Dentro lo strappo Uci-Organizzatori
Versione stampabileLe buone intenzioni
Nelle intenzioni dei vertici dell'UCI avrebbe dovuto segnare un'epoca, il Pro Tour, ma le dichiarazioni rilasciate in questi giorni dai tre grandi organizzatori lasciano trasparire la possibilità che sia l'epoca del Pro Tour ad essersi già esaurita dopo una sola stagione densa di critiche e malumori assortiti, espressi da squadre, organizzatori e corridori.
Nasceva con le intenzioni migliori la nuova competizione, cercare di porre un freno al malcostume dei troppi corridori abituati a concentrare gli obbiettivi di un'intera stagione in sole tre settimane, un atteggiamento che ha avuto in Lance Armstrong un cattivo maestro, un pessimo esempio adottato da quasi tutti i colleghi protagonisti delle corse a tappe e spesso anche dai cacciatori di classiche. Attraverso il vincolo alla partecipazione ad un numero prestabilito di prove, imposto alle squadre, si pensava di riuscire a convincere i corridori a lottare su più fronti. Nella fattispecie questi fronti si chiamano Giro d'Italia e Vuelta a España, le corse vittime della tendenza imperante nel ciclismo degli anni di Armstrong, catalizzato attorno al Tour de France.
Il peccato originale
Le intenzioni erano dunque buone in partenza, quando si progettò un Pro Tour con 18 squadre distribuite secondo criteri "geopolitici", che prevedevano 4 formazioni italiane, 3 francesi, 3 spagnole, 3 belghe, 2 tedesche, 1 olandese, 1 svizzera, 1 statunitense.
Il vizio insito nel progetto era la presenza di competizioni stonate nell'armonia dell'insieme, perchè organizzatori come ASO (leggi Tour de France) e RCS (leggi Giro d'Italia) vedevano sì accolte nella competizione quasi tutte le corse di loro competenza, ma ad esse venivano affiancate gare di discutibile prestigio (come il giro di Germania e quello di Polonia) o addirittura inventate per l'occasione, come il neonato giro del Benelux.
Qualcuno cominciò forse in quel momento a chiedersi quali fossero le reali intenzioni dell'UCI, la quale non si limitava a dare risalto alle competizioni che hanno fatto la storia del ciclismo ma ne aggiungeva di nuove, corse che avrebbero ricavato nobiltà dall'accostamento con le classiche della leggenda. La volontà di creare un circuito sportivo che costituisse un'azienda florida e libera dal controllo tirannico del Tour de France apparve subito chiaro.
Probabilmente dalle parti di ASO non se ne preoccuparono più di tanto, convinti più o meno correttamente che, finché il ciclismo non avrebbe potuto fare a meno della Grande Boucle, sarebbero stati loro a dettare se non le leggi almeno le condizioni, motivo per il quale entrarono sin dall'inizio in un progetto dal quale, apparentemente, non avevano nulla da guadagnare; dalle parti di RCS e Unipublic (leggi Vuelta a España) ci si chiese invece seriamente quali insidie potessero nascondersi in un Pro Tour che prometteva comunque indubbi vantaggi, come una lista dei partenti di livello superiore, ed una maggiore combattività in corsa.
Primi imprevisti
L'UCI contava sulla forza attrattiva del Tour de France per solleticare l'appetito dei gruppi sportivi e stimolare la loro adesione.
Fu un errore di valutazione, trascurarono clamorosamente la centralità del calendario italiano nei programmi delle squadre di casa nostra, sopravvalutando l'importanza di una corsa, il Tour de France, che per popolarità non teme confronti tranne che in Italia, terra dove il Giro è una religione, ma anche terra dove il ciclismo soffre una crisi economica.
Aderì con entusiasmo la neonata Liquigas-Bianchi mentre le altre formazioni stettero alla finestra per osservare gli sviluppi della situazione, per nulla convinte che l'impegno economico richiesto fosse ripagato adeguatamente: messi in dubbio i criteri geopolitici che lo permeavano, il Pro Tour rischiava il fallimento prima ancora di partire.
Fiutando il pericolo l'UCI cercò di mettersi al riparo accogliendo nel Pro Tour una formazione spagnola ed una francese in più, rispetto al programma originale, una scelta che in seguito inasprirà la distanza con i grandi organizzatori. Quando infatti venne accettata la richiesta della Fassa Bortolo di ottenere una licenza annuale anziché pluriennale, quando lo sponsor Domina Vacanze si accordò con la squadra di Stanga, quando infine Lampre e Saeco si fusero nella nuova Lampre-Caffita, ecco che il numero delle squadre del Pro Tour si trovò lievitato dalle 18 previste alle 20 effettive.
