Il Portale del Ciclismo professionistico

.

CI MANCHI... ci manchi... - Il Pirata: chi era, cos'era

Versione stampabile

Il 14 febbraio 2004 non sono riuscito a sorprendermi per la morte di Pantani. Solo due mesi prima era stata la volta di José Maria Jiménez, il suo "gemello" spagnolo (appena un pochino, ma solo un pochino, meno forte in salita). E da una lettura fra le righe dei pochi articoli su Pantani si capiva che la situazione era drammatica.
Mi sono invece sorpreso (anche al netto dei meccanismi della comunicazione e dell'emozione popolare) per l'attenzione e la commozione che essa ha suscitato.
Ma proviamo ad andare un po' con ordine.

La vita e le opere (prima parte - un po' di dati generali)
Marco Pantani da Cesenatico ha vinto nel 1998 il Giro d'Italia e il Tour de France. Era dal 1965 che un italiano (Gimondi) non vinceva il Tour. È l'ultimo campione, dopo Coppi, Anquetil, Merckx, Hinault, Roche e Indurain, a vincere nello stesso anno Giro e Tour. È salito sul podio del Giro (2°) anche nel 1994, e del Tour (3°) anche nel 1994 e 1997.
Numeri notevoli, ma che sul piano quantitativo e assoluto ci consentono di chiarire che Pantani non è stato uno dei grandissimi di tutti tempi delle grandi corse a tappe come Merckx (5 Tour, 5 Giri), Coppi (2, 5), Bartali (2, 3), Hinault (5, 3), Indurain (5, 2), Anquetil (5, 2), Binda (0, 5).
A questo aggiungiamo che in tutta la sua carriera professionistica Pantani ha vinto 34 corse. C'è chi (un Bettini, uno Zabel, un Petacchi) in un paio di anni non ha problemi a vincerne altrettante. C'era chi (un Merckx) ci metteva qualche mese. Ma la grandezza di Pantani non è nel "quanto" ma nel "come".
A parte il 3° posto, dietro a Olano e Indurain, nel Campionato del Mondo del 1995, le sue più belle imprese sono proprio a Giro e Tour (vado in ordine di calendario, non certo di importanza): 8 tappe in ciascuna delle due corse. Al Giro: Merano e Aprica 1994, Piancavallo e Montecampione 1998, Gran Sasso, Oropa, Alpe di Pampeago, Madonna di Campiglio nel 1999. Al Tour: L'Alpe d'Huez e Guzet Neige nel 1995, L'Alpe d'Huez e Morzine nel 1997, Plateau de Beille e Les-Deux-Alpes nel 1998, Mont Ventoux e Courchevel nel 2000. Le ho scritte a memoria, e vi assicuro che non ho in mente i libri d'oro di tutte le tappe di Giro e Tour (sui vincitori della classifica finale degli ultimi 25-30 anni possiamo trattare, questo sì, e per altri dati ho controllato sui sacri testi).
Ciascuna di queste tappe ha qualcosa di memorabile. Per la difficoltà (Guzet Neige, Oropa, Courchevel), o la sorpresa (Aprica, Mont Ventoux, Merano), o l'importanza per la classifica generale (Les-Deux-Alpes, Montecampione).

