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Zabel infinito, a Tours è il re - Erik batte Bennati al colpo di reni

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Erik Zabel non finisce mai. A 35 anni, dopo essere stato scaricato dalla sua squadra storica (la T-Mobile), il tedesco aggiunge una nuova perla al suo palmares e si porta a casa la terza Parigi-Tours della sua carriera.
Un riscatto di tutto rispetto per Zabel, che l'anno prossimo andrà ad affiancare Petacchi nella nuova Milram, e che lancia un segnale anche al suo futuro compagno di squadra: per Erik non è ancora tempo di farsi da parte, perché se un corridore è in grado di vincere una delle più prestigiose e difficili classiche del calendario, significa che sarà anche in grado di recitare un ruolo di primo piano nella nuova stagione.
Zabel era un velocista, in avvio di carriera; poi, strada facendo, capì che il panorama per lui poteva spaziare verso nuovi orizzonti, e si dedicò alla Milano-Sanremo (ne ha vinte ben quattro), e ad altre classiche (le tre Parigi-Tours lo confermano). E il percorso potrebbe non essere ancora compiuto, visto che Erik ha anche il pallino del Fiandre (quest'anno una scellerata condotta di gara della sua squadra lo ha clamorosamente penalizzato nella corsa dei Muri); e il fatto di essere in là con gli anni non è necessariamente un ostacolo, in gare come appunto il Fiandre (o la Roubaix) in cui il fondo e l'esperienza che si acquisiscono con l'età sono fondamentali.
Ma allo stesso tempo, Zabel è un grande perdente, uno dei migliori del decennio. Alle sue luminose affermazioni, fanno da contraltare una serie di sconfitte che avrebbero ammazzato un toro. Erik è l'uomo che nel 2002, su un circuito Mondiale piattissimo, dovette arrendersi al più forte Cipollini di sempre e al solito tignoso McEwen; ma che soprattutto nel 2004 si vide sfuggire una maglia iridata che, arrivo in gruppetto a Verona, sentiva già sua. Fu secondo, dietro a Freire, quel Freire che fu una vera iattura per lui l'anno scorso, visto che gli sfilò in maniera incredibile anche la Sanremo.
Quel giorno in via Roma Zabel commise un errore da ragazzino, esultò troppo presto, e si vide spuntare, sotto al braccio destro, il furetto spagnolo. Una mazzata. Ma non l'unica, non l'ultima di questi anni: Zabel è anche l'uomo che non vince una tappa a un grande giro dal 2003 (in compenso dal 2002 a oggi somma 2 secondi posti al Giro, 4 al Tour, 16 [!] alla Vuelta); è l'uomo che quest'anno la T-Mobile ha lasciato a piedi alla Grande Boucle, preferendo allestire una squadra votata a Ullrich (che poi ha puntualmente deluso), e a Vino (che ha salvato la baracca) e a Klöden (poco pervenuto); è l'uomo che è stato sottoposto a un vero e proprio mobbing, e il Giro delle Fiandre (come già accennato), con i compagni che gli correvano contro, ne è chiaro esempio.
Zabel è tutto questo, e tutto questo significa che, dopo una simile serie di avversità sportive, si devono avere degli attributi spettacolari per saper reagire, per trovare la forza, per cercare stimoli quando tutto sembra pedalare al contrario. Ma Zabel è anche quel professionista esemplare che non ha sgarrato mai, che non si è mai abbandonato a gesti negativi, a scorrettezze, che ha consolato Simeoni quando Armstrong faceva il padrino, che si affretta a complimentarsi con Petacchi quando quello puntualmente lo castiga, e che è talmente apprezzato e rispettato in gruppo che oggi Bennati, alla sconfitta più bruciante della sua giovane carriera, ha fatto lo stesso, è corso dietro al tedesco per abbracciarlo, per dirgli che è stato bravo, e che al limite è stato un onore perdere da uno come lui.
Il discorso sugli stimoli e sulla reazione alle avversità non è naturalmente peregrino, visto che l'occhio ci cade sempre nel nostro orto: e non ci è andato giù il comportamento di Petacchi, che, colpevole o meno a Madrid (per noi "meno", ma sono opinioni), anziché ributtarsi nel gruppo per cercare anche lui il riscatto (e la Parigi-Tours era qui pronta alla bisogna), ha preferito farsi da parte, chiudersi in se stesso, rimandare ogni resa dei conti e chiudere fuori dalla porta i problemi. Il che non è propriamente quello che, in metafora, insegna il ciclismo; e non è quello che ha ribadito proprio oggi Zabel.
Ma si correva, e bisogna dar conto anche di questo. Del fatto, per esempio, che Erik debba ringraziare se stesso, sì, ma anche (e forse soprattutto) il belga Devolder. Il quale, andato in fuga col connazionale Gilbert a 27 km dalla fine, ha guadagnato 1' sul gruppo, che però nel finale si è rifatto sotto. Negli ultimi 2 km allora Devolder ha deciso di non tirare più, lasciando l'incarico al solo Gilbert, che - poverino - non ce l'ha fatta a tenere a distanza gli inseguitori. E il plotone ha ripreso i due ad appena 150 metri dal traguardo.
Tanto l'ha presa male, il buon Philippe, che ha reagito in maniera inconsulta, regalando allo stolto Devolder (che poi ha raccolto un 13esimo posto. Che se ne fa? Non era meglio arrivare - mal che andasse - secondo? O ha avuto la meglio la rivalità regionalistica belga, "piuttosto che far vincere un vallone mando tutto all'aria"?) un liberatorio gesto dell'ombrello. Il club di Tonkov ha un nuovo socio.
Ma torniamo al finale: il gruppo era già lanciato, e c'era Bennati in testa, in piena volata. Ma o è partito troppo presto, oppure all'italiano è mancato un minimo di spunto: evento possibile, dopo oltre 250 km di gara (chiedere a Petacchi che nel 2003 era favoritissimo ma fu beffato in volata proprio da Zabel). Fatto sta che Bennati si è arenato a un passo dalla striscia dell'arrivo, ed Erik ha avuto buon gioco nel saltarlo al colpo di reni. Al terzo e al quarto posto due australiani, Davis e McEwen, mentre quinto si è piazzato Ongarato.
Di Luca, leader inattaccabile del Pro Tour, si è ritirato strada facendo. Sabato prossimo, col Giro di Lombardia, si correrà l'ultima prova della challenge Uci, ultimo appuntamento di rilievo della stagione ciclistica. Poi il grande ciclismo se ne andrà in letargo, e ci lascerà più soli.

Marco Grassi

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