A carte scoperte
Verso la fine dell'autunno del 2004 tutto sembra risolto, le squadre hanno accettato di pagare la pesante tassa d'ingresso per entrare nel Pro Tour, si sono impegnate ad allestire una rosa di circa 28 corridori per affrontare con professionalità tutti gli impegni alle quali saranno chiamate.
Persino lo scoglio della "carta etica" è stato superato, un provvedimento molto gradito dalle poltrone di ASO, rassicurata sul fatto che i corridori incappati in una squalifica per doping (due anni generalmente), non potranno essere ingaggiati da team del Pro Tour per altri due anni dal termine della squalifica stessa. Le stesse squadre si impegnano a licenziare quei corridori che vengono trovati fuori norma negli esami interni o che vengono coinvolti in inchieste giudiziarie per detenzione di sostanze dopanti.
È la quiete prima della tempesta. I grandi organizzatori, a differenza di quelli più piccoli, non hanno ancora firmato la licenza che li vincolerebbe al Pro Tour. Ciò che viene messo in discussione è il concetto stesso di licenza, poco gradito da chi, dopo avere letteralmente inventato una corsa e dopo averla coltivata lungo decenni, si vedrebbe costretto a chiedere il permesso per fare ciò che ha sempre fatto. Una circostanza che potrebbe anche mettere in discussione la proprietà dei diritti televisivi se, per ipotesi, la "licenza del Giro d'Italia" (o del Tour de France, o della Vuelta a España) venisse revocata e messa all'asta al migliore offerente.
Gli stessi organizzatori contestano poi l'inopportunità di affidare i propri diritti televisivi (anche qualora la proprietà non fosse messa in discussione) all'UCI, perchè questa possa trattare con gli acquirenti la vendita di tutto il blocco delle prove facenti parte del Pro Tour.
Le carte sono scoperte, quand'anche quello dell'UCI non fosse stato un bluff, la partita è persa.
Cresce il malcontento
Senza le tre grandi corse a tappe il Pro Tour non sarebbe potuto partire, sicché l'UCI accetta amaramente un accordo in base al quale le corse di ASO, RCS e Unipublic saranno inserite nel calendario del Pro Tour, assegneranno pure i punti che contribuiscono alla stesura della classifica finale, accetteranno la partecipazione di tutte e 20 le squadre iscritte al Pro Tour medesimo, ma di fatto non ne faranno parte, non avendo sottoscritto alcuna licenza che ufficializzi l'accettazione delle prerogative e degli impegni richiesti.
Nel frattempo l'UCI, spaventata dalla fronda dei rivoltosi, aveva accolto tra le prove del Pro Tour una corsa dalla storia modesta come il GP Ouest France di Plouay. Difficile ritenerlo un tentativo di mostrare i muscoli, quando anche fossero stati accolti tutti i piccoli organizzatori d'Europa per i rivoltosi la questione non si sarebbe spostata di una virgola; piuttosto è indicativo di quali interessi abbiano portato alla nascita del Pro Tour, al di là delle buone intenzioni sbandierate.
Ma l'inclusione del GP di Plouay è solo un'inezia che al più rattrista gli appassionati di ciclismo, turbati dall'esclusione di corse assai più prestigiose. Ben più grave sarà la questione degli inviti accessori (le cosiddette wild card) che gli organizzatori possono offrire a squadre esterne al Pro Tour, che siano di loro gradimento.
L'allargamento da 18 a 20 squadre ha di fatto ridotto il numero degli inviti disponibili per le corse a tappe da 4 a 2, creando malumore soprattutto in Italia, il paese con il maggior numero di gruppi sportivi competitivi.
Per chetare questo malumore sarebbe stato sufficiente che l'UCI avesse approvato una deroga alla regola che prevede in 200 corridori il numero massimo dei partecipanti ad una corsa internazionale.
L'irremovibilità dell'UCI miete vittime illustri, formazioni come Naturino, Acqua & Sapone o Lpr sono costrette a rinunciare al Giro d'Italia, in Spagna accade la medesima cosa alla Kaiku e alla Barloworld di Astarloa e Cárdenas.