Pantani, Gaul e Bahamontes
Il Pantani più bello è forse quello del Tour 1994, in cui non vinse nessuna tappa perchè la sua squadra, debolissima, non riusciva a controllare le fughe della mattina, ma in cui staccava gli avversari più forti su tutte le salite. Pantani, come scalatore puro, è al livello dei più grandi di tutti i tempi, Charly Gaul e Federico Martín Bahamontes (fine '50-inizio '60), vincitori rispettivamente di 1 Tour, 2 Giri (e una quarantina di corse) il primo e di 1 Tour (e una settantina di corse) il secondo. Sì, coi numeri siamo lì. Possiamo azzardare (l'ha fatto Gaul, possiamo permettercelo) che Pantani andava forte come Gaul col freddo ma più forte di Gaul col caldo. Come Bahamontes in salita ma molto più forte di Bahamontes in discesa. Forse, in questo podio degli scalatori di tutti i tempi, è lui che abbraccia gli altri due.
Uno dei tratti più notevoli di Pantani è poi la sua regolarità nello staccare gli avversari in salita. Ad alto livello, e in particolare al Tour de France, i grandissimi vincono tanto ma perdono anche tanto. Abbiamo pochissimi ricordi di Pantani staccato in salita. Ha ricevuto delle batoste storiche solo dal migliore Indurain (a La Plagne nel 1995) e da Armstrong (a Hautacam nel 2000), ma per il resto abbiamo il ricordo di un gruppo terrorizzato in attesa dello scatto di Pantani, o di un corridore che, in fuga dal mattino, vistosi superato sull'Alpe d'Huez, allarga le braccia ad indicare che contro Pantani non si può nulla.
A questo proposito una delle immagini più belle si trova in un articolo di Gianni Mura del 1995, dopo la tappa di Guzet Neige: "Si alza sui pedali, è come quando al circo rullano i tamburi ... «speravo che con me venisse qualcuno» dirà Pantani. Qualcuno chi? Appena rullano i tamburi, tutti si scansano, a volerlo seguire di istinto si finisce male ... C'è qualcosa di sotterraneo nella forza primitiva di Pantani. Come al cinema, quando spunta Godzilla o il mostro della laguna nera ... Pantani è unico. È un corridore di stampo espressionista, di un'intensità quasi dolorosa".
Nello stesso articolo viene riportata una frase che allora solo Mura colse, ma di cui poi in tanti si sono ricordati. È la risposta di Pantani a chi (bella domanda!) gli ha chiesto a cosa pensa quando è in fuga da solo: "Ad andare più forte possibile per arrivare prima. Io amo la montagna ma nel momento della fatica ho dentro un grande odio. Così cerco di abbreviare la mia agonia".
L'altro aspetto caratteristico delle vittorie di Pantani stava nella loro spettacolarità. Rivedendo le immagini delle sue fughe più belle si osserva come per gli occhi sia difficile seguire le ruote della bicicletta, che lui scuote come nessun altro. Al di là della potenza, è proprio in questo tratto tecnico, nelle mani basse sul manubrio anche in salita, nella capacità di ripetere gli scatti, che Pantani è più diverso da tutti gli altri.
Si è parlato spesso, abbastanza a sproposito, di un Pantani improvvisatore. Una immagine spesso utilizzata per gli scalatori che animano la corsa, magari vincono le tappe ma perdono la classifica. Come mostra Pantani però l'attaccante non va confuso con l'improvvisatore. Gli scatti di Pantani sono improvvisi (ma attesi) ma mai improvvidi: va via e nessuno lo rivede sino all'arrivo, oppure lo riprendono ma lui ha provato nell'unico punto in cui era possibile farlo.
Uno dei principali problemi tattici che Pantani ha dovuto affrontare era legato proprio all'eccessiva violenza dei suoi scatti, che lo rendeva imprendibile anche per i migliori scalatori e che quindi lo costringeva a fughe solitarie, anche quando qualche compagno sarebbe stato utile per staccare e isolare gli avversari diretti per la classifica generale.
Quando ce ne sono state le condizioni, Pantani ha proprio fatto così: fuggendo con Guerini (a cui poi lasciò la tappa, come si usa) sulle Dolomiti al Giro del 1998, o ancora (una delle immagini più belle), quando nel 1998 sul Galibier, distanziato Ullrich, saltò mezza pedalata per provare ad aspettare gli altri, andando comunque a trovare, nel gruppo che era in fuga dal mattino, in José Maria Jiménez un utilissimo compagno di avventura nel corso della discesa prima dell'ultima salita.

