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«Al Giro sarò protagonista» - Cunego: «E dopo scoprirò il Tour»

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2004: 13 vittorie, tra cui spiccano il Giro di Lombardia, il Giro d'Italia e quattro tappe nella corsa rosa; 2005: 4 vittorie, con il picco raggiunto nella tappa di Anzère al Giro di Romandia. Damiano Cunego è un '81, compirà quest'anno 25 anni, e risultati simili si raccolgono in una carriera, non in un paio d'annate, per di più quando si è alle prime armi. Però il campioncino di Cerro Veronese ha le stimmate del campione, esplode nell'anno della morte di Pantani, scatta in salita a mani basse, è veloce, e vince tanto. La "faida" interna con Simoni, la sfida a distanza con Basso lanciata sul lungolago di Como, dopo il Lombardia vinto da Cunego. Le classiche di inizio stagione, i piazzamenti, la vittoria in Svizzera. Poi, la cotta sul Passo Duran al Giro d'Italia ed un Cunego sollevato, e rilassato, dalla nuova assenza di responsabilità. Si lanciano sondaggi che gridano al "fuoco di paglia", alla "meteora", e ad indirli è nientemeno che la Gazzetta dello Sport, giornale che qualche mese prima idolatrava il nuovo talento del ciclismo italiano e mondiale. La nascita di Ludovica, la scoperta che quel calo di condizione dipese da una mononucleosi in corso. Anni differenti, il 2004 e il 2005, ma ugualmente importanti per Damiano Cunego: che si riassesta sui binari giusti e che è pronto ad affrontare il 2006 con la serenità di chi sa d'essere forte, e capace di tutto. In primo luogo, di far emozionare.
Sentiamo quasi l'obbligo, nella prima domanda, di chiederti come stai.
«Bene, davvero bene, grazie mille».
Anche sotto il profilo della serenità e della calma, e tutto tornato sui binari percorsi nel 2004?
«Sì, decisamente. La serenità è al primo posto tra le priorità, e da quel punto di vista è tutto ok. Per quanto riguarda gli allenamenti si va avanti giorno per giorno senza pensare troppo al futuro. Sta procedendo tutto bene e guardare troppo al futuro, o al passato, magari può distrarre».
Credi che sia possibile imparare qualche lezione da una stagione, quella 2005, che ti ha portato qualche delusione?
«Le vittorie venute a seguito della malattia sono state una bella parentesi, anche perché venute dopo un periodo di debilitazione in cui la mia condizione non era assolutamente al 100%. Ci sono state tante cose sbagliate nella stagione 2005 che sicuramente mi hanno insegnato qualcosa, e ci sono stati sbagli che spero di non commettere più. Mi spiace per il Lombardia, ma anche se tanti si aspettavano chissà cosa, io non ero proprio nelle condizioni ideali per battermi per la vittoria, anche perché in settembre, saltando la Vuelta ed il Giro di Polonia, non ho mai corso: una gara come il Lombardia non si inventa dalla sera alla mattina. La Japan Cup, che è diventata per me un appuntamento ormai abituale, mi ha permesso di finire una stagione deludente con un picco di morale che mi servirà quest'anno».
Come hai vissuto psicologicamente il salto dall'exploit del 2004 ai problemi del 2005?
«È stato difficile, ma da un certo punto di vista mi ha fatto anche piacere perché mi ha permesso di stare un attimo più tranquillo. Senz'altro mi sarebbe piaciuto rivincere il Giro d'Italia o vincere altre corse, ma a volte ci sono impedimenti che non dipendono da quello che si fa e che vanno accettati. Adesso si ricomincia tranquillamente, come se non fosse successo niente, e ripartiamo senza stare lì a pensarci troppo su. Il 2004 è stato molto positivo, il 2005 lo è stato molto meno, ma bisogna girare pagina».
Anche perché il 9° posto alla Liegi-Bastogne-Liegi e la vittoria di tappa al Giro di Romandia erano stati ottimi segnali verso la riconferma.
«C'era stata qualche corsa in cui avevo fatto bene, ed avevo conseguito anche ottimi risultati. Però sentivo che nel mio organismo c'era già qualcosa che non andava, ed aver in ogni caso portato a casa alcuni piazzamenti simili dimostra che se sto bene posso essere davvero molto più competitivo di quanto non sia stato per tutto l'arco della stagione».
Hai vissuto le corse d'avvicinamento al Giro d'Italia con il dovere di riconfermarti per far capire che nella corsa rosa il capitano dovevi essere solo tu?
«Quello che è stata la scorsa primavera vorrei lasciarlo perdere, anche se è certo che, avendo vinto il Giro d'Italia l'anno precedente, sarei potuto stare più tranquillo senza la smania di confermarmi, di far vedere che vincevo, quando non ce n'era bisogno. Il Giro d'Italia si è poi rivelato tanto duro, e contava essere presenti solo al Giro».