L'UCI non capisce che le sue scelte mettono in difficoltà il sistema ciclismo in Italia e in Spagna; gli organizzatori sostengono la necessità di introdurre nel Pro Tour un sistema di promozioni e retrocessioni, una richiesta che si scontra con la politica del Pro Tour volta a favorire, attraverso licenze pluriennali, l'arrivo di grandi sponsor che bene gradiscono le programmazioni a lunga scadenza e la formula a circuito chiuso tipica del Pro Tour.
Il malcontento cresce, ed è di questo autunno la decisione di assegnare alla squadra francese AG2R la licenza che apparteneva alla Fassa Bortolo, una scelta miope che suona come uno schiaffo per RCS e Unipublic, le quali avrebbero gradito assai la possibilità di assegnare almeno una wild card in più.
Lo strappo
La presentazione del Giro d'Italia del 2006, e la successiva polemica sulla possibilità di effettuare o meno una semitappa contro il cronometro nell'ultima giornata di corsa, offrono a Zomegnan l'occasione per affermare che «Il regolamento dell'UCI ci dà il permesso di farle. È il regolamento del Pro Tour a vietare le due semitappe, ma noi della RCS non abbiamo una licenza Pro Tour». Una situazione, quella delle licenze, per comporre la quale l'UCI aveva fissato il 22 novembre come ultimo termine.
A questo punto scoppia la bomba: il presidente dell'UCI Pat McQuaid dichiara che nessun accordo è stato raggiunto, per il 2006 sarà mantenuto lo statu quo mentre per il 2007 i grandi organizzatori vogliono varare un loro circuito parallelo al Pro Tour.
Il presidente di ASO, Patrice Clerc, dichiara che anche la regolarità della stagione 2006 è in alto mare, perchè l'accettazione dello statu quo (cioè delle medesime condizioni del 2005) per il 2006 ed il 2007 era vincolata al raggiungimento di un accordo definitivo per le stagioni 2008 e successive, al che l'ex presidente dell'UCI Hein Verbrugghen, padre del Pro Tour, reagisce velenosamente affermando che «Il Tour de France dovrà dimostrarsi un po' più prudente nelle sue dichiarazioni e pensare alle conseguenze delle proprie scelte, perché senza le nostre squadre professionistiche potrebbero vedersi costretti ad organizzare la loro corsa allineando al via squadre di juniores...».
A confermare che la frattura è difficilmente ricomponibile, il 9 dicembre esce un comunicato congiunto dei tre grandi organizzatori, un manifesto programmatico che illustra i loro progetti:
- Rifiuto degli accordi provvisori relativi al 2006, accettati precedentemente al fine di prendere tempo in vista di un accordo definitivo mai raggiunto, ma ad esso vincolati;
- Rifiuto di creare un calendario separato per le 11 prove di ASO, RCS e Unipublic, che saranno inserite invece nel calendario mondiale dell'UCI, esattamente come il campionato del mondo su strada che, dall'anno prossimo, non figurerà tra le prove del Pro Tour;
- Rifiuto di vincolare l'adesione dei gruppi sportivi alle 11 prove attraverso le sole negoziazioni, inserendo invece dei criteri di merito che offriranno, alle prime 14 formazioni di una futura classifica, il diritto e la facoltà (senza vincoli di obbligo) di partecipazione alle prove;
- Questa classifica sarà compilata tenendo in considerazione il comportamento delle squadre nell'arco delle tre corse a tappe, o anche di una sola di queste;
- Allo scopo di incentivare la partecipazione a Giro e Vuelta, saranno offerti 100.000 euro ai team che prenderanno il via in tutte e tre le grandi corse a tappe;
- Reintroduzione del Trofeo dei grandi giri (che ebbe vita effimera verso la metà degli anni '80), con un montepremi pari a due milioni di euro da dividersi tra i sette gruppi sportivi meglio classificati;
- Proponimento di offrire comunque una wild card per tutte e 11 le prove a tutte le formazioni facenti parte del Pro Tour, per non danneggiare gli investimenti effettuati dai team stessi, nell'errato convincimento di possedere la garanzia di partecipazione a Giro, Tour, Vuelta, e tutte le altre prove più importanti.
L'UCI in particolare non gradisce l'accenno alla nuova classifica ed alla restaurazione del Trofeo grandi giri, il presidente McQuaid sostiene che senza l'approvazione dell'UCI, ente di esclusiva competenza, non si può dare vita a calendari, classifiche e trofei di alcun tipo.