La vita e le opere (seconda parte - la Uno, la jeep, il gatto)
Non c'è dubbio sul fatto che nella storia del ciclismo pochi grandi campioni possano rivaleggiare con Pantani quanto a sfortuna. Dopo essere esploso nell'estate 1994 sui tornanti del Mortirolo, e poi dell'Alpe d'Huez e Val Thorens, promettendo chissà quali meraviglie per l'anno successivo, prima del Giro che lo vedeva grande favorito Pantani viene investito da una macchina. Salta il Giro, va al Tour. Indurain lo massacra a La Plagne, poi Pantani si riprende e vince a L'Alpe d'Huez e Guzet Neige, in una fantastica giornata di nebbia dalla quale spuntano solo le sue orecchie preistoriche.
Si gioca il podio andando in crisi anche morale il giorno della morte di Casartelli. Ai Mondiali in Colombia lotta contro i fortissimi spagnoli, e arriva sul podio battuto solo da Olano e Indurain. Pochi giorni dopo, alla Milano-Torino, in discesa, è la volta della jeep, a novanta all'ora. Si rompe praticamente tutto quello che c'è da rompersi, tornerà in bici nell'estate del 1996 (altro anno che se va). Verso il 1997, l'anno buono? Prima salita del Giro: si vede che è di nuovo Pantani. Prima discesa. Primo gatto, che anche se è solo grigio ci vede benissimo e ha già deciso sotto che ruote andare.
Settimane di sosta, non proprio l'ideale per andare al Tour, dove infatti nelle prime tappe si gioca i primi posti della classifica, e sui Pirenei non fa miracoli. Le Alpi: primo all'Alpe d'Huez, primo a Morzine. Noi c'eravamo. E non ci sono parole per raccontare della superiorità di Pantani, se non dicendo che sull'Alpe d'Huez ho fatto delle bellissime foto ai suoi inseguitori, Ullrich e Virenque, e di Pantani ho solo una scia sfuocata del cappellino, oppure che se devo pensare al momento in cui dalle tribune naturali dell'Alpe d'Huez è salito il boato che precede i corridori, è al passaggio di Pantani che c'è stata l'esplosione, o che gli occhi di chi ha visto passare Pantani erano diversi da quelli che avevamo per tutti gli altri. Anche quelli dei francesi, che non s'incazzavano neanche: ohlalà Pantanì!

La vita e le opere (terza parte - il Giro, il Tour)
E siamo al 1998. Giro e Tour, gli unici vinti in carriera.
La Marmolada, Montecampione (nomen omen).
Plateau de Beille, e poi il miracolo del Galibier, i 9' a Ullrich sotto il diluvio.
In quell'anno, per tutti, Pantani è il ciclismo.
La bellezza della tappa di Les-Deux-Alpes cancella un Tour che era iniziato con l'arresto di un massaggiatore, il ritiro di una delle squadre più forti, la Festina, e poi delle altre formazioni spagnole, inchieste, perquisizioni, sospetti, certezze. I corridori in sciopero, i giornalisti all'attacco, l'organizzazione in crisi.
Poi, in una giornata dantesca, con 4 gradi (a luglio, ma a 2600 metri) sul Galibier, su una strada lucida come uno specchio per la pioggia e che contrasta con la nebbia, il gruppo dei favoriti che avanza con Ullrich, l'imbattibile, in maglia gialla. Dopo il Galibier, prima della (facile) salita finale a Les-Deux-Alpes, c'è una lunghissima discesa, che dovrebbe scoraggiare ogni attacco. Pantani in classifica è a 3'01", c'è ancora una lunga cronometro. Nessuno negli ultimi anni ha dato più di due-tre minuti al favorito.
Cinque chilometri alla cima. Cassani fa appena a tempo a dire a De Zan "se sta bene scatta adesso" che Pantani scatta. Ullrich è fermo. Pantani scatta, aspetta mezza pedalata per vedere se qualcuno (ma chi?) può fuggire con lui, e poi scatta, scatta, scatta. Riprende tutti quelli che erano davanti. Scollina primo, con 2'56" su Ullrich. È quasi maglia gialla. Prima curva, inquadratura sugli inseguitori, no: è su Pantani. È fermo. No, niente Uno, niente jeep, niente gatti, è solo che per mettersi la mantellina è meglio fermarsi piuttosto che rischiare. E questo sarebbe l'improvvisatore?
Ullrich (il computer, secondo la stessa vulgata) non si ferma, insegue al freddo. Ai piedi dell'ultima salita è a quattro minuti, potrebbe salvarsi e ribaltare il Tour nell'ultima cronometro. Ma il freddo lo ha finito. Arriverà a 9 minuti, in piena crisi di fame. Davanti Pantani è uno spettacolo mai visto, sulla strada lucida un Pantani va più forte dell'altro. Si può ancora vincere un Tour in una tappa sola.
Il ciclismo è il Tour. Il Tour è la montagna. Pantani, dicevamo, è il ciclismo.