Un Giro d'Italia che si rivela duro anche nel 2006.
«Forse quest'anno anche di più, ma il percorso scelto è stato questo e bisognerà darsi da fare lungo quelle tappe».
Pensi che i chilometraggi del Giro d'Italia 2004 e l'avere il maggior contendente in squadra, almeno fino a Bormio 2000, possano averti avvantaggiato?
«Di tappe impegnative ce n'erano, perché se guardiamo Falzes, ci si arrivava dopo quasi 220 km, mica scherzi. Forse le tappe con gli arrivi in salita erano più brevi della scorsa edizione e della prossima, ma non mi sembra fossero tanto diverse dalle tappe del Giro del 2003, o del 2002. Dal 2005 hanno scelto il profilo "Hors Categorie", ma questo non vuol dire che io non sia portato per questo tipo di corse, anzi: se sto bene, posso fare altrettanto bene. Ci saranno salite toste, sterrate, pendenze del 36%, ma va bene, ci stiamo e non vedo alcuna preoccupazione. Anche perché in Gazzetta e in Rcs avranno interessi, logicamente, a rendere il Giro d'Italia più duro e più incerto».
Proviamo a fare un confronto tra le preparazioni prima delle stagioni: ci sono state delle differenze tra il finale di stagione del 2003 e l'inizio del 2004 con ciò che è accaduto dalla fine del 2004 all'inizio del 2005?
«Nel 2003 ero uno sconosciuto, e quindi tutto ciò che è venuto nel 2004 è stato ingigantito: avevo staccato con la Japan Cup, a fine ottobre, e avevo ripreso verso il 7/8 dicembre, pressocché come quest'inverno. Di certo alcuni aspetti erano totalmente diversi, difatti gli inverni passati erano più tranquilli, mentre tra il 2004 ed il 2005 ho dovuto presenziare a molte serate e molte premiazioni: mille cose che fanno parte del mestiere, ma che personalmente, essendo un ragazzo abbastanza riservato, mi portano ad accumulare stress. Credo che a chiunque farebbe piacere starsene a casa a riposare, perché il nostro lavoro è di andare forte in bici e l'inverno è un punto cruciale della stagione di un corridore. Non si può sempre girare ed andare a destra e sinistra: non ci si può prestare a tutti, anche se l'immagine è importante. Quindi, in accordo con la Lampre e vista un po' l'annata appena passata, ho deciso di essere presente nelle occasioni più importanti e per il resto starmene un po' più tranquillo con la famiglia. La squadra, in questo, mi farò un po' da filtro selezionando gli eventi irrinunciabili: ad esempio, siamo riusciti ad organizzare una cena corale con tutti i fans club nazionali intitolati al sottoscritto, che sono più di 18, evitando così di dover andare a diciotto cene, oppure di mancare all'appuntamento con qualche tifoso rispetto a qualche altro. L'esperienza dell'anno passato servirà a non ripetere gli stessi errori negli anni futuri».
Oltre all'obbiettivo principe che sarà il Giro d'Italia, come sarà il 2006 di Cunego?
«Si proverà l'esperienza al Tour de France, che va fatta perché non si può continuare a rimandare e perché tutti mi dicono che si corre in maniera particolare ed unica, e vorrei testare dal vivo se è vero o meno, e se la cosa può e potrà disturbarmi o no. Vorrei sottolineare e ribadire che andrò in Francia senza alcun assillo, con la squadra che mi starà comunque accanto per farmi pedalare tranquillo, sperando che con la tranquillità magari in un paio di tappe giuste io possa dire la mia per qualche affermazione parziale».
Prevediamo che dovrai ribadirlo spesso, quel concetto. Da Cunego la gente si aspetta sempre qualcosa in più. Te ne sei accorto?
«La gente si aspetta sempre che Cunego scatti, lo so, ma è così. Però, ecco, dopo un Giro d'Italia che voglio correre da protagonista, andare al Tour con la smania del risultato, del grosso risultato, non sarebbe utile, almeno quest'anno. Sarà la mia prima partecipazione, dovrò vedere com'è, e magari alla gente ed ai tifosi dico di aspettarsi un successo di tappa: quello sì che potrà essere nelle mie corde nel 2006. Per la Classifica c'è tempo, ed io sono tranquillo».
Il circolo vizioso delle aspettative e delle possibilità ti ha già penalizzato l'anno scorso. Può bastare, no?
«Basta e avanza. Ma l'Italia da Basso e Cunego si aspetta tanto, e quindi se Basso avrà qualche chance in più al Tour de France, io avrò qualche chance in più al Giro d'Italia».