Nelle dichiarazioni rilasciate al quotidiano L'Équipe il presidente irlandese esprime un giudizio pesante: «Ciò che conta per l'UCI è che il denaro del vertice sia utilizzato per sviluppare lo sport alla base, e quando vedo i milioni offerti solo per assicurare la partecipazione delle squadre, trovo che ciò sia malvagio, osceno».
Quali che siano le finalità dell'UCI, è palese l'obbiettivo più immediato, raccogliere finanze (per sviluppare il ciclismo nel mondo?), non solo stilare calendari, regolamenti e classifiche; per quanto possano essere discutibili le posizioni dei grandi organizzatori, esse sono per lo meno ragionevoli: le finanze alle quali mira l'UCI, quando ancora il Pro Tour non è un valore aggiunto per il ciclismo professionistico, appartengono proprio ai grandi organizzatori, e trovano origine in quella fetta di diritti televisivi e d'immagine che l'UCI stessa reclamerebbe come propria, poiché connaturata all'inserimento dei grandi giri nel Pro Tour.
Gli organizzatori
Non sono disposti a cedere una parte dei profitti di loro proprietà, ritenendo evidentemente che il Pro Tour non sarà affatto un valore aggiunto per il ciclismo, e ritenendo soprattutto che le loro corse possano essere organizzate per un diritto storico acquisito e non per gentile concessione dell'UCI.
Sta loro bene che il Pro Tour preveda diritti e doveri per i gruppi sportivi, ma non trovano ragionevole che gli stessi vincoli coinvolgano anche le corse.
Giro e Vuelta in particolare pretendono di poter disporre di un maggior numero di wild card, consapevoli che per sollevare l'interesse verso le corse è opportuno e sufficiente fare leva su tre o quattro squadre straniere, affinché si presentino competitive, piuttosto che accontentarsi della partecipazione di venti squadre spesso imbottite di neoprofessionisti o di mediocri veterani che si ritirano dopo poche tappe. Sono consapevoli dei rischi ai quali vanno incontro mettendosi in società con ASO (Tour de France), ma le circostanze impongono questa scelta (ma ASO a sua volta è consapevole che un accordo tra UCI, RCS, Unipublic, gruppi sportivi e corridori otterrebbe un potere al quale non saprebbe contrapporsi nemmeno la Grande Boucle).
L'Unione Ciclistica Internazionale
Non proponendosi la valorizzazione del ciclismo che c'è, ma mirando alla creazione di un ciclismo che ancora non c'è, non saprebbe come giustificare l'impegno economico richiesto alle squadre (ed ai piccoli organizzatori) se all'interno del torneo venissero a mancare le competizioni più blasonate; per questo stesso motivo (l'imposizione di uno sforzo economico alle squadre) l'UCI si oppone all'ipotesi di introdurre quelle promozioni e retrocessioni che tanto sarebbero gradite dagli organizzatori e dai gruppi sportivi del ciclismo minore, quello che in nome della globalizzazione rischia di venire soffocato da un sistema chiuso ed inaccessibile.
I gruppi sportivi
I gruppi sportivi aderenti al Pro Tour sono combattuti tra la golosità di vedere garantita la partecipazione al Tour de France, il denaro offerto dagli organizzatori, ed infine le esigenze diverse che muovono le squadre di nazionalità differenti.
I gruppi sportivi esterni al Pro Tour sono bellamente ignorati e privati di qualsiasi garanzia di sopravvivenza, implicitamente appoggiano la battaglia dei grandi organizzatori ma sono privi di rilevante peso politico.
I corridori
Attori a margine sembrano essere i corridori, i quali, attraverso la propria associazione internazionale, si sono limitati ad esprimere la richiesta di ridurre i giorni di gara: nove tappe in Germania, otto in Benelux e sette in Polonia sono troppe, ne vorrebbero al massimo sei per ciascuna corsa.
Tuttavia potrebbero essere proprio i corridori l'ago della bilancia, una loro presa di posizione potrebbe essere decisiva forse non per la vittoria di una parte o dell'altra, ma per il raggiungimento di un accordo provvisorio.
Il 14 dicembre si sono riuniti nuovamente gli organizzatori, mentre il 19 gennaio avrà luogo un incontro tra l'UCI e gli sponsor delle squadre Pro Tour.
Davide Zambon