Il 5 giugno 1999
Poi il 1999: vince tappe al Giro, le stravince, è pronto per il Mortirolo: il Giro in tasca, attaccherà da lontano, il programma è chiaro: il trionfo dopo 50 km di fuga solitaria.
Ma Pantani, diventato Pantani dal pomeriggio del 5 giugno 1994, quando sul Mortirolo impartisce una durissima lezione alla maglia rosa Berzin e al grandissimo Miguel Indurain, sarà Pantani solo sino alla mattina di quel 5 giugno 1999, quando viene fermato alla partenza della tappa Madonna di Campiglio-Aprica che prevede di nuovo il Mortirolo.
Viene fermato perchè il livello del suo ematocrito (la percentuale di globuli rossi nel sangue) è al 52%, quindi oltre al 50% (+1% di tolleranza) consentito. Viene fermato "per la tutela della sua salute". Una formula ipocrita che era stata usata per introdurre una regola, voluta dai corridori stessi, per porre un limite all'uso di eritropoietina (epo), un medicinale (all'epoca non individuabile coi normali controlli antidoping) che aumenta la quota di globuli rossi e quindi la quantità di ossigeno disponibile per i muscoli ma a un prezzo: alta pressione sanguigna, viscosità del sangue, rischi di trombosi e infarto.
In quegli anni i corridori dormivano con addosso un cardiofrequenzimetro e a fianco al letto una cyclette. Se i battiti cardiaci si abbassavano troppo, una bella pedalata, via un po' di ossigeno e poi di nuovo a nanna. Non una bella vita. Di qui la regola del 50%. Non una bella vita, ma i ciclisti erano e restano gli unici sportivi che hanno di loro iniziativa provato a porre un piccolo freno. Una cosa convenzionale. In molti infatti da lì in poi "tenevano" l'ematocrito appena sotto il 50%. Se venivano fermati, 15 giorni di sospensione ("precauzionale") dalle gare e poi via. Tutela della salute, non doping.
A differenza di molti suoi colleghi, anche illustri e anche tornati a vincere, nel caso di Pantani non vi è quindi mai stata una positività e una squalifica per doping. La sosta dopo Madonna di Campiglio sarebbe dovuta essere di 15 giorni. Ben in tempo per tornare a vincere il Tour de France. Ma è qui che Pantani incappa (questa volta, a differenza che con la Uno, la jeep e il gatto, per colpa sua) nella caduta più grave della sua vita. Anzichè confessare, scusarsi, abbozzare (in ordine di serietà) sceglie di contrattaccare la giustizia sportiva e non solo, parlando apertamente di congiura, di scambio di provette, e così via.
Di fronte a queste chiare ipotesi di reato la Procura competente (Trento) non può che aprire una inchiesta contro ignoti (gli ignoti che lo avrebbero fregato mettendo nella provetta un sangue non suo, per intenderci), acquisendo tutte le informazioni utili. La prima è proprio il sangue di Pantani. Vengono, per sicurezza, richieste le cartelle cliniche di quando Pantani era all'ospedale di Torino con la gamba distrutta, e si scopre che anche lì (per la cronaca, prima che i ciclisti chiedessero l'introduzione del limite di 50 per l'ematocrito) Pantani, appena tornato dai brillanti mondiali in Colombia, era quasi a 60 di ematocrito. Come, si è ormai saputo, moltissimi ciclisti e sportivi di alto livello di quegli anni.
Viene accusato (da denunciante, e quindi parte lesa) a sua volta di frode sportiva: verrà assolto nel 2003, perchè all'epoca il fatto non sussisteva nei termini dell'innalzamento dei livelli di ematocrito.
Pantani non si riprende, non ritorna a correre. Sbaglia, sbaglia, sbaglia.