A proposito di Basso: una tv danese ha riportato la voce secondo la quale Riis e la Csc avrebbero abbandonato il preparatore Cecchini in quanto il medico lucchese segue anche te ed Ullrich. C'è qualche fondamento di verità?
«Per il conflitto d'interessi? Sinceramente non ne so niente e credo che questa domanda debba essere fatta più ad Ivan Basso che a me».
Anche perché Cecchini ha sempre seguito molti ciclisti e non sembra abbia mai avuto problemi simili. O no?
«Cecchini ha sempre seguito molti corridori perché è un bravo preparatore, e credo proprio che l'unico problema potrebbe derivare da un eventuale conflitto d'interessi, solo per quello. Ripeto: non so se sia vero o meno che Basso e la Csc non vanno più da Cecchini».
Le tante corse in linea vinte ti danno la dimensione di favorito anche per le classiche vallonate. Pensi che tra qualche anno potresti dedicarti ad appuntamenti più vari, stile 2004, con Giro e Lombardia, oppure saltare il Giro e dedicarti alle Ardenne ed al Tour, ad esempio?
«Ogni anno è una storia a sé ed un programma a parte. Per il 2006 si è deciso di puntare forte al Giro d'Italia e di provare l'esperienza al Tour de France, e quindi per quest'anno si è stabilito questo schema. Se sto bene sono senz'altro adatto a vincere qualche classica, come già ho vinto il Lombardia. Le possibilità di gestire le mie stagioni sono tante».
Com'è stata l'esperienza dello scorso anno? Quale corsa, tra quelle disputate, ti ha affascinato di più?
«Avevo già affrontato le prime esperienze nel 2002 al primo anno da professionista, anche se quest'anno era la prima volta che le affrontavo in posizioni di prestigio, cercando anche qualche risultato. La Freccia Vallone la ricordavo più dura, ed invece si decide soltanto sull'ultimo Muro di Huy e non mi ha entusiasmato poi molto, mentre invece la Liegi-Bastogne-Liegi è corsa più vera e più dura, c'è più selezione ed più adatta a me, è più lunga, continuamente vallonata e mi viene meglio. L'Amstel Gold Race non l'ho mai corsa e non so a quale delle due somigli di più. Per competere con gli "specialisti", però, c'è da correrle almeno al 90%, e con un Giro d'Italia così vicino nel calendario mi riesce un po' difficile pensarmi competitivo finché correrò il Giro per conseguire la vittoria finale».
Elencandoci il programma, prima, ti sei fermato a Giro e Tour. Abbiamo capito che le Ardenne non ti vedranno al via, quindi il programma ricalca grosso modo quello del 2004?
«Si partirà dalla Clasica de Almería e dalla successiva Vuelta a Murcia, poi ci sarà la Milano-Sanremo, anche se c'è ancora un piccolo punto interrogativo, si proseguirà con la Settimana Internazionale Coppi & Bartali, il Giro d'Oro, il Giro del Trentino per poi finire con il G.P. Industria & Artigianato di Larciano ed il Giro di Toscana, anche se forse io correrò solo a Larciano. Poi il programma è variabile, perché se dimostrerò di stare bene magari correrò meno, mentre se sarò più indietro potrei correre un po' di più».
Il rapporto con i tifosi è cambiato dal 2004 al 2005?
«Con quelli storici no, i "veri" tifosi mi sono sempre accanto e non mi hanno mai abbandonato. C'è qualcuno che era salito sul carro del vincitore ed ora non c'è più, ma persone simili non vanno neanche avvicinate al termine "tifoso"».
La paternità ti sta aiutando nel processo di maturazione e di crescita?
«È stupendo, una sensazione splendida: ho anche assistito al parto, e quelle sono emozioni la cui intensità può essere capita solo da chi le ha vissute in prima persona. Vedo crescere Ludovica giorno per giorno, ed ogni volta che esco e poi torno a casa la trovo sempre un po' diversa. Ma è anche naturale e bello così».
Ti pesa un po' la lontananza?
«Certo, ma fa parte della vita. So che sto lavorando e che quello che sto facendo serve al suo presente e servirà per il suo futuro. Poi con i videofonini e con gli mms riesco comunque a vederla anche da lontano e starle vicino non solo coi pensieri e con le parole».
Le responsabilità ti affascinano o ti spaventano?
«Sto crescendo come uomo, perché tutto quello che facevo prima di Ludovica era esclusivamente per me, invece ora le mie azioni includono anche altre persone; e l'atleta cresce con l'uomo, ed hai maggiori ragioni per ottenere di più. Nessuno spavento, la paternità è un passo importante che aiuta e che fa sicuramente bene».

 

Mario Casaldi

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