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«La mia gamba distrutta, la mia forza di volontà» - Il biker Marco Bui parla dopo il grave incidente

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Spesso i sogni di una vita si infrangono in un attimo e se il destino, per qualche strano motivo, decide di accanirsi, lo fa proprio quando tutto sembra andare per il verso giusto. È il caso di Marco Bui, il biker azzurro ad Atene 2004 e agli ultimi mondiali a Livigno; il ventottenne mestrino, Campione Italiano in carica di Cross-country è infatti rimasto vittima di un bruttissimo incidente stradale mentre era a bordo della sua moto. In un momento così triste della sua vita e carriera sportiva, abbiamo pensato di andargli a chiedere cosa spera di trovare sotto l'albero.
La domanda è banale, ma vogliamo sentirci rispondere da te: come stai?
«Abbastanza bene. Ma vorrei guarire in fretta, anche perché ho una pazza voglia di uscire di casa e andarmi a fare un sana sgambata in bici, ma per i prossimi mesi sarà molto difficile riuscirci».
Come è potuto accadere un simile incidente?
«Raccontarvi cosa e successo è dura, perché per fortuna non ricordo niente della dinamica dell'incidente, né dei momenti immediatamente successivi. Quello che so, e che sto pagando a mie spese, è che mi ritrovo con una gamba distrutta. Ma d'altro canto sono altrettanto felice di avercele ancora entrambe, le gambe, e di aver scongiurato danni alla milza, perché mi hanno detto che sarebbe potuta andare molto peggio. Inoltre, spero che con il tempo tutto si sistemi nel migliore dei modi».
Come sono andate le due operazioni fin qui effettuate?
«La prima operazione era sicuramente la più impegnativa e difficoltosa, perché interessava il condilo del ginocchio (l'estremità articolare), ma è andata molto bene e i medici che mi hanno operato sono molto soddisfatti e naturalmente anche io. Il secondo intervento non era molto complicato dal punto di vista tecnico, riguardava la postura del mio piede, però al momento non so ancora i riscontri dei medici».
Ne hai in programma altre?
«Sì, verso metà gennaio ne avrò una serie. Il programma prevede una leggera anestesia per levarmi il fissatore esterno e, dopo una settimana circa (per far cicatrizzare le ferite dovute al fissatore), i medici effettueranno l'intervento vero e proprio, che consiste nell'inserire un chiodo, che poi a suo tempo verrà rimosso, nel midollo della tibia».


I medici sono fiduciosi in un tuo completo recupero fisico, anche come atleta?
«I medici non si sbilanciano per quanto riguarda un mio possibile ritorno in bici. Potrebbero insorgere delle complicazioni, ma loro sono molto contenti della mia forza di volontà e dell'evolversi delle cose».
Luciano Martellozzo è un po' per te un "angelo custode", cosa ci puoi dire su di lui?
«Luciano è la persona più importante per me per quanto riguarda la bici. Lui è stato il mio primo allenatore, il mio primo vero tifoso e non solo, penso che l'aggettivo amico gli stia anche un po' stretto!».
Nel nostro Forum molti utenti ti hanno augurato una rapida guarigione. Hai sentito l'affetto degli appassionati in un momento così difficile della tua vita?
«Sì. Ringrazio tutti per il sostegno e la simpatia che mi hanno dimostrato in questo periodo molto brutto per me. Mi sono giunti molti saluti e auguri, da molte persone che prima o poi dovrò ringraziare».
La tua stagione, fino al momento dell'incidente ti aveva visto come il miglior biker italiano; vuoi ricordare i migliori risultati di quest'anno?
«La stagione stava andando sicuramente molto bene e quindi il rammarico è ancor maggiore. Il mio primo obbiettivo stagionale era la Liquigas Cup e averla vinta mi aveva fatto molto piacere. Poi sicuramente l'emozione più grande è stata la mia prima vittoria di Coppa del Mondo in Belgio a Houffalize, durante la terza prova stagionale di Cross-country, dove sono giunto davanti a Christoph Sauser, che ha poi vinto la classifica finale del 2005. Altri e bellissimi piazzamenti in Coppa del Mondo sono il quinto posto in Spagna a Madrid e il secondo posto a Willingen in Germania, dietro a Sauser ma davanti al campione del mondo Absalon».
Molti famosi "stradisti" provengono dalle ruote "grasse": Rasmussen, Cioni, Evans; hai mai pensato di tentare il salto?
«Mi sarebbe piaciuto e molti mi dicevano che avevo un fisico facilmente adattabile alle corse su strada. Ma la mountain bike mi ha dato molto e forse avevo un pò paura di tentare un salto che comunque sarebbe stato nel vuoto».
Hai visto i percorsi di Tour, Giro e Vuelta?
«Ho dato un'occhiatina. Penso siano massacranti, anzi ne sono certo; è meglio andare a lavorare, soprattutto per quelli che per tre settimane sono all'inseguimento».
Ti affascinano queste gare e in particolare cosa pensi della corsa rosa?
«Dico che mi sarebbe sempre piaciuto fare il Giro d'Italia, fin da bambino, vedere la marea di gente che ti incita a bordo strada, da Nord a Sud, è veramente spettacolare».
Ai recenti mondiali di Livigno le vostre gare sono state un po' snobbate in tv, cosa proporresti per dar maggior risalto al ciclismo sul piccolo schermo?
«Questo è un problema che riguarda tutto il ciclismo e molti altri sport ingiustamente considerati minori. Il settore del mountain bike, in primis, meriterebbe molte più attenzioni, ma purtroppo penso che alle spalle di questa mancanza di visibilità ci siano molti interessi economici che vanno ben al di là delle nostre possibilità».
Il doping affligge molti sport di resistenza, purtroppo anche il vostro. È un fenomeno sommerso, secondo te si sta facendo abbastanza per debellare questo annoso problema o no?
«A mio avviso la Federazione Italiana in questi ultimi mesi sta lavorando molto per combattere il doping, soprattutto per i ragazzi. Penso sia una bella cosa partire in questa lotta, educando i più giovani a non barare».
Cosa ti aspetti dall'anno venturo?
«Spero di guarire presto, tornare a camminare e risalire in bici più forte di prima e sempre in sella alla mia MTB. Mi auguro un buon 2006 e auguro a tutti gli appassionati di due ruote e a quelli che mi sono stati vicini in queste difficili settimane, buone feste e un felice anno nuovo».


Andrea Sacconi

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