti quando, sui Pirenei, si vide Marco riuscire a battagliare con i migliori, nonostante non fosse del tutto ancora quello splendido ed impavido camoscio di montagna ammirato prima che una folle Jeep interrompesse bruscamente una favola bellissima.
Con lo spirito più abbattuto che felice per vedere in netta crescita la sua fenomenale gamba, a causa di una mentalità caratterizzante solo i grandissimi, si arriva finalmente sulle Alpi, nella montagna storicamente simbolo della corsa transalpina: l'Alpe d'Huez!
Una cima mitica, spesso decisiva per le sorti della corsa, dove hanno messo la loro firma, divenuta poi targa da mostrare ad ogni tornante, tutti i più grandi corridori della storia, Marco compreso che la conquistò, dominandola a suo modo, due anni prima.
Il Pirata pedalava sornione nella coda del gruppo per tutti i 190 e più km di pianura che facevano da antipasto al magico finale di questa 13° tappa, tanto che, come spesso succedeva nei momenti importanti, un contrastante sentimento di preoccupazione e speranza faceva battere il cuore sempre più forte, facendo salire quell'adrenalina che solo chi è stato capace di meravigliarti decine di volte, con miracolose rinascite, entusiasmandoti ogni volta di più, può portarti alle stelle.
Grenoble, Vizille, Le Bourg d'Oisans ed eccola, finalmente, dopo una secca curva a sinistra, l'attesa salita finale.
Subito un lungo rettilineo dalle pendenze quasi proibite mise il gruppo in lunga fila indiana, aumentando la preoccupazione per la consapevolezza che col plotone così allungato per il ritmo imposto dalla squadra della maglia gialla, la Telekom, diventava molto più dura risalire tutto il gruppo per portarsi davanti.
Preoccupazione mista all'ansia di non vederlo spuntare, lì, sulla destra del plotone, rimontando, come suo solito, a doppia velocità.
Poche centinaia di metri e quella che stava diventando velata rassegnazione per la razionale convinzione che non fosse possibile far bene nella corsa più difficile del mondo, dopo una preparazione forzatamente improvvisata, si trasformava in un liberatorio urlo di gioia, con occhi commossi che seguivano la sublime rimonta del nostro Campione.
Ancora pochi istanti ed eccolo portarsi davanti ed imporre un ritmo forsennato in testa al gruppo, sbriciolando con poche pedalate uno squadrone mondiale come la Telekom, completamente al servizio di una scatenata maglia gialla, il giovane Ullrich.
Solo in cinque riescono a resistere al primo impressionante forcing di Marco: Casagrande, Riis, Virenque ed appunto il tedescone di Rostock, che sembrava riuscire agevolmente a tenere la ruota del Pirata.
Sì, perché il Pantani post infortunio aveva leggermente cambiato le sue caratteristiche rispetto ai tempi della Carrera, sopperendo con una straordinaria potenza ad uno scatto forse leggermente meno bruciante che in passato, chissà forse figlio di un'aria di rinnovata trasparenza all'interno della nuova squadra, totalmente dedita alla sua causa, e di stampo anch'esso romagnolo: la Mercatone Uno.
Ma il Panta non faceva uno, due scatti per poi desistere, Marco quando decideva di andare, andava fino al traguardo, anche se lontano decine di km.
E quindi, senza mai voltarsi, cominciò uno show entusiasmante, fatto di scatti e controscatti continui, tenendo sempre un'andatura a dir poco vertiginosa, quasi come una cronometro virtuale che gli potesse rendere l'idea di esser davvero tornato quello straordinario scalatore d'inizio carriera.
Era una sfida contro se stesso prima che contro gli altri, anche perché Marco sapeva che ritrovando il colpo di pedale giusto il resto sarebbe venuto di conseguenza.
E difatti dopo poche centinaia di metri ecco sfilarsi il primo, quel Francesco Casagrande fino ad allora decoroso protagonista della corsa francese, con piazzamenti costantemente subito a ridosso dei primissimi.
Primissimi che, come nel caso di quel Bjarne Riis che non aveva più quello straordinario colpo di pedale che l'anno prima gli aveva permesso di metter fine all'epopea navarra di Miguel Indurain, sono costretti quasi subito a desistere da quel ritmo infernale che Marco stava continuando ad imporre.
Rimanevano solo in tre, gli stessi che già sui Pirenei avevano fatto intendere di essere i più in forti, con Ullrich che però ad Andorra aveva dimostrato di avere un qualcosa in più dei suoi avversari, almeno in quel momento...
Cominciavano quindi i tornanti ad alternarsi con repentino incedere sotto le ruote dei battistrada, tornanti che per Marco non eran altro che la spinta per rialzarsi continuamente sui pedali e rilanciare l'azione e con essa la poesia che solo lui sapeva far riecheggiare in quei folli voli verso il cielo.
Qualche minuto in più per fiaccare la resistenza di Virenque, che anche quella volta confermò di potersi confrontare con Marco solo dietro ad un microfono della sala stampa, rinvigorendo la fiera e proverbiale "grandeur" francese con scioviniste dichiarazioni sulla sua maglia a pois e sul fatto che fosse effettivamente lui lo scalatore più forte in corsa.
Si era scalato solo qualche km del mostro francese e Pantani aveva già fatto il vuoto, andando via insieme alla maglia gialla, senza che essa però fosse mai riuscita a dargli un cambio, prima forse per scelta ma ora sicuramente per necessità.
Un Ullrich sempre più pesante e sempre più al gancio faceva da contraltare al sempre più sublime volo di Marco, tanto che vedere pochi minuti dopo il tedesco cedere il passo ad uno scatenato Pirata fu una naturale conseguenza che lasciò in noi quel ghigno di immensa soddisfazione che non esplose però con un urlo liberatorio ma nella fiera consapevolezza che Marco era tornato, forse ancora più forte, di sicuro sempre più Grande.
Mani sul manubrio a mulinare con disarmante facilità un rapporto abbastanza agile e di colpo, con incedere forsennato, eccolo di nuovo in piedi, con le mani sulla leva dei freni a rilanciare un'azione che diveniva sempre più simbiotica con la montagna stessa, come se in quel momento le gesta della natura e dell'uomo diventassero complementari, uniche.
E cominciavano a aumentare i secondi sugli inseguitori: prima dieci, poi venti, trenta, un distacco che aumentava a vista d'occhio e s'intuiva nei boati delle centinaia di migliaia di tifosi assiepati sulla strada ad aspettare ore ed ore il volto di colui che per primo sarebbe riuscito a farsi largo tra le loro urla, ad attendere l'arrivo di un vero Campione, ad aspettare il ritorno di Marco Pantani.
Quel volto concentrato e convinto come non mai, quell'incredibile ardore che gonfiava ripetutamente gli occhi ancora una volta stupefatti nel veder l'ennesima dimostrazione di quanto fosse possibile realizzare anche i sogni più insperati.
Ed eccolo là, all'orizzonte, il triangolo dell'ultimo km, e poco dopo quell'ultima curva, dove termina l'immane fatica di tutti, dal primo all'ultimo, ma prima di tutti quell'omino calvo dal cuore mai tanto grande e dalla mente di Campione vero, di quelli che non si accontentano di un piazzamento, tanto da cambiar rapporto per una volata in solitario che poteva rendergli secondi preziosi, quando tutti pensavano si sarebbe concesso secondi e metri da dedicare a quest'incredibile impresa, contro tutto e tutti, compiuta superando incredibili avversità che avrebbero sfiduciato qualsiasi persona, ma non lui.
Perché poco di comune aveva Marco, artista vero e proprio prima ancora che grandissimo scalatore, forse il più grande, come gli ricordava spesso un suo amico, l'Angelo della montagna Charly Gaul.
E non normale fu il tempo di scalata alla mitica vetta alpina, il migliore di sempre, il migliore nonostante sette anni e tante infamie ricevute in seguito, nonostante organizzatori che decidono di organizzare una cronometro con partenza proprio ai piedi della mitica salita, salvo poi tentare goffamente di rimediare con un'ipocrita dedica quando ormai la tragedia era già consumata, quando Marco ci aveva già lasciato per l'ultimo volo, verso il Paradiso.
Ma forse si erano dimenticati di quanto Marco fosse speciale e che neanche le iperspecializzazioni americane avrebbero mai potuto scalfire il ricordo di quella giornata indimenticabile.
Ci ha pensato un'altro artista dei tempi moderni, di tutt'altro genere ma anche lui dalla grande umanità. Ci è voluto Robin Williams per ricordare al mondo che, nonostante tutto, quel record è ancora lì, irraggiungibile, così come le emozioni regalateci dal nostro caro Marco.