La vita e le opere (quarta parte - l'ultimo Pantani)
Il mai squalificato per doping Pantani, ma per tutti il dopato Pantani, torna al Giro del 2000, che corre da gregario a Stefano Garzelli che lo vince. Va al Tour. Parte male, non è più Pantani. Verso il mitico arrivo del Mont Ventoux (dove nel 1967 morì Tom Simpson, stroncato da un mix di droghe, fatica e caldo) i migliori lo staccano a una quindicina di chilometri dall'arrivo. Resiste, li vede davanti ma non rientra, rientra, lo ristaccano, li vede ma non li lascia andare, rientra ancora. C'è un fortissimo vento contro, per cui tanto rientrare da solo quanto scattare è difficilissimo.
Appena torna sotto, Pantani respira e scatta, lo prendono, riscatta, lo riprendono, vi risparmio altri tre o quattro scatti e se ne va. Quando ha un buon vantaggio esce dal gruppo un certo Lance Armstrong, che lo raggiunge a circa 2 km dal traguardo e che dà l'impressione di aspettarlo. Il vento ha divelto lo striscione di arrivo, è un arrivo strano, che i corridori vedono all'ultimo secondo. Pantani è davanti, e negli ultimi metri Armstrong non ha mai dato l'impressione di volere vincere la tappa, gli bastava la maglia gialla.
Dopo l'arrivo a Pantani dicono che Armstrong ha detto che lo ha lasciato vincere. Pantani si arrabbia, dice che può battere Armstrong quando vuole. Seguono giorni di rapporti molto freddi.
Altro arrivo in salita, a Courchevel. Restano loro due a inseguire il fuggitivo della mattinata, José Maria Jiménez (l'avete già sentito, no?). Pantani ci prova, ci riprova. Oggi Armstrong non è disposto a lasciarlo vincere. Pantani se ne va, prende Jiménez e va a vincere. Due giorni dopo attaccherà da lontanissimo, a quattro salite dalla fine. Armstrong vacilla ma resiste, è Pantani che crolla sull'ultima salita, imprecando contro gli altri avversari di Armstrong troppo pavidi per seguirlo.
Seguono mesi di polemiche fra lui e Armstrong, che contribuiscono, assieme agli scarsi risultati e alla pochezza della sua squadra, a fare sì che Pantani non venga mai più invitato al Tour. Per la cronaca (la storia ha ormai preso un'altra direzione), la frase di Armstrong sul Mont Ventoux, a una precisa domanda del giornalista che appena dopo gli arrivo gli aveva chiesto se avesse lasciato vincere Pantani, era stata "It is appropriate that an extraordinary climber like Pantani wins on a legendary mountain like Ventoux". Tutto qui. Un po' poco per rompere un'amicizia e un legame col Tour.
Poi tre anni di buio sino al Giro 2003. Pantani è sempre meno Pantani, ma sa soffrire ancora di più. Sul Monte Zoncolan (una specie di Mortirolo, durissimo) resiste ai migliori, è a lungo secondo e arriverà quinto. Con tutto il rispetto per il vincitore del Giro, Simoni, fra dieci anni "Giro 2003" ci farà venire in mente il Pantani dello Zoncolan, e null'altro.
È 10° in classifica prima della tappa più dura. Anche sotto la neve del Colle d'Esischie resiste ai migliori, scollina a pochi secondi. In discesa, con Garzelli, sta per prenderli quando i due cadono. Pantani resta a terra. Fisicamente ha solo le solite ammaccature che i ciclisti si fanno quando cadono a ottanta all'ora, ma piange per vari minuti nascosto da un asciugamano. Non è la fine, riparte per arrivare 23° di tappa e 14° in classifica generale.
Il giorno dopo attacca, Simoni lo va a prendere (anche perché ha capito che una vittoria di tappa di Pantani metterebbe un bel po' in ombra la sua maglia rosa). Finisce il Giro al tredicesimo posto.
Dopo qualche giorno è segnalato in una clinica che cura depressioni e tossicodipendenze. Le notizie successive sono della sera di San Valentino 2004.
Ora sappiamo qualcosa di quanto Pantani fosse probabilmente già da anni tossicodipendente prima del Giro del 2003. Un tossicodipendente che arriva tredicesimo (senza la caduta sarebbe probabilmente potuto arrivare fra il quarto e l'ottavo posto) al Giro ci consente di fare delle ipotesi sulla domanda che Pantani si è portato dietro dal 1999 ad oggi, vale a dire se fosse Pantani per il doping oppure per le sue doti naturali.
Ci hanno sempre detto che drogarsi (non doparsi, parlo delle tossicodipendenze) fa male. Pantani, da tossico, è quasi al livello dei migliori. Io, anche se non ho abbastanza dati medici per affermarlo, ho la netta convinzione che questa sia un ulteriore dimostrazione che l'ingrediente principale delle sue più grandi vittorie si chiamasse Marco Pantani, e che l'additivo doping non fosse decisivo rispetto agli avversari. Anzi.
Non solo. Forse, a differenza di quello che si è sentito in questi giorni, Pantani era moralmente un po' meno debole di quanto si potrebbe pensare. È caduto in tutti i modi, ci ha sempre riprovato, quasi sempre ce l'ha fatta.

Hanno detto
«Era come un figlio per me» (Charly Gaul, il migliore scalatore del secolo scorso, almeno sino agli anni Novanta)
«Era uno scalatore grandissimo. Figlio dei tempi moderni ma certamente non inferiore a Gaul e a me» (Federico Martín Bahamontes, l'altro)
«Quante analogie tristi e da brividi con mio padre e che fine incredibile» (Faustino Coppi)
«Negli ultimi trent'anni, nel ciclismo che ho visto io, non ho mai visto nessun scalatore più bravo, più selvaggio e libero di Marco» (Manolo Saiz, direttore sportivo)
«Non tradisco nessun segreto dicendo che Armstrong ha temuto solo un avversario nella sua lunga dittatura al Tour, e questi era Marco. Quando partiva, era roba da farti venire la pelle d'oca. I tifosi di casa nostra lo adoravano» (Roberto Heras, scalatore spagnolo)
«Un genio tragico. Forse ci sono corridori che hanno vinto più di lui ma nessuno ha avuto il suo impatto sul pubblico» (Miguel Indurain).

Dopo Pantani
Con la sua morte Pantani è uscito dalla dimensione dell'invecchiamento atletico e morale per entrare in quella delle leggende dello sport. Viene il sospetto, se pensiamo ai più grandi della fine del ventesimo secolo, che questo sport moderno abbia una enorme capacità di creare, anche attraverso la morte, degli "eroi" tragici. Basta pensare a dove siano adesso Maradona, o Tyson. O Senna. O la velocissima Flo Griffith.
Quanto a noi, delle leggende dello sport la morte va quindi consumata ritrovando videocassette, giornali, emozioni. Ho sfidato l'allergia alla polvere con un pomeriggio in solaio per ritrovare la videocassetta del Galibier. Quella della strada lucida, della nebbia, del 27 luglio 1998. Ci sono anche i telegiornali (notizia di apertura, fantasia nei titoli: "Come Coppi", "Come Coppi", "Come Coppi").
E poi noi ciclisti pedaliamo sempre sul passato. È per questo che lo Stelvio sarà sempre "la madre di tutte le salite", che su quella collinetta (poco più) che è il Ghisallo vedremo sempre l'Airone prendere il volo, che quando ai piedi del Tourmalet si passa dalla bottega di fabbro in cui Eugene Christophe nel 1913 si fermò a riparare la bicicletta (era vietato farsi aiutare: lo fece lui: perse quattro ore, arrivò secondo al Tour) si svolta per la salita e ci si trova fianco a fianco con Merckx che ti guarda male e cerca di mettere la sua ruota anche davanti alla tua.
Il tempo dirà quale salita è il passato di Pantani. I miei tre candidati sono Galibier, L'Alpe d'Huez e Mortirolo.
Il Mortirolo è una salita terribile. Ti accoglie con rampe una in fila all'altra, interrotte solo da brevi riposi che ti illudono della sua pietà. Poi per oltre sei chilometri le rampe continuano ma spariscono i riposi, quando le gambe si sono ormai illuse che vada avanti come prima. Solo alla fine ritorna qualche tratto un po' meno difficile, e gli ultimi tre-quattrocento metri, dopo l'ultima curva, sono forse i più facili di tutta la salita. È lì che a volte si riesce anche ad accelerare e a sentire la bicicletta che non è più di piombo. È lì che la strada sparisce sotto una larga striscia rosa, poi due spade e il teschio del "Pirata", e ancora spade, e ancora teschi, e tutte le scritte per Pantani. È lì, in quel breve tratto in cui (quasi) tutti possono sentirsi un po' Pantani, che a nove all'ora e centonovanta battiti al minuto possiamo ritornare ai giorni di Pantani per un'altra emozione.
Anche se lo cercheremo nei più begli scatti sulle montagne di Tour e Giro, è davvero improbabile che nella nostra vita potremo rivedere un Pantani in salita. Non illudiamoci, probabilmente mai più.
Ci rimangono i ricordi, e le emozioni dei ricordi delle emozioni. Poi tutto sbiadirà, come le scritte sulle strade del Giro e del Tour, e torneremo a soffrire la solitudine dello scalatore. Ma noi c'eravamo.

Guido Legnante



RSS Facebook Twitter Youtube

30/Jul/2017 - 20:30
ESCLUSIVO: le immagini del folle che ha tagliato la strada al gruppo facendo cadere decine di corridori al Giro d'Italia

24/May/2016 - 21:06
All'An Post Rás giornata di gloria per James Gullen nella tappa "di montagna": Fankhauser diventa leader

24/May/2016 - 17:07
Giro, nel giorno della nuova delusione di Vincenzo Nibali vince Alejandro Valverde davanti a Kruijswijk e Zakarin

23/May/2016 - 22:12
An Post Rás, nella seconda tappa vince il padrone di casa Eoin Morton

23/May/2016 - 16:00
Giornata di rinnovi: André Greipel e Marcel Sieberg alla Lotto Soudal fino al 2018, Geraint Thomas prolunga con la Sky

23/May/2016 - 13:11
Benjamin Prades vince l'ultima tappa del Tour de Flores ma non basta, la generale va a Daniel Whitehouse

23/May/2016 - 12:39
Brutte notizie per il ciclismo elvetico: l'IAM Cycling comunica che cesserà l'attività a fine stagione

23/May/2016 - 11:22
Conclusi i Campionati Panamericani: l'ultimo oro è dell'ecuadoriano Jonathan Caicedo

22/May/2016 - 23:59
Il Tour of California si conclude con una imperiosa volata di Mark Cavendish. Classifica finale a Julian Alaphilippe

22/May/2016 - 23:39
Il Tour of Bihor si chiude nel segno dell'Androni Giocattoli-Sidermec: tappa a Marco Benfatto, generale a Egan Bernal

22/May/2016 - 23:20
Women's Tour of California: gioie finali per Kirsten Wild e Megan Guarnier. Le altre corse: ok Bertizzolo e Lepistö

22/May/2016 - 22:44
Velothon Wales, Thomas Stewart supera Rasmus Guldhammer e Ian Bibby

22/May/2016 - 22:24
Dilettanti, ulteriori vittorie per Nicola Bagioli e Riccardo Minali alla Due Giorni Marchigiana

22/May/2016 - 22:22
Scatta l'An Post Ras: la prima tappa va all'olandese Taco Van der Hoorn grazie ad un colpo